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Da Lamarck all'epigenetica ... e ritorno

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La maggior parte delle alterazioni psichiatriche non sono dovute a modificazioni patogene di singoli geni, ma a disturbi che riguardano i circuiti di controllo di geni diversi ed i loro relativi segnali.  Le evidenze sperimentali disponibili suggeriscono che una famiglia di geni, chiamata KRAB-ZFP e che regolano l’espressione di diversi geni nel cervello, aiuti a tenere sotto controllo lo stress causato da eventi esterni sfavorevoli. In particolare (Jakobsson 2008),  fattori in grado di rimodellare la cromatina associati a KPA1 (una proteina che si lega al complesso genico KRAB-ZFP) sarebbero in grado di controllare epigeneticamente l’espressione del complesso KRAB-ZFP nell’ippocampo nel topo (e probabilmente anche nell’uomo), condizionando la risposta individuale allo stress comportamentale. Dato l’alto numero dei geni KRAB-ZFP ci si aspetta un notevole polimorfismo, che potrebbe spiegare la diversa vulnerabilità individuale a condizioni ambientali stressanti e quindi spiegare perché alcuni individui siano più suscettibili di altri ai fattori che provocano ansia o depressione.

Il fatto che, attraverso complesse vie di segnalazione, eventi esterni arrivino a rimodellare la cromatina (ossia il complesso nucleoproteico che costituisce i cromosomi) richiama allusivamente la possibilità che l’ambiente possa esercitare un’azione diretta sugli organismi, determinandone la modificazione evolutiva, ossia il cosiddetto “lamarckismo”. In realtà Lamarck non ha mai sostenuto che l’ambiente guidi direttamente l’evoluzione degli organismi e, d’ altra parte, Darwin riteneva possibile effetti ereditari dell’abitudine, ma tant’è: la contrapposizione darwinismo-lamarckismo è stata il leit motif della storia dell’ evoluzionismo moderno.

Già all’inizio del Novecento l’eredità di caratteri acquisiti era considerata un’eresia, come testimonia la tristissima vicenda del biologo austriaco Paul Kammerer. Dopo aver affermato che rospi Alytes obstetricans esposti a temperature elevate e costretti a riprodursi in acqua sviluppavano sulla superficie interna delle zampe anteriori callosità trasmissibili alla discendenza, Kammerer non fu in grado di fornire una documentazione adeguata (ed anzi, per evidenziare tali callosità ebbe la pessima idea di colorarle con l’inchiostro); nel 1926 fu accusato di aver falsificato i dati e si suicidò.

Ulteriore e maggiore discredito all’ipotesi dell’ereditarietà di caratteri acquisiti venne dalle fraudolente affermazioni del russo Trofim Lysenko, che, come è noto, non solo per molti anni causò guasti alla produzione agricola del suo paese, ma fu direttamente ed indirettamente responsabile dell’ emarginazione di una schiera di validissimi genetisti sovietici.

Tuttavia, a metà del Novecento, Conrad H. Waddington dimostrò che, esponendo per 4 ore alla temperatura di 40°C  pupe di Drosophila in un determinato periodo (la Drosophila è il moscerino della frutta e la “pupa” è lo stadio di sviluppo tra la larva e l’insetto adulto), otteneva in alcuni individui l’anomala interruzione della venatura posteriore dell’ala, simulando così la mutazione “crossveinless” a carico di un gene del cromosoma I. Utilizzando questi individui per produrre la seconda generazione e ripetendo sia il trattamento sia la selezione, dopo 14 generazioni otteneva individui con il carattere “crossveinless” anche senza aver applicato lo choc termico e l’inincrocio successivo di questi individui dava luogo ad un ceppo in cui ricorrevano con elevata frequenza  individui crossveinless, in assenza del trattamento (mi riferisco a due lavori pubblicati da Waddington nel 1952 e nel 1953). Secondo Waddington, che nel 1942 aveva coniato il termine “epigenetica” per “ la scienza che studia lo sviluppo e l’eredità in termini di interferenza tra l’informazione genetica e l’ambiente”, il fenomeno richiamava l’eredità dei caratteri acquisiti proposta dal lamarckismo, ma poteva essere  ben spiegato nei termini della più ortodossa teoria darwiniana e dell’embriologia, semplicemente ipotizzando la selezione di varianti genetiche implicate nello sviluppo, ma ancora ignote (mi riferisco a un lavoro di Waddington del 1961). Nonostante la validità dei risultati sperimentali e l’indubbio interesse delle nuove ipotesi che ne scaturivano, Waddington non ebbe grande fortuna tra i neodarwinisti;  fortunatamente, dopo la sua morte, l’idea che l’organismo sia la risultante dell’interferenza tra informazione genetica ed ambiente ebbe interessanti sviluppi. Nel 1994 Robin Holliday riprese il termine “epigenetica” per indicare “lo studio di cambiamenti ereditabili nella funzione genica che avvengono senza una mutazione della sequenza del DNA”, fenomeni nei quali, come oggi è ben noto, la metilazione del DNA svolge un ruolo molto importante. Nel 2003 Jaenich e Bird scrivevano su Nature Genetics: “gli effetti epigenetici per metilazione del DNA hanno un ruolo importante nello sviluppo ma possono anche verificarsi in modo stocastico nel corso della vita dell’animale: l’identificazione delle proteine che mediano questi effetti ha consentito di cominciare a comprendere questo complesso meccanismo e le malattie derivanti dalla sua perturbazione”.

Tornando a KRAB-ZFP, per poter affermare che questo esempio di epigenetica sia in favore del lamarckismo, bisognerebbe scoprire se, ed eventualmente in quale misura, l’esposizione cronica ad un ambiente che genera stress sia in grado di determinare modificazioni ereditabili della cromatina.

Nel dibattito scientifico attuale sull’evoluzione alcuni ritengono che la selezione naturale sia insufficiente per spiegare l’ evoluzione di strutture complesse e l’emergere di nuove caratteristiche e funzioni, e si riparla quindi di ortogenesi (evoluzione guidata da cause intrinseche) e di lamarckismo ma, come ha giustamente puntualizzato Massimo Pigliucci (Pigliucci 2009), una revisione della attuale formulazione della teoria dell’ evoluzione biologica non è proponibile sulla base alle conoscenze disponibili . Per finire con Lamarck, Waddington scriveva nel 1959: “Molti contributi scientifici hanno avuto in sorte di venir superati, ma ben pochi autori hanno scritto opere che, a distanza di duecento anni, siano rigettate con indignazione così intensa da legittimare il sospetto che essa sottintenda una coscienza sporca. Alla luce dei fatti, ritengo che Lamarck sia stato giudicato in modo sleale”.

Jakobsson et al. Neuron, 60, 818-831, 2008
Pigliucci M. Perspect. Biol. Med., 52, 134-40, 2009


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