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Complottismo, la filosofia scende in campo

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L'ingresso della mostra "Complottismo, fake news e altre trappole mentali", che riproduce la forma di un grande libro aperto attraverso cui si passa

Inaugurata da poco nelle Salette dell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, è aperta fino al 22 febbraio la mostra Complottismo, fake news e altre trappole mentali, due nuove sale del Museo della Filosofia, iniziativa unica al mondo lanciata dall’Università di Milano. La mostra, ad accesso libero, offre un percorso interattivo non solo interessante, ma anche divertente, attraverso i meccanismi cognitivi e le trappole mentali che portano a costruire, diffondere e dare credito alle teorie del complotto. E ci conduce a capire - con l’aiuto di un videogioco, pillole di esperti, cartoni animati ed enigmistica - come i semi da cui può germogliare la mentalità complottista siano in realtà nella testa di ciascuno di noi. Nella foto, l'ingresso della mostra.

Alla mostra Complottismo, fake news e altre trappole mentali si entra attraverso un accesso ritagliato in un grande libro spalancato, installato sotto i suggestivi portici del cortile centrale dell’Università. Come commenta Paolo Spinicci, ordinario di Filosofia teoretica e curatore della mostra insieme ad Anna Ichino e Clotilde Calabi: «Ci è piaciuta molto l’idea che si accedesse al museo proprio entrando in un libro, passandogli attraverso, per sottolineare come sia in fondo questa la funzione dei libri: attraverso le loro pagine vediamo meglio i problemi della filosofia che, tuttavia, stanno al di là di essi. È stata poi anche questa idea visiva a incoraggiarci a curare attentamente tutta la dimensione visiva e grafica della mostra, una cifra che ha caratterizzato il Museo della Filosofia dalla sua nascita».
Il tema del libro aperto ricorre nell’efficace allestimento della mostra, che, in due stanze, si avvale di una nutrita serie di strumenti visivi e installazioni interattive, ribaltando completamente l’idea preconcetta di filosofia come materia specialistica, austera e magari un po’ polverosa: a iniziare dai sette pannelli colorati, che scandiscono il percorso, guidando - con un linguaggio estremamente chiaro e comprensibile - a comprendere il concetto di fake news e di teoria del complotto, per poi passare alle seduzioni (e distorsioni) cognitive e alle trappole epistemiche che sono alla sua base, e arrivare ai metodi per opporsi, che si possono anche votare, deponendo una biglia di vetro in uno degli appositi bussolotti.
Come spiega Anna Ichino, ricercatrice di Filosofia teoretica: «Ispirandoci al modello dei musei della Scienza, anche in questa seconda tappa del Museo della Filosofia non ci limitiamo a offrire materiale da leggere e ascoltare, né tantomeno reliquie del passato da ammirare, ma vogliamo coinvolgere visitatrici e visitatori attraverso diverse attività, manipolazioni di oggetti, giochi interattivi. Per ogni parte della mostra abbiamo cercato di creare un’attività pratica che coinvolga il pubblico e risulti divertente, favorendo la partecipazione anche emotiva».

Diventa anche tu un abile complottista

Ecco perché con l’ausilio degli informatici dell’Università, per la mostra è stato creato il videogioco Fake Plots, in cui si agisce su una apposita piattaforma, Glitter, che imita l’ambiente di un social. Muovendosi all’interno di Glitter, ciascun giocatore deve creare una teoria complottista, seguendo le istruzioni che gli vengono date nel “Kit del complottista”, che contiene diverse carte: la più importante, da giocare sempre, è quella della sfiducia.
Come spiega ancora Ichino: «La sfiducia è infatti la vera radice del pensiero complottista, che nasce da una profonda diffidenza verso le istituzioni, guarda con sospetto alle verità ufficiali e per questo le sostituisce con le teorie alternative. È questo il motivo per cui nel nostro gioco la sfiducia è la carta color oro, da utilizzare sempre».
Ma nel kit ci sono molte altre carte da usare per diventare dei complottisti di successo: quelle gialle illustrano i diversi bias cognitivi, che caratterizzano il pensiero umano in generale e hanno un ruolo molto importante nella mente complottista (come il bias della intenzionalità, per cui nulla accade per caso); ci sono poi le carte verdi delle fallacie argomentative (come l’appello ad autorità irrilevanti o alla paura); le carte rosa dei bisogni psicologici (come il bisogno di certezza); le carte azzurre delle strategie retoriche (come le insinuazioni inquietanti) e le carte rosse con le risposte alle faq (Come mi comporto se fonti autorevoli portano evidenze contrarie alla mia teoria?). Usando questi strumenti per attuare le strategie proposte nel kit, ogni giocatore deve scatenare la sua fantasia per creare e sostenere una teoria complottista, a partire da una notizia proposta dal gioco, e diffonderla attraverso il social.
Negli otto minuti di partita, i giocatori devono gareggiare in popolarità: l’algoritmo che governa il social attribuisce i punti a seconda dei like dati e ricevuti e a quanto la teoria complottista viene diffusa. Chi guadagna più punti potrà vantarsi di essere un complottista perfetto.
Lo scopo del gioco, come si può intuire, non è allevare una nuova generazione di complottisti. Spiega Ichino: «Scopo del gioco è aiutarci comprendere la mentalità complottista dall’interno, in modo da creare una sorta di “vaccino cognitivo”: conoscere da dentro i meccanismi della disinformazione può aiutare a riconoscerli più facilmente quando li si incontra nella realtà, e quindi combatterli più efficacemente».

Perché la filosofia parla di complottismo?

Ma da che cosa nasce l’idea di dedicare la seconda tappa del Museo della Filosofia proprio a questo tema? Lo spiega Anna Ichino: «L’idea di fondo è sempre quella di rendere la filosofia accessibile a un pubblico ampio e raggiungere il maggior numero di persone, anche non addetti ai lavori. Siamo partiti nella prima edizione affrontando i grandi temi e problemi filosofici, in questa seconda abbiamo voluto concentrarci sul tema delle fake news e del complottismo per due motivi: sia perché è un tema urgente e con un impatto sociale notevole, che dunque deve essere affrontato nella società odierna; sia perché è un tema che, pur non essendo strettamente filosofico, solleva una molteplicità di questioni filosofiche importanti, su cui siamo convinti che la filosofia abbia molto da dire. Pensiamo innanzitutto all’analisi dei concetti stessi: che cosa è una fake news, che cosa è una teoria del complotto? Che cosa è una fake news può sembrare ovvio, ma in realtà, non lo è affatto: come mostriamo nei pannelli, le fake news non sono semplicemente “notizie false”. Un semplice errore giornalistico per esempio non necessariamente è una fake news. Analogamente, le teorie del complotto non sono semplicemente “teorie che riguardano complotti”, ma hanno delle caratteristiche addizionali ben precise. Una di queste è la loro tendenziale irrefutabilità e infalsificabilità: postulano inganni così pervasivi che ogni evidenza contraria può essere capovolta e reinterpretata come parte della grande cospirazione che le teorie in questione denunciano. Un’altra caratteristica qualificante è l’essere anti-mainstream, contrapposte alle posizioni “ufficiali”, caratteristica che rende queste teorie particolarmente adatte a creare e consolidare identità di gruppo e senso di appartenenza. Aderire a una teoria del complotto ci fa sentire parte di una comunità: la comunità di chi “ha aperto gli occhi” e non si accoda alle opinioni dei più – proprio questa funzione identitaria è una delle ragioni della popolarità del complottismo».
Queste caratteristiche contribuiscono al successo delle teorie complottiste perché sono legate a meccanismi psicologici presenti in ciascuno di noi: la mostra lo illustra anche attraverso una serie di videopillole con interventi di esperti, affiancati da una miniserie di cartoni animati scritti da filosofe esperte di disinformazione e illustrati dallo studio grafico “Squideo”.
Come spiega ancora Anna Ichino: «Nella seconda sala rispondiamo alla domanda sul perché si aderisce alle teorie complottiste, mostrando che i meccanismi cognitivi e sociali che determinano la diffusione di queste teorie sono meccanismi universali, presenti nella mente di tutti – anche se poi in certe circostanze si esasperano e radicalizzano, degenerando nella disinformazione».

Il complottista siamo noi

Un aspetto che la mostra sottolinea, infatti, è che i meccanismi psicologici, i bias, le distorsioni cognitive che portano a credere in una teoria del complotto sono all’opera nella mente di ciascuno. Spiega ancora Ichino: «Nessuno di noi è immune dal bias della causalità o dal bias dell’intenzionalità, così come il bisogno di appartenenza, di sentirsi in controllo, di dare un ordine al caos e alla molteplicità degli eventi che ci circondano, di separare i buoni dai cattivi. Un altro bisogno che menzioniamo è quello di unicità, di sentirsi speciali. Sono bisogni che abbiamo tutti, per questo non si deve pensare al complottista come a un alieno, diverso da noi, o addirittura folle».
Altre attività proposte a chi visita la mostra: creare le più fantasiose e “appetitose” teorie del complotto nella “Cucina complottista” e cimentarsi con un numero speciale della “Settimana Complottistica” – rivista di enigmistica creata ad hoc, con tanto di cruciverba, rebus, “Vero o falso?” e “Unisci i puntini”. Perché, spiegano gli autori, uno dei motivi inconsapevoli che può spingere una persona a elaborare o fare propria una teoria del complotto per spiegare un fatto straordinario è un piacere simile a quello che si prova individuando e collegando indizi per risolvere un rebus, portando così alla luce una verità nascosta.

La filosofia come strumento culturale per tutti

Come spiega Paolo Spinicci, il Museo della Filosofia, giunto con questa mostra alla sua seconda tappa, nasce dall’avere pensato alla filosofia come strumento culturale da mettere a disposizione di tutti: «La filosofia ha certamente una sua dimensione tecnica, ma è possibile formularla in un linguaggio semplice e piano, in forme e in modalità che possano raggiungere tutti coloro che sono interessati ai problemi filosofici, che a loro volta sono problemi che ci toccano tutti e in cui tutti prima o poi ci imbattiamo».
Spinicci pensa a problemi che appartengono al mondo della cultura, dell’esistenza, della scienza, della riflessione generale.
E spiega ancora: «L’idea che ci muoveva era questa: che esiste una dimensione pubblica, ma poi anche sociale, della filosofia, che è stata troppo spesso messa da parte. Nel nostro insegnamento liceale la filosofia è stata pensata come una disciplina molto colta, come storia della filosofia, con l’implicita convinzione che questo potesse alla fine tradursi nell’idea hegeliana che la filosofia è la sua storia. Si tratta di un’idea discutibile dal punto di vista teorico, ma è sicuramente un’idea sbagliata dal punto di vista didattico: trasforma la filosofia in risposte e mette in ombra le domande che sono alla loro origine e proprio questo ha cancellato l’entusiasmo, la curiosità, l’ingenuità (nel senso positivo del termine) che dovrebbe animare chi studia filosofia. Con il Museo della Filosofia abbiamo voluto fare un passo nella direzione opposta e l’abbiamo fatto lasciandoci guidare dal modello dei musei della Scienza contemporanei, in cui lo spettatore è chiamato a vedere e a fare per capire. Non è un compito facile: i problemi filosofici non hanno immediatamente una forma intuitiva, ma è un lavoro divertente e – crediamo – socialmente utile».

Un segno molto positivo è la risposta che è arrivata da parte della scuola all’iniziativa del Museo della Filosofia: come osserva Spinicci, la partecipazione fortissima ed entusiastica da parte delle scuole mostra che i docenti non si sono sentiti messi in questione, ma hanno colto l’opportunità per coinvolgere i propri studenti in un approccio alla filosofia diverso da quello scolastico. «E questo – afferma Spinicci – è sicuramente un ottimo segno».

Del resto, come conclude Clotilde Calabi, docente di Filosofia dei linguaggi, l’impostazione storicistica della filosofia è quella che purtroppo vige ancora nei programmi scolastici ministeriali: «Ma il futuro della filosofia non è quello. A che cosa serve la filosofia? Un suo ruolo fondamentale è aiutare a diventare dei bravi cittadini. In che modo? I filosofi propongono delle teorie, che sono delle risposte a dei problemi. Alcune sono vere, alcune sono false. Come difendono i filosofi le teorie? Con delle argomentazioni. La capacità di argomentare è cruciale nella formazione del buon cittadino. Noi abbiamo la speranza che gli studenti che verranno a vedere la mostra e anche i nostri studenti, gli studenti del corso di laurea in filosofia, alla fine del loro percorso siano in grado di difendere le loro idee con buone argomentazioni, di rivedere queste idee alla luce dell’evidenza contraria e di riconoscere le buone e le cattive argomentazioni altrui».

La mostra è aperta fino al 22 febbraio 2024 nelle Salette dell'Aula magna dell'Università statale di Milano, in via Festa del Perdono 7; è aperta dal lunedì al venerdì, nei seguenti orari: 9-13.30 (accesso riservato alle scuole previa prenotazione); 14-19.30 (accesso libero).

Il materiale della mostra è disponibile anche online sul sito del Museo della Filosofia, che alla voce “La biblioteca complottista” include anche una bibliografia in materia.

 

 


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