fbpx Come galleggia la Groenlandia | Scienza in rete

Come galleggia la Groenlandia

Read time: 2 mins

Grazie a una rete di oltre 50 rilevatori GPS i ricercatori non solo sono riusciti a misurare con precisione l'entità del disgelo a breve termine, ma hanno anche scoperto che esiste un legame tra i ghiacci e la pressione atmosferica.

La Groenlandia si comporta come una grossa barca: quando si carica di ghiaccio sprofonda e quando riesce a liberarsi di parte quel peso si risolleva. Misurazioni accurate hanno indicato che nell'inverno 2010 l'isola è affondata di circa 6 millimetri, ma solamente metà di quel valore era imputabile all'accumulo di ghiaccio. L'altra metà era infatti dovuta all'azione dell'alta pressione atmosferica presente al di sopra dei ghiacci. La situazione appariva diversa in estate, con la pressione a giocare un ruolo minore mentre era soprattutto la perdita dei ghiacci a determinare il sollevamento dell'isola.

Misurazioni di questo tipo non sono una novità, ma finora erano in grado di dare indicazioni solo su periodi di alcuni anni. La novità delle ultime misure è l'impiego della Greenland GPS Network (GNET), una rete di oltre 50 rilevatori GPS distribuiti lungo le coste della Groenlandia e ideata dal team di Michael Bevis (Ohio State University) che in futuro permetterà di analizzare la situazione nel volgere di un mese soltanto. Saranno proprio le accurate rilevazioni della GNET che potranno permettere di determinare quanto del movimento del fondo roccioso dell'isola sia imputabile al disgelo e quanto alle variazioni stagionali nella pressione atmosferica.

I dati relativi al 2010 sono stati recentemente pubblicati da Bevis e colleghi su PNAS, ma i ricercatori puntano più in alto. La loro idea è quella di calibrare GNET come una autentica bilancia del ghiaccio collegando i dati giornalieri dei GPS con i valori della pressione e con i modelli climatici.

Ohio State University

Autori: 
Sezioni: 
Indice: 
Geofisica

prossimo articolo

Come cominciano i terremoti

faglia di terremoto

Analizzando i primi secondi delle onde P, le prime a essere registrate dai sismometri durante un terremoto, un gruppo di ricercatori ha mostrato che è possibile stimare la magnitudo del terremoto. Il loro risultato si aggiunge al lungo dibattito sulla natura deterministica dei fenomeni di rottura all’origine dei terremoti e dunque sulla loro prevedibilità e ha implicazioni per i sistemi di allerta sismica precoce.

Nell'immagine due geologi dell'USGS misurano una rottura di faglia causata dai terremoti di Ridgecrest in California nel 2019. Foto di Ben Brooks/USGS (CC0).

È possibile prevedere la magnitudo di un terremoto osservando le onde sismiche nei loro primissimi istanti? Gli scienziati dibattono da decenni intorno a questa domanda, che è centrale per la progettazione dei sistemi di allerta sismica precoce.

Uno studio pubblicato recentemente da un gruppo di sismologi dell'Università di Napoli Federico II mostra che è possibile, analizzando circa 7000 mila onde sismiche relative a 200 terremoti avvenuti in tutto il mondo con magnitudo tra 4 e 9.