fbpx Durban: eppur si muove | Scienza in rete

Durban: eppur si muove

Primary tabs

Read time: 3 mins

Conclusa con un accordo, dopo estenuanti e frenetiche trattative, la Conferenza per il Clima di Durban in Sudafrica. Per qualcuno il bicchiere è mezzo vuoto, ma da più parti si sottolinea che, seppur lentamente, ci si sta muovendo nella corretta direzione.

Ormai quella di concludere i lavori delle Conferenze sul clima ben oltre i termini previsti sembra diventata una tradizione: il precedente record della COP13/CMP3 tenutasi a Bali quattro anni fa (terminata nel primo pomeriggio del sabato), quest'anno è stato stracciato. La Conferenza di Durban, la cui conclusione era prevista per venerdì 9 dicembre, ha chiuso i battenti intorno alle 6 del mattino di domenica 11, dopo 14 giorni di dibattiti e quasi 20 ore ininterrotte di discussione finale.

Come sottolineano Sergio Castellari, Valentino Piana e Stefano Caserini nel loro resoconto di quanto è accaduto a Durban (www.climalteranti.it), un indicatore della grande attività nel raggiungimento del consenso negoziale in vari tavoli di discussione è il grande numero delle decisioni formali della COP17 e della COMP7 che sono state approvate nell’ultimo giorno: trentasei rispetto alle venticinque approvate alla precedente sessione di Cancun nel 2010.

Al di là dello scontento manifestato da alcuni gruppi ambientalisti e dal disfattismo di chi già nei giorni scorsi parlava apertamente di fallimento, si respira comunque un certo ottimismo riguardo alle decisioni prese e alla strada che ci si accinge a percorrere. Annotano Castellari, Piana e Caserini: “Dalle prime analisi sembra un altro lento ma chiaro passo in avanti nella ripartizione degli sforzi di riduzioni delle emissioni e nel rafforzamento delle azioni di adattamento e di finanziamento per i paesi in via di sviluppo, dei prossimi decenni e in particolare da qui al 2020. Un passo cruciale per il futuro delle politiche climatiche. Un passo difficile vista la lontananza delle posizioni in campo su vari temi in discussione”.

Almeno un paio le decisioni da sottolineare.
Anzitutto la creazione di un
nuovo gruppo di lavoro (AWG-DB – Ad hoc Working Group Durban Platform), che dovrà definire entro il 2015 un nuovo protocollo o un altro strumento che abbia forza legale e che coinvolga tutti i paesi. E' stata proprio proprio la definizione delle finalità di questo gruppo di lavoro e i tempi stretti che si doveva dare uno degli elementi che hanno rallentato negli ultimi giorni il raggiungimento del consenso.
Il secondo elemento è – finalmente – un passo davvero concreto verso l'operatività del
Green Climate Fund (Fondo Climatico Verde), il pacchetto di aiuti economici (100 miliardi di dollari entro il 2020) per i paesi in via di sviluppo nella loro lotta al riscaldamento globale. A Durban ne sono stati approvati gli elementi fondamentali, si è stabilito che a gestirlo saranno le Nazioni Unite e si sono indicati i passaggi affinchè diventi pienamente operativo entro il 2012. Unico punto oscuro – purtroppo assolutamente non marginale – su questo fondo è che a Durban non è stata fatta piena chiarezza sui meccanismi del suo finanziamento.

Ci piace citare ancora una riflessione pubblicata sempre su climalteranti.it a conclusione delle valutazioni sull'andamento della Conferenza di Durban: “Ascoltare i toni dei dibattiti durante le plenarie o i due working group (sul Protocollo di Kyoto e sulla Cooperazione a lungo termine) fa capire come ormai sia diffusa la sensazione dellimportanza dellaccordo e dei pericoli per i ritardi nelle riduzioni. Ancora una volta, va ricordato che lUNFCCC ha riconosciuto (come viene scritto in varie decisioni) limportante ruolo del Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) nel fornire rapporti tecnico-scienticifici sul progresso della conoscenza della scienza climatica che hanno il consenso di tutti i paesi. Quindi nellUNFCCC si riconosce allunanimità, dallArabia Saudita agli USA, che il problema dei cambiamenti climatici esiste. Gli stessi documenti ufficiali riconoscono la distanza fra quanto la politica riesce a decidere e quanto sarebbe necessario secondo la comunità scientifica per stabilizzare le temperature del pianeta ad un livello in grado di evitare pericoli. Almeno una parte del lavoro, quindi, è fatto.


Autori: 
Sezioni: 
Canali: 
Indice: 
Clima

prossimo articolo

Come cominciano i terremoti

faglia di terremoto

Analizzando i primi secondi delle onde P, le prime a essere registrate dai sismometri durante un terremoto, un gruppo di ricercatori ha mostrato che è possibile stimare la magnitudo del terremoto. Il loro risultato si aggiunge al lungo dibattito sulla natura deterministica dei fenomeni di rottura all’origine dei terremoti e dunque sulla loro prevedibilità e ha implicazioni per i sistemi di allerta sismica precoce.

Nell'immagine due geologi dell'USGS misurano una rottura di faglia causata dai terremoti di Ridgecrest in California nel 2019. Foto di Ben Brooks/USGS (CC0).

È possibile prevedere la magnitudo di un terremoto osservando le onde sismiche nei loro primissimi istanti? Gli scienziati dibattono da decenni intorno a questa domanda, che è centrale per la progettazione dei sistemi di allerta sismica precoce.

Uno studio pubblicato recentemente da un gruppo di sismologi dell'Università di Napoli Federico II mostra che è possibile, analizzando circa 7000 mila onde sismiche relative a 200 terremoti avvenuti in tutto il mondo con magnitudo tra 4 e 9.