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Clima di paura

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La tempestiva traduzione in italiano del primo libro di James Hansen (Tempeste, Edizioni Ambiente, 2010) non mancherà di rinfocolare le polemiche fra climatologi caldi, tiepidi e freddi. Hansen appartiene certamente alla prima schiera, sostenendo che non sia più tempo di chiedersi se ci saranno disastri a seguito del riscaldamento globale, ma quando si verificheranno. Per questo arriva a sostenere che entro la fine del secolo la concentrazione di CO2 dovrà essere riportata con misure radicali a 350 parti per milione (ora ci avviamo spensieratamente verso i 400): vale a dire bandendo da subito il carbone – vera peste bubbonica dell'ambiente – puntando sull'efficienza energetica e solo in subordine sulle rinnovabili. Solare ed eolico non sono secondo Hansen nemmeno lontanamente risolutivi, ragione per cui il climatologo "ambientalista" si sbilancia verso la necessità – almeno in una fase di transizione - verso il nucleare, pur con mille distinguo e cautele. Cosa che non gli ha procurato molte simpatie.

Ispiratore di Al Gore, e probabilmente anche strumentalizzato da una parte politica, e censurato dall'altra, Hansen ha portato la sua straordinaria competenza, prima di planetologo della NASA (studiava Venere, buon caso di effetto serra, con i suoi+ 450 °C), poi climatologo, ai più diversi tavoli e commissioni statunitensi, fino a varcare per un paio di volte la soglia della casa Bianca sotto il mandato di Bush juinior, senza peraltro ricevere molto ascolto. Sotto l'amministrazione repubblicana convinceva di più il brillante scetticismo di Richard Lindzen, per il quale qualsiasi aumento di temperatura sarebbe stato compensato da feedback negativi. "I cumuli indotti dalle convezioni tropicali si intesificano se laCO2 aumenta" chiosa Hansen, "trasportando energia nell'atmosfera, da dove il calore viene irradiato nello spazio. Questo meccanismo, secondo Lindzen, è il termostato della natura". Peccato, aggiunge subito dopo, che la teoria sia completamente erronea, poiché se esistesse davvero un feedback negativo così "intelligente", esso avrebbe lasciato traccia di sé nella storia paleoclimatica.

Un altro presidente americano, Jimmi Carter, fu il primo a prendere sul serio le preoccupazioni sul cambiamento climatico già nel 1979, quando chiese un parere – prima e ultima volta nella storia – alla National Academy of Sciences. E il destino volle – ricorda Hansen – che a presiedere la commissione fosse Jule Charney, del MIT di Boston, che prese il compito molto seriamente. Cosa sarebbe successo se la concentrazione di CO2fosse raddoppiata improvvisamente? si chiese Charney. Vi sarebbe stato un decremento di circa 4 watt per metro quadro nell'irradiazione di calore della Terra verso lo spazio e un aumento della temperatura globale di 1,2 °C (per i dettagli leggere pagine 64-65). Questo esperimento non prendeva in considerazione che il raddoppio della forzante CO2, lasciando inalterato tutto il resto.

Putroppo, come spiega Hansen nel libro, il resto non se ne sta fermo: a un aumento di temperatura, infatti, le calotte polari cominciano a sciogliersi, probabilmente a un ritmo superiore a quanto ipotizzato dal Rapporto dell'IPCC del 2007, a giudicare da quanto sta avvenendo in Antardide, nell'Artico e in Groenlandia. Ed è questo il grande incubo di Hansen: un pianeta totalamente libero dai ghiacci significherebbe un aumento del livello del mare di 75 metri! Ma anche se più modestamente l'aumento del prossimo secolo fosse, come pare suggerire il climatologo secondo documentati confronti con quanto successo nel passato, di 3-5 metri, la storia della Terra ne sarebbe sconvolta, si determinerebbe con ogni probabilità una nuova estinzione di massa e per la civiltà umana non sarebbe affatto facile mantenere gli attuali standard di vita, con tutte le principali pianure e metropoli costiere sott'acqua. I "tiepidi" replicano che, se pure nella storia della Terra variazioni simili del livello del mare si sono già verificate, questo è avvenuto nel corso di migliaia di anni: un tempo sufficiente per trovare gli opportuni adattamenti.

Ma questo argomento per Hansen è illusorio, poiché è la prima volta nella storia che una forzante cresce in modo così rapido. Dal 1950 al 1973 il tasso di crescita delle emissioni di CO2 da fonti fossili è stato del 4,5% all'anno  (e del livello del mare, per ora di 3 centimetri a decennio). La concentrazione di CO2 continua a salire in parallelo con aumenti di temperatura. Chi d'altro canto sostiene la preminenza delle variazioni di irradiazione del Sole non si rende conto – continua Hansen – che, rispetto ai 240 watt per metro quadro della irradiazione media della Terra da parte del Sole, nel momento di minima irradiazione si ha una forzante negativa di 0,2 watt per metro quadrato, mentre l'aumento di CO2 contribuisce per 1,5 watt. Peraltro, commenta Hansen, non c'è parallelismo fra la variabilità solare e la temperatura osservata sulla Terra.

Certo determinare quanto tempo ci vorrà perché gli "amplificatori" dell'effetto serra (quali lo scioglimento delle calotte glaciali e la liberazione in atmosfera degli idrati di metano a seguito dello scioglimento del pack artico) facciano fare un salto di qualità al sistema è un "classico problema non lineare" di difficile soluzione. Anche perché mancano alcune variabili importanti: nessuno sa al momento quanto sia il contributo dell'aerosol che, al contrario della CO2, scherma in entrata la radiazione solare raffreddando il pianeta. Gli studi riflettografici e di interferometria per capire meglio le dinamiche degli aerosol proposti dallo stesso Hansen alla NASA non sono stati finanziati. Non solo: le uscite pubbliche sempre più decise di Hansen per alimentare la sensibilità nei confronti del cambiamento climatico in corso gli sono valse più di un problema con la NASA, che alla fine lo ha messo sotto tutela, facendo filtrare le richieste di interviste da un ufficio stampa di nomina politica. Il fatto, che in Italia non desterebbe grande clamore, ha scatenato una campagna sulle colonne del New York Times e addirittura un libro inchiesta di Mark Bowen, Censoring Science.

Secondo Hansen la scienza suggerisce che il cambiamento climatico possa tradursi nell'arco di un secolo in una crisi con un effetto cumulativo a palla-di-neve senza precedenti, per la quale non basteranno i pannicelli caldi di politiche di adattamento. Per riequilibrare in modo efficace e competente il crescente squilibrio energetico del sistema Terra si dovrà allora da un lato proseguire gli studi sugli aerosol e sui tempi di riscaldamento degli Oceani (altra variabile importante per determinare quando ci dovremo aspettare lo scioglimento accelerato dei ghiacci). Dall'altro lato si dovrà trovare un accordo internazionale non basato – come quello di Kyoto – sulla burla delle compensazioni e su soglie di abbassamento della CO2 ampiamente disattesi anche dai paesi più virtuosi (come il Giappone), ma da un bando totale del carbone da qui al 2020, seguito in forma più graduale dalla riduzione del consumo delle altre fonti fossili (gas e petrolio), mediante una draconiana carbon tax da applicare alla fonte, con ritorno del gettito fiscale direttamente nelle tasche dei cittadini. Non sarà facile, visto che paesi come gli USA e la "verde" Germania hanno ancora in funzione centinaia di centrali a carbone. Il resto lo dovrà fare l'aumento dell'efficienza energetica nel comparto industriale e domestico, l'adozione (ma senza incentivi) delle energie rinnovabili, e – se i tempi sono davvero così stretti – del nucleare.

Anche l'insieme di queste politiche, secondo Hansen, non basterà per ristabilire un equilibrio energetico del Pianeta Terra, corrispondente a una concentrazione di CO2 di 350ppm e a una minimizzazione estrema degli altri gas serra. Oltre a queste misure servirà un piano intensivo di forestazione e di aumento della capacità del suolo di trattenere carbonio.


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