Mettendo a confronto le immagini di un ammasso stellare con quelle raccolte dal telescopio spaziale dieci anni prima gli astronomi hanno notato che il movimento delle stelle che lo compongono è differente da quanto si pensava.
Questa inaspettata scoperta riguarda la nebulosa nota come NGC 3603, un agglomerato di gas della nostra Galassia distante circa 20 mila anni luce in direzione della costellazione della Carena e caratterizzato da una intensa formazione stellare. In una regione grande poco più di tre anni luce possiamo incontrare, impacchettato per bene, un numero incredibile di giovani stelle la cui massa complessiva supera le 10 mila masse solari.
Wolfgang Brandner (Max-Planck Institute for Astronomy) e i suoi collaboratori erano intenzionati a scoprire se le stelle che lo compongono fossero ancora in movimento oppure, come solitamente avviene, i loro moti si fossero ormai placati. Un modo davvero eccellente per condurre una simile indagine era quello di confrontare immagini di NGC 3603 prese in epoche differenti e l'archivio del telescopio spaziale Hubble era quello che ci voleva. Confrontando dunque le riprese del 1997 con quelle del 2007 ottenute con la medesima apparecchiatura (la Wide Field Planetary Camera 2), il team di Brandner è riuscito con un lavoro durato due anni a misurare gli spostamenti di oltre 700 stelle dell'ammasso.
La sorpresa è venuta dal fatto che, anziché rilevare un moto generale delle stelle avviato verso la tranquillità, le stelle di NGC 3603 sembrano ancora molto attive nei loro movimenti. Poiché le velocità osservate non dipendono dalla massa delle stelle, si ritiene che riflettano ancora le condizioni dinamiche presenti quando – circa un milione di anni fa – si è formato l'ammasso.
Moti stellari a sorpresa
prossimo articolo
Come cominciano i terremoti

Analizzando i primi secondi delle onde P, le prime a essere registrate dai sismometri durante un terremoto, un gruppo di ricercatori ha mostrato che è possibile stimare la magnitudo del terremoto. Il loro risultato si aggiunge al lungo dibattito sulla natura deterministica dei fenomeni di rottura all’origine dei terremoti e dunque sulla loro prevedibilità e ha implicazioni per i sistemi di allerta sismica precoce.
Nell'immagine due geologi dell'USGS misurano una rottura di faglia causata dai terremoti di Ridgecrest in California nel 2019. Foto di Ben Brooks/USGS (CC0).
È possibile prevedere la magnitudo di un terremoto osservando le onde sismiche nei loro primissimi istanti? Gli scienziati dibattono da decenni intorno a questa domanda, che è centrale per la progettazione dei sistemi di allerta sismica precoce.
Uno studio pubblicato recentemente da un gruppo di sismologi dell'Università di Napoli Federico II mostra che è possibile, analizzando circa 7000 mila onde sismiche relative a 200 terremoti avvenuti in tutto il mondo con magnitudo tra 4 e 9.