fbpx Mario Negri: marcatore nell'eeg per prevenire epilessia | Scienza in rete

Mario Negri: marcatore nell'eeg per prevenire epilessia

Read time: 3 mins

Ricerca dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’.
Attraverso modelli matematici e potenti computer,
individuato per la prima volta nell’elettroencefalogramma
un marcatore utile per sviluppare terapie volte a prevenire l’epilessia

Ricercatori dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’,  grazie all’analisi matematica nota come “Analisi Quantitativa delle Ricorrenze” e all’utilizzo di potenti strutture di calcolo informatico note come Grid Computing, hanno identificato, nell’attività elettrica del cervello (misurata con l’elettroencefalogramma), un marcatore in grado di segnalare lo stato iniziale dell’epilessia.

Lo studio, pubblicato sull’autorevole Scientific Report, si è basato sull’analisi di dati precedentemente ottenuti da un team di ricercatori italiani ed israeliani in un modello sperimentale che riproduce nei topi ciò che accade nel cervello dell’uomo in seguito all’esposizione a fattori di rischio, tra cui ictus, traumi cerebrali, infezioni, esposizione ad agenti tossici, che possono portare all’insorgenza dell’epilessia.

Il marcatore individuato dai ricercatori dell’Istituto ‘Mario Negri’ è rappresentato da un comportamento dell’attività elettrica cerebrale noto come “intermittenza dinamica”, ossia un comportamento caratterizzato dall’alternanza tra oscillazioni approssimativamente regolari e oscillazioni molto irregolari. Un comportamento che è molto pronunciato durante le fasi in cui si sviluppa l’epilessia ed è riscontrabile negli elettroencefalogrammi già nelle prime 48 – 72 ore successive all’esposizione ai fattori di rischio.

Cosa ancor più importante, è stato mostrato come la somministrazione di un farmaco sperimentale in grado di prevenire l’insorgenza dell’epilessia negli animali da laboratorio, sia in grado di ridurre notevolmente questo comportamento dell’attività elettrica del cervello, mostrando la prova di principio che questo marcatore potrebbe essere utilizzato come indicatore del potenziale anti-epilettogeno delle terapie in fase di sviluppo, terapie tuttora mancanti.

Infatti, ad oggi, la mancata individuazione di un ‘marcatore di epilettogenesi’, ossia un evento misurabile che si verifica esclusivamente durante le fasi di sviluppo della malattia (quando le convulsioni non si sono ancora manifestate a livello clinico), è andata di pari passo con  l’assenza di trattamenti terapeutici potenzialmente in grado di prevenire lo sviluppo dell’epilessia,

Grazie all’identificazione di questo marcatore precoce di epilettogenesi – sostiene Massimo Rizzi, del Dipartimento di Neuroscienze dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ -, si potrà dare un impulso considerevole alla ricerca per la messa a punto di interventi terapeutici in grado di prevenire efficacemente l’insorgenza dell’epilessia nei soggetti a rischio.”

Questi risultati sono stati resi possibili grazie al progetto europeo EPITARGET, che non solo promuove la ricerca sull’epilessia ma, anche, lo scambio di dati tra i ricercatori, e dall’utilizzo dei centri di calcolo dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), che rappresentano i componenti chiave dell’intera struttura di calcolo italiana basata sul Grid Computing.

Secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), quasi un milione di persone nel mondo, ogni anno, sviluppano l’epilessia in seguito all’esposizione a noti fattori di rischio come l’ictus, traumi cerebrali, infezioni, esposizione ad agenti tossici, ipossia, solo per citare i più comuni. Per questi individui ancora oggi non è possibile intervenire in alcun modo, dato che non esistono terapie in grado di prevenire l’insorgenza dell’epilessia. Infatti, le terapie (prevalentemente farmacologiche) attualmente disponibili sono sintomatiche, cioè agiscono solo sui sintomi (le convulsioni) allo scopo di prevenirne o, almeno, limitarne la comparsa, cosa purtroppo non sempre possibile da attuare con efficacia.

http://www.nature.com/articles/srep31129

Autori: 
AllegatoDimensione
PDF icon scientific_reports_31129.pdf2.14 MB

prossimo articolo

Alimentazione sostenibile: imparare dalla preistoria

Dimostrazione cottura preistorica

Il progetto  Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.