fbpx La paura che non passa | Scienza in rete

La paura che non passa

Read time: 3 mins

La paura ci aiuta a sfuggire al pericolo. Ma spesso situazioni minacciose o eventi traumatici possono generare profonde paure che si legano a schemi cerebrali in grado di ripetersi molto tempo dopo, dando vita a disturbi post traumatici da stress (PTSD) e altri disturbi d'ansia. Per questi individui, l'esposizione a determinati stimoli può far rivivere il trauma originale. Un gruppo di scienziati in Francia, utilizzando l’optogenetica nei topi, sta identificando i meccanismi cerebrali alla base di questa espressione della paura.

Il gruppo di ricerca guidato da Cyril Herry dell’Inserm Magendie Neurocentre, a Bordeaux, da tempo studia ciò che avviene nel cervello durante diversi tipi di comportamenti legati alla paura. Herry ha presentato, durante il Fens Forum 2014, una nuova ricerca sui topi. I risultati sono stati ottenuti utilizzando analisi comportamentali, dati elettrofisiologici e tecniche di optogenetica.
L’obiettivo era analizzare i legami tra comportamenti generati dalla paura e memoria emotiva. “Abbiamo usato un nuovo paradigma comportamentale, che considera molti aspetti clinici dei disturbi da stress post traumatico” dice Cyril Herry, il cui laboratorio è uno dei pochi che unisce lo studio dell’attività neurale negli animali all’optogenetica.

Queste ricerche hanno rivelato che una particolare area del cervello – la corteccia mediale prefrontale – è cruciale per l’espressione dei comportamenti condizionati dalla paura nei topi. Utilizzando l’optogenetica, Herry e colleghi avevano già identificato nel corso di studi precedenti specifici circuiti neurali coinvolti in questi meccanismi. Ora una ricerca più recente ha mostrato che l’inibizione di particolari neuroni in una zona della corteccia prefrontale determina la risposta alla paura. Si tratta di una reazione a catena, in cui l’inibizione di alcune cellule ne attiva altre, che a loro volta attivano le aree del cervello che poi portano all’espressione della paura negli individui.
Nel caso di PTSD, un elemento tipico è la ‘generalizzazione della paura’, ovvero la ripetizione dell’esperienza legata al trauma anche in un ambiente neutro. E questa continua risposta della paura influenza profondamente la vita di molte persone.

Gli studi condotti da Herry e colleghi sono i primi ad analizzare l’attività cerebrale durante la generalizzazione della paura indotta da nuovi contesti. “Speriamo di identificare i meccanismi cerebrali che portano alla generalizzazione della paura, e comprendere quali sono i circuiti neurali responsabili” spiega il ricercatore.
Per raggiungere tale obiettivo, l’optogenetica fornisce strumenti fondamentali. Questo metodo di ricerca, sempre più diffuso, utilizza la luce per indurre l’attività delle cellule cerebrali. In questo modo gli scienziati possono stimolare gli impulsi del cervello, ed esaminare nel dettaglio come i circuiti neurali comunicano tra loro. Il tutto direttamente in vivo e in tempo reale.
“Per studiare il comportamento legato alla paura nei topi, l’optogenetica permette di attivare neuroni in specifiche aree del cervello, con una precisione temporale al millisecondo senza precedenti. È anche possibile attivare o disattivare specifiche cellule o strutture cerebrali” racconta Herry. “Combinando queste tecniche, siamo in grado di spiegare meglio come le risposte alla paura si manifestano nel cervello, e chiarire quali circuiti le generano”.

La speranza è che una migliore comprensione di questi meccanismi nel caso di PTSD possa portare ad avanzamenti nella cura di disturbi simili. “I nostri studi sugli animali potrebbero offrire nuove spiegazioni su come il cervello umano processa la paura, facilitando lo sviluppo di nuovi trattamenti per i disturbi da stress post traumatico e altre condizioni psichiatriche correlate”. 

Autori: 
Canali: 
Fens 2014

prossimo articolo

Diritto all'aborto in Italia: dibattito, restrizioni e impatti sulle donne

Mano femminile che tiene un test di gravidanza positivo

Il 23 aprile è stata approvata la legge che consente l'inserimento delle associazioni pro-vita nei consultori. Le restrizioni sull'aborto (la cui legge al riguardo è già gravata da vincoli e limitazioni significativi) possono avere effetti gravi sul benessere fisico e psicosociale delle donne: l'aborto è un diritto che non dev'essere gravato da ulteriori restrizioni, mentre molto si potrebbe fare per migliorare la legislazione attuale, così da garantire davvero il diritto delle donne a scegliere e l'accesso sicuro all'aborto.

Il tema dell’aborto ha acceso ancora una volta il dibattito politico e pubblico in Italia, contrapponendo chi considera questa pratica moralmente inaccettabile e chi considera il mantenimento e la promozione della libertà riproduttiva di ogni donna una priorità.