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Le Scienze Naturali nella Scuola, n 41

Abstract

I piccoli RNA: un corso di formazione CNR - ANISN Lazio
I punti di vista dell’organizzatrice e di un docente partecipante

L’obiettivo che ha fatto da guida alla progettazione del corso (*) è stato comunicare la pratica della ricerca scientifica, non solo i suoi risultati. Il percepire come la scienza lavora – è stata questa l’idea - avrebbe stimolato gli insegnanti e suggerito loro modi diversi, meno impersonali e descrittivi della lezione tradizionale, per comunicare la scienza in classe.

Il corso è stato centrato su un’attività sperimentale preceduta da una breve introduzione e seguita solo da due lezioni frontali. L’esperimento proposto, basato su una strategia sperimentale ed un protocollo già definiti, consisteva nel misurare l’inibizione dell’espressione di uno specifico gene ottenuta mediante “interferenza da RNA (RNAi)” e nell’investigare alcuni effetti che questa inibizione produce nella linea cellulare analizzata. Il laboratorio non è stato pensato quindi per introdurre all’uso di una tecnica innovativa, né come strumento per promuovere un apprendimento del tipo inquiry-based. L’esperimento doveva consentire di osservare direttamente quanto potente possa essere l’RNAi nelle mani di un ricercatore che vuole ottenere informazioni sulla funzione di un certo gene. L’attività sperimentale era cioè stata ideata per mostrare una applicazione importante della scoperta dei piccoli RNA e, allo stesso tempo, per condurre all’interno di un progetto di ricerca. L’aspetto qualificante di questa attività era nel fatto – io credo - che l’esperimento proposto non era stato progettato per gli scopi didattici del corso, ma faceva parte di un progetto di ricerca che una mia collaboratrice aveva sviluppato nel corso dell’attività sperimentale prevista dal suo dottorato di ricerca. Proprio la mia collaboratrice, che nel corso ha svolto insieme a me il ruolo di tutor, ha discusso anche gli obiettivi principali e alcune linee di sviluppo del suo progetto, consentendo così ai docenti di valutare l’importanza del risultato di quel loro esperimento (basato sull’utilizzo della interferenza da RNA) agli scopi del progetto di ricerca per cui era stato ideato.

Nella stessa linea-guida, quella del comunicare il fare scienza, è stata progettata la breve introduzione con la quale s’intendeva fornire una mappa dei concetti-chiave, cioè uno schema concettuale che aiutasse a memorizzare le informazioni e a sviluppare una comprensione organizzata degli argomenti che sarebbero stati trattati. Lo strumento principale di questa introduzione è stato una presentazione PowerPoint, scelta fra le tante analizzate, disponibile nel sito web dell’Howard Hughes Medical Institute, nella sezione dedicata a insegnanti e docenti di scienze nella quale il materiale didattico è presentato con il sottotitolo “teach ahead of the textbook”. La strategia usata in questa presentazione per introdurre la scoperta dei “piccoli RNA” è quella di chiedere al docente di fare predizioni riguardo al risultato di un certo esperimento. Partendo dalla risposta, lo studente è guidato a una comprensione ragionata dei tentativi sperimentali fatti per spiegare il risultato realmente ottenuto in quell’esperimento, diverso da quello che era ragionevole attendersi. Questa strategia, attraverso la quale vengono mostrati i passi essenziali del meccanismo molecolare dell’RNAi e messi in evidenza gli aspetti principali della sua funzione, rappresenta un esempio di come, anche fuori dal laboratorio, i risultati della ricerca scientifica possano essere presentati comunicando il fare scienza.

*Il corso di formazione “Piccoli RNA: una rivoluzione nella biologia degli RNA”, al quale ho partecipato come docente e coordinatore scientifico, era rivolto a insegnanti di Scienze naturali degli istituti secondari superiori e si è tenuto a Roma presso l’Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare del CNR il 29 e 30 settembre 2010. Il corso è stato frutto di una collaborazione tra ANISN Lazio e Consiglio Nazionale delle Ricerche.

I Tardigradi, questi sconosciuti … e questi fenomeni!

Attorno a noi vivono innumerevoli animali microscopici che, pur essendo sconosciuti ai più, possono offrire prospettive per il miglioramento non soltanto delle nostre conoscenze, ma anche della nostra vita. Tra questi “sconosciuti” annoveriamo i Tardigradi, diffusissimi invertebrati che hanno colonizzato tutti i tipi di ambiente: marino, d’acqua dolce e terrestre (soprattutto gli interstizi di muschi e licheni). In quest’ultimo caso i Tardigradi, di fatto organismi acquatici, conducono vita attiva solamente quando circondati da almeno un velo d’acqua.

La prima descrizione di un Tardigrado risale al 1773; Johann A. E. Goeze lo definì “kleiner Wasser Bär” (orsetto d’acqua), nome ancor oggi utilizzato dagli autori di lingua tedesca ed inglese (water bear). Fu poi definito da Bonaventura Corti “il brucolino” (1774) e finalmente “il tardigrado” da Lazzaro Spallanzani (1776). Da allora, sono state descritte oltre un migliaio di specie.

I motivi di interesse per i Tardigradi sono diversi: questi animali hanno probabilmente condiviso la prima parte del percorso evolutivo con gli Artropodi, un gruppo di organismi dal successo strepitoso con oltre un milione di specie descritte, moltissime a noi estremamente familiari (es. api, mosche, zanzare, ragni, millepiedi, aragoste). I Tardigradi hanno evoluto diverse strategie riproduttive: fecondazione incrociata (unione di uovo e spermatozoo di individui diversi), ma anche autofecondazione in organismi ermafroditi e, in presenza di sole femmine, partenogenesi (sviluppo di uova non fecondate). La partenogenesi e l’autofecondazione sono vantaggiose in animali che, come i Tardigradi, sfruttano la dispersione passiva (soprattutto attraverso il vento) per colonizzare nuovi territori anche con un con un solo individuo. La dispersione passiva è a sua volta favorita dalla capacità di attuare diverse forme di dormienza in risposta diretta o indiretta a variazioni ambientali. I Tardigradi sono in grado di formare cisti, produrre uova di durata (cioè con schiusa molto ritardata) e attuare diverse forme di criptobiosi (vita nascosta), sia congelandosi (criobiosi) che disidratandosi (anidrobiosi) se nel loro habitat l’acqua si congela o evapora. Quando il ghiaccio scongela o l’acqua è di nuovo presente, questi animali tornano rapidamente a vita attiva. L’anidrobiosi fu studiata già nel 1776 da Spallanzani che riteneva il fenomeno una “reviviscenza” (resurrezione); ancor oggi è molto indagata per le sue possibili applicazioni, dato che i Tardigradi anidrobionti aumentano notevolmente la resistenza ad agenti fisici e chimici che ucciderebbero immediatamente organismi attivi. Come possono riuscire a sopravvivere a simili stress? Questa è la domanda alla quale recentemente diversi studiosi stanno cercando di dare una risposta, conducendo studi sui meccanismi molecolari alla base di queste sorprendenti caratteristiche. Su queste basi i Tardigradi sono stati scelti come modello di organismi pluricellulari per studiare le strategie adattative e i meccanismi molecolari che consentono la vita nello spazio. Sono stati coinvolti in due progetti (TARDIS, promosso dall’Agenzia Spaziale Europea; TARSE, promosso dall’Agenzia Spaziale Italiana) con esperimenti condotti a bordo del modulo spaziale FOTON M3 in orbita per 12 giorni nel Settembre 2007. I Tardigradi non hanno deluso le aspettative, mostrando una buona resistenza anche agli stress dell’ambiente spaziale (vuoto, microgravità, radiazioni). Durante il volo gli esemplari attivi sono stati persino in grado di riprodursi e svilupparsi.

Carpire il segreto di questa straordinaria capacità di sopravvivenza attraverso l’individuazione delle molecole e dei processi che la permettono rappresenta un obiettivo da perseguire che, se raggiunto, potrà certamente essere di grande aiuto all’uomo, ad esempio nella preservazione di tessuti ed organi e nella stabilizzazione di vaccini e cellule.

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