fbpx Tiroide da staminali embrionali | Page 2 | Scienza in rete

Tiroide da staminali embrionali

Primary tabs

Read time: 3 mins

Sabine Costagliola, embriologo molecolare presso la libera Università di Bruxelles, ha dimostrato in un lavoro su Nature che nei topi, la funzione tiroidea può essere ripristinata anche dopo la distruzione della ghiandola stessa, grazie all’utilizzo di cellule staminali embrionali di topo.

La tiroide è una ghiandola che secerne ormoni, che regolano molte funzioni del corpo, relative soprattutto al metabolismo. Circa 1 un bambino su 3.000 nasce con una bassa attività tiroidea, che in alcuni casi può portare ad avere uno sviluppo stentato sia mentale che fisico. Il team belga ha immerso delle cellule staminali embrionali di topo in un cocktail in cui erano presenti due fattori di trascrizione: NKX2-1 e PAX8, che si esprimono insieme solo nella tiroide. Esposte a questi fattori per un periodo di tempo compreso fra 4 a 6 giorni, le staminali si sono differenziate in cellule follicolari della tiroide, che sono cellule deputate a produrre gli ormoni tiroidei. Le cellule della tiroide, tuttavia, devono essere organizzate in una particolare forma tridimensionale prima di poter svolgere la propria funzione. L’aggiunta della tireotropina, l’ormone che regola il funzionamento della tiroide, ha “incoraggiato” le cellule a organizzarsi in tessuti dalla struttura tridimensionale. L’équipe guidata da Costagliola, della quale fanno parte anche gli italiani Francesco Antonica e Mario Manto, ha scoperto che questi follicoli sono in grado di intrappolare ioduro e sintetizzare ormoni tiroidei. “Quando è iniziato il progetto, la nostra speranza era di ottenere alcune cellule che possono essere utilizzate per studiare la fisiologia della tiroide”, spiega Costagliola, “ non pensavamo di ottenere follicoli tiroidei”. Il passo successivo è stato quello di vedere come questi follicoli funzionassero, in topi vivi, e di valutare il loro potenziale per correggere l’ipotiroidismo. Questa condizione è stata indotta in topi attraverso un iniezione di iodio radioattivo che si è andato ad accumulare nelle loro ghiandole tiroidee, causando la scomparsa del tessuto. Quattro settimane più tardi, una volta diagnosticato l’ ipotiroidismo, i topi hanno ricevuto le cellule ottenute in vitro e, nell’organismo degli animali, hanno dato vita a tessuti della tiroide che ha iniziato a funzionare regolarmente ripristinando, dopo circa due mesi dall’ impianto, i livelli di ormoni tiroidei nel sangue. Su nove topi trapiantati con queste cellule, otto hanno mostrato completa guarigione. La prossima sfida sarà quella di tradurre questo all’uomo. La ricerca apre infatti, la strada a trattamenti con le cellule staminali nei confronti di un tipo di ipotiroidismo causato da mutazioni geniche o per curare attraverso il trapianto clinico i pazienti con cancro alla tiroide, per il quale è stata rimossa la ghiandola. Questi risultati sono stati possibili grazie ai passi avanti ottenuto dalla medicina degenerativa.

Proprio le tecniche di riprogrammazione cellulare sono valse quest’anno il premio Nobel per la Medicina a John Gurdon e a Shinya Yamanaka.

Autori: 
Sezioni: 
Dossier: 
Medicina

prossimo articolo

Alimentazione sostenibile: imparare dalla preistoria

Dimostrazione cottura preistorica

Il progetto  Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.