fbpx Mind set: la mente plurale | Page 2 | Scienza in rete

Mind set: la mente plurale

Primary tabs

Read time: 3 mins

Matematici, psicologi, linguisti, biologi e fisiologi insieme a Milano hanno discusso della mente nel convegno “MIND set. La mente cresce, tu decidi, il mondo cambia” organizzato dall’Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi lo scorso 1 dicembre. Anima della conferenza è Gabriella Pravettoni professoressa di Scienze Cognitive e coordinatrice del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Cognitive e Processi Decisionali all’Università degli Studi di Milano. 

Attraverso l’insieme di diverse discipline la mente cresce, l’individuo acquisisce conoscenze e le usa per decidere, per muoversi nel mondo, per modificare il mondo. La mente diventa così plurale, in cui esperienze diverse generano saperi complessi, credenze, valori, ideali che cooperano e competono generando il cambiamento individuale e sociale e garantendone il futuro e il benessere. Le scienze cognitive hanno accettato la sfida e per studiare la pluralità della mente si sono fatte multidisciplinari. 

Bisogna accogliere la complessità”,  afferma Gabriella Pravettoni e il convegno vuole esserne una testimonianza. Paolo Veronesi, Presidente della Fondazione, invece apre la giornata parlando dell’importanza e la difficoltà della divulgazione scientifica. A questo scopo la Fondazione mette in campo le migliori risorse, coinvolge i migliori scienziati perché il cammino della scienza possa entrare nel cuore di tutti. Ricorda inoltre il ciclo di conferenze che la Fondazione promuove da diversi anni a Venezia a settembre “Il futuro della scienza” che quest’anno era dedicato alla mente. 

Una giornata intensa in cui vengono toccati molteplici aspetti del sistema cognitivo nell’uomo nei diversi momenti della vita. Nel neonato per esempio la memoria visiva e la preferenza al movimento biologico sono capacità cognitive di base associate a meccanismi generali adattativi volti a indirizzare l’uomo nello spazio e nell’ambiente, non a reali capacità decisionali. Francesca Simon, psicologa dello sviluppo dell’Università di Padova, spiega come solo a tre mesi la faccia diventi uno stimolo per il bambino che è in grado di indivuduarla tra immagini deformate. I dati comportamentali presentati vengono confermati dall’analisi della risposta corticale che chiaramente si specializza con lo sviluppo del bambino. Altro mondo quello di Marcello Massimini, professore di Fisiologia dell’Università degli Studi di Milano, che presenta una tecnica innovativa per definire l’attività cerebrale nel cervello di pazienti in cui è difficile definire lo stato di coscienza. Il sistema prevede l’utilizzo di uno stimolatore magnetico per indurre una risposta nella corteccia cerebrale. Le immagini indicano in modo chiaro che nel sonno e sotto anestesia la risposta, a seguito di stimolazione, è presente solo nell’area trattata, invece nella fase REM del sonno la risposta è simile a quella che si osserva nella veglia, in cui si evidenzia la complessità del sistema.

Se si vuole capire il cervello bisogna studiare la mente, spiega Michele Di Francesco, professore di Logica e la Filosofia della Scienza dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Mente provvista di corpo, inserita nell’ambiente ed estesa. La mente infatti è in grado di estendersi nel mondo servendosi di artefatti cognitivi che ne potenziano le prestazioni. Il più evidente degli artefatti è il linguaggio verbale, a cui si aggiungono quello matematico, i disegni, i grafici, mappe , internet eccetera. 

Al termine del convegno il concerto del quartetto Mnogaja Leta Quartet di musiche popolari, italiane, brasiliane, dell’Europa dell’Est, del Madagascar e poi di Negro-Spirituals, un’idea forse per rendere più appetibile la scienza anche se questa volta, con un’Aula Magna traboccante di persone, non era proprio necessario.

Autori: 
Sezioni: 
Neuroscienze

prossimo articolo

Alimentazione sostenibile: imparare dalla preistoria

Dimostrazione cottura preistorica

Il progetto  Onfoods in prehistory ha voluto comprendere e ricostruire l’eredità di una agricoltura sostenibile nata nella preistoria, migliaia di anni, fa e in grado oggi di rappresentare un modello di riferimento. E lo ha fatto con particolare attenzione alla condivisione di questi valori con un pubblico più ampio possibile, sottolineando quanto si può imparare dalla ricerca archeologica e dalle comunità dell’età del Bronzo in termini di alimentazione sostenibile. Ce ne parla il gruppo di ricerca che ha portato avanti il progetto.

Nell'immagine: attività di archeologia sperimentale dimostrativa con cottura di una zuppa di lenticchie e una di roveja, con ceramiche riprodotte sperimentalmente sulla base dei reperti ceramici del villaggio dell’età del Bronzo di Via Ordiere a Solarolo (RA).

Pluridecennali ricerche sul campo, condotte da Maurizio Cattani, docente di Preistoria e Protostoria dell’Università di Bologna, e dal suo team, hanno permesso di riconoscere nell’Età del Bronzo il momento in cui si è definito un profondo legame tra la conoscenza del territorio e la sostenibilità della gestione delle sue risorse. Questa caratteristica ha infatti consentito alle comunità dell’epoca di prosperare, dando vita a villaggi sempre più stabili e duraturi nel corso del tempo.