Quando, nel 1970, gli scienziati di ESA (European Space Agency) e NASA (National Aeronautics and Space Administration) svilupparono il formato FITS (Flexible Image Transport System) probabilmente non immaginavano che un giorno sarebbe servito a digitalizzare gli antichi e preziosi testi conservati presso la Biblioteca Vaticana. Il formato per il sistema di trasporto flessibile delle immagini, infatti, utilizzato sinora per archiviare le informazioni di tutte le missioni astronomiche dell’Agenzia, è oggi impiegato anche per preservare una parte dei volumi della Biblioteca.
“Toccare un manoscritto è ogni volta un’azione pericolosa”, la dichiarazione di Luciano Ammenti, direttore del Centro di Informatica del Vaticano, a capo del progetto. Alcuni testi risalgono infatti a 1800 anni fa e la loro estrema delicatezza costringe ad optare per soluzioni di archiviazione non invasive ma comunque efficaci. Il formato FITS si adatta inoltre ai volumi conservati sotto vetro e calcola e corregge automaticamente le differenti angolazioni, restituendo una scansione nitida e regolare. Una tecnica quindi versatile, usata fin dai tempi dei pionieristici osservatori spaziali Herschel, Integral, XXM-Newton e SOHO fino al più recente telescopio spaziale Hubble.
