L’emozione persiste, anche se non si ha memoria dell’episodio che l’ha generata. È la conclusione di uno studio condotto da Justin S. Feinstein, Melissa C. Duff e Daniel Tranel, dell’Università di Iowa e pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences).
Dopo aver selezionato un gruppo di cinque pazienti affetti da grave amnesia in seguito a danni circoscritti all’ipotalamo, il team di ricercatori li ha invitati a guardare una serie di filmati raffiguranti temi della perdita e della morte. Mediante un dettagliato questionario, sono state raccolte informazioni circa le emozioni provate sia immediatamente prima della visione che subito dopo e, infine, a distanza di 20-30 minuti.
I soggetti hanno riferito di una profonda tristezza, come confermato anche dall’osservazione delle espressioni del viso nel corso della proiezione. Il giorno dopo, seguendo la stessa procedura, al gruppo sono state mostrate, invece, immagini molto divertenti. Anche in questo caso, la mimica facciale ha supportato la felicità espressa dai pazienti. Per comparare i risultati, lo stesso iter è stato seguito con persone senza alcun danno cerebrale.
In base alle osservazioni effettuate, si è giunti alla conclusione che il cervello umano è organizzato in modo tale che l’emozione possa persistere anche senza la memoria esplicita della sua causa. Questo, in contrasto con la nozione popolare che, semplicemente cancellando i ricordi dolorosi, è possibile liberarsi della sofferenza psicologica. I risultati di questo studio presentano interessanti implicazioni circa il modo in cui la società e le strutture mediche si relazionano ai soggetti con disturbi della memoria, come i pazienti affetti da Alzheimer. La visita di un familiare, una telefonata, un sorriso, anche se presto dimenticati dal malato, possono comunque lasciare segni positivi nel paziente e contribuire a rasserenarlo, migliorandone umore e reattività.
Il morbo di Alzehimer e altre forme di demenza, si argomenta nello studio, stanno raggiungendo proporzioni epidemiche e si ritiene quindi indispensabile un approccio integrato alla cura dei soggetti con gravi deficit di memoria.
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