fbpx La dieta non aiuta la longevità | Page 2 | Scienza in rete

La dieta non aiuta la longevità

Primary tabs

Read time: 2 mins

Una dieta basata su una rigida restrizione di calorie non è sufficiente a garantire un allungamento delle aspettative di vita. Lo dimostrano i risultati di uno studio condotto presso il National Institute on Aging, istituto che si occupa di verificare gli eventuali effetti di allungamento di vita in diverse specie animali, che possano poi essere traslati anche agli esseri umani.
La ricerca, guidata da Julie A. Mattison e pubblicata sulla rivista Nature, è in grado di smentire i precedenti studi nel settore. Le prime ipotesi sul rallentamento del processo di invecchiamento risalgono al 1930, quando ricercatori della Cornell University annunciarono di aver osservato maggiori aspettative di vita nei topi e nei ratti dal 10 al 40%, dopo aver tagliato l'apporto di calorie. Più di recente, nel 2009, il gerontologo Richard Weindruch della Università del Wisconsin ha dimostrato che una dieta di questo tipo più moderata, riesce a rallentare la vecchiaia dei macachi lungo un percorso di 20 anni. Tuttavia, i dati dello studio dell'NIA suggeriscono che questo tipo di restrizione consente di ottenere benefici di altro tipo, risultanti in un miglioramento complessivo delle condizioni di salute e nelle funzioni generali di metabolismo.

I risultati delle osservazioni sulle scimmie analizzate, infatti, segnalano piuttosto un ritardo nell'insorgere di malattie associate all'età, come il diabete, cancro e malattie cardiovascolari. Una differenza così drastica rispetto alle ricerche del passato, secondo gli autori, può essere individuata nella composizione sia quantitativa che qualitativa delle diete - simili nel contenuto di carboidrati e proteine, mentre l'INA ha ridotto molto gli zuccheri rispetto al passato, ad esempio. Viene suggerito, inoltre, che gli effetti della dieta su eventuali variazioni di età, non possono che essere associati anche a fattori di tipo ambientale e genetico.

Autori: 
Sezioni: 
Alimentazione

prossimo articolo

Come cominciano i terremoti

faglia di terremoto

Analizzando i primi secondi delle onde P, le prime a essere registrate dai sismometri durante un terremoto, un gruppo di ricercatori ha mostrato che è possibile stimare la magnitudo del terremoto. Il loro risultato si aggiunge al lungo dibattito sulla natura deterministica dei fenomeni di rottura all’origine dei terremoti e dunque sulla loro prevedibilità e ha implicazioni per i sistemi di allerta sismica precoce.

Nell'immagine due geologi dell'USGS misurano una rottura di faglia causata dai terremoti di Ridgecrest in California nel 2019. Foto di Ben Brooks/USGS (CC0).

È possibile prevedere la magnitudo di un terremoto osservando le onde sismiche nei loro primissimi istanti? Gli scienziati dibattono da decenni intorno a questa domanda, che è centrale per la progettazione dei sistemi di allerta sismica precoce.

Uno studio pubblicato recentemente da un gruppo di sismologi dell'Università di Napoli Federico II mostra che è possibile, analizzando circa 7000 onde sismiche relative a 200 terremoti avvenuti in tutto il mondo con magnitudo tra 4 e 9.