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Il telescopio di Galileo

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Il 13 marzo 1610 dalla tipografia di Tommaso Baglioni, a Venezia, iniziano a uscire le prime copie sciolte, senza copertina e fresche d’inchiostro, di un libro, anzi di un «breve trattato» di appena 56 pagine, destinato a fare storia. Anzi, come scriverà tre secoli dopo, Ernst Cassirer, a dividere le epoche. C’è, nella storia dell’uomo, un prima e un dopo il Sidereus Nuncius scritto da Galileo Galilei, nobile fiorentino e docente di matematica presso lo Studio di Padova.

Quel libro contiene due serie, affatto diverse, di novità. La prima serie è quella a cui si riferiscono il titolo, annuncio sidereo, e lo storico delle idee Ernst Cassirer: una descrizione della superficie della Luna affatto diversa rispetto a quella fino ad allora immaginata; una conte di stelle molto superiore a quella fino ad allora effettuata; la scoperta di quattro lune che ruotano intorno a Giove e mai viste prima di allora. Il combinato disposto di queste novità è tale da abbattere un paradigma plurimillenario, quello dell’universo chiuso di Aristotele e Tolomeo.

La seconda serie di novità riguarda lo strumento, il cannocchiale, che Galileo ha costruito con le mani e puntato verso il cielo. Quell’innovazione tecnologica non è stata meno dirompente delle scoperte astronomiche che ha consentito di effettuare.

Alla storia del cannocchiale e dell’uso che ne fa Galileo tre storici della scienza – Massimo Bucciantini, Michele Camerota e Franco Giudice – hanno dedicato uno dei più bei libri di saggistica scientifica che siano stati pubblicati negli ultimi anni in Italia: Il telescopio di Galileo.

Il libro è la ricostruzione minuziosa della “vicenda del cannocchiale”, che inizia verso la fine di settembre del 1608 con Hans Lipperhey, un artigiano olandese di Middelburg, nella Zelanda, che si mette in cammino vero L’Aja per presentare al conte Maurizio di Nassau una sua invenzione: «un certo dispositivo grazie la quale tutte le cose a grande distanza possono essere viste come se fossero vicine». Un cannocchiale, appunto. Il racconto attraversa mezza Europa prima di approdare a Padova, dove nell’estate successiva il matematico del locale e celeberrimo Studio, il nobile fiorentino Galileo Galilei, lo perfezione e lo punta verso il cielo.

Inseguendo le tracce del cannocchiale, disseminate in tutta Europa, i tre autori approfittano per fornirci rapide pennellate di un continente che si accinge a essere dilaniato da guerre nazionali e religiose. Ma dove, quasi per miracolo, inizia a nascere e a formarsi una comunità transnazionale e transreligiosa di filosofi della natura capace non solo di mettere in correlazione «sensate esperienze» e «certe dimostrazioni», ma di fare, appunto, comunità. Il cannocchiale diventa così uno dei catalizzatori della nascita non della scienza ma della comunità scientifica.

In realtà il cannocchiale di (potenziato da) Galileo consente non solo di vedere le cose distanti come se fossero vicine, ma consente anche di mettere a fuoco e persino di creare fittissimi rapporti tra la «nuova scienza» e la «nuova società» del Seicento, una società che sta incubando – come sostiene lo spagnolo José Antonio Maravall – la cultura di massa. Grazie al cannocchiale e alla scoperte effettuate, Galileo diventa la prima grande star della neonata cultura di massa.

Ma sbaglia chi si aspetta da questo minuziosa (e avvincente e ricca) storia l’apologia di Galileo. Quello che i tre autori tratteggiano non è la figura di un eroe. Ma quella di un uomo, con molto genio, grandi progetti e tante contraddizioni. E la storia che quest’uomo, con  il suo telescopio e con la sua strategia di comunicazione, divide in due epoche, non è una storia mitica: ma una storia in cui grandi forze e piccoli uomini si mischiano a piccole storie e grandi uomini, delineando sempre percorsi tortuosi e contraddittori. Inclusi i percorsi della scienza.

Ma il libro non si esaurisce solo in una narrazione, per quanto rigorosa e avvincente. Chi lo legge ne esce arricchito anche sul piano epistemologico. Impara come si produce la conoscenza, in particolare la conoscenza scientifica. Impara come, in questa produzione di nuova conoscenza sul mondo naturale, c’è un rapporto essenziale e, insieme, inestricabile tra scienza e tecnologia. Impara perché si dice che la scienza sia «figlia di sua figlia, la tecnologia.

Impara, infine, che proprio come uno scienziato – Galileo – può esprimersi come un grande scrittore – anzi, come il più grande scrittore nella storia della letteratura italiana, secondo gli autorevoli pareri di leopardi e Calvino –  anche uno storico della scienza può esprimersi come un perfetto romanziere. E che tre storici della scienza possono, scrivendo a sei mani, buttare giù un’opera da cui, letta la prima pagina, non puoi più staccarti fino a quando non ne hai divorato l’ultima.



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