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La ricerca sbarca in Senato

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Non è stata una riunione formale, inamidata nel protocollo del Senato, quella che si è svolta il 10 dicembre nella Sala Koch di Palazzo Madama ("Incontro su scienza, innovazione e salute", coordinata da Marco Cattaneo e Armando Massarenti). E' stata l'occasione per tentare di ricucire lo strappo che da tempo divide classe politica e scienziati. Fortemente voluta dalla neosenatrice Elena Cattaneo e resa possibile dalla Commissione igiene e sanità del Senato (grazie alla senatrice De Biasi), una mattinata piena è volata via per raccontare potenzialità, importanza e - perché no? - redditività della scienza.
Dopo i saluti di rito ha esordito Giuseppe Remuzzi dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, che ha saputo provocare l'uditorio con la storia(ccia) del Conte Cavour che muore - come riferiscono il New England Journal of Medicine e il Lancet dell'epoca (1861) - circondato da medici "antiquati e supponenti" rimasti di fatto all'epoca delle sanguisughe. Eppure - commenta il Lancet dell'epoca, "il debito che l'Inghilterra ha verso l'italia è incalcolabile". Un debito antico, che risale ai tempi di Harvey che studia a Padova da Casserio, che ha generato una rendita di fiducia che nel corso degli anni è andata man mano esaurendosi, fino alla situazione attuale in cui l'Italia investe in ricerca la metà dei paesi vicini, ha metà dei ricercatori e il doppio di burocrazia. E ciononostante riesce ad esprimere alcune eccellenze.
Giuseppe Remuzzi

Eccellenti nonostante tutto

Compito della prima parte della mattinata è stato di mettere in fila alcune di queste eccellenze, soprattutto in campo biomedico: dalle nuove frontiere della terapia genica applicata ai trapianti di rene raccontata dallo stesso Remuzzi, alle ricerche sul sistema vascolare in relazione alle metastasi tumorali di cui si occupa Elisabetta Dejana dell'IFOM di Milano, al grande progetto di mappatura genetica delle malattie autoimmuni in via di svolgimento in Sardegna con un finanziamento dei National Institutes of Health (Francesco Cucca).
Lamberto Maffei dell'Accademia dei Lincei ha spiegato il progetto "Train the brain" e i suoi interessanti risultati nella prevenzione della demenza, Alessandro Bertani di ISMET ha invece raccontato l'esperienza dei trapianti di polmone nel centro di eccellenza siciliano, mentre Bruno Dallapiccola ha fatto riferimento alla ricerca traslazionale in pediatria, soprattutto in riferimento alla componete genetica che ormai riguarda il 70% delle malattie infantili.
Non riconducibili se non indirettamente alle applicazioni biomediche sono state invece le relazioni di Luciano Majani e di Roberto Cingolani. Il primo ha illustrato le enormi ricadute industriali per l'Italia del Large Hadron Collider, e di come anche queste ricerche in fisica delle particelle si sono già tradotte in diagnostica e terapia medica, per esempio con l'adroterapia, Roberto Cingolani (direttore di quell'entità marziana nel panorama scientifico italiano che è l'istituto Italiano di Tecnologia di Genova, fondazione di diritto privato, con 1.200 ricercatori, 42% dei quali stranieri e con un'età media di 33 anni, che assume e licenzia secondo le regole del merito, come su Marte, appunto) ha esposto che cosa potrà fare nei prossimi anni la ricerca nanotecnologica in campi come la delivery dei farmaci, la retina artificiale (per mezzo di celle solari a vernici naturali) e la coclea artificiale utilizzando plastiche flessoelettriche; per finire - nello sbalordimento generale (soprattutto del senatore Sclipoti, che ha seguito attonito dall'ultima fila di poltroncine) le nuove ricerche sul tatto degli androidi.
Roberto Cingolani

Quanto rende la ricerca?

Ad Andrea Bonaccorsi della'Università di Pisa è toccato affrontare in termini non retorici la vera redditività della ricerca scientifica. Convincere in tempi di vacche magrissime i decisori che la spesa per la ricerca scientifica non va messa nelle spese correnti ma in quelle d'investimento non è infatti compito facile, e nemmeno scontato dal punto di vista della scienza economica. Se infatti consideriamo solo l'impatto diretto della ricerca (in brevetti, royalties, prodotti) la ricerca non si ripaga. Nemmeno la NASA, il cui ritorno di investimento si può valutare intorno al 10%. Se invece si calcola l'impatto indiretto le cose cambiano, perché lo spillover di conoscenza in altri ambiti e l'investimento in capitale umano generano un ritorno ragguardevole, anche se difficilmente quantificabile, per via della non linearità che la ricerca di base genera indagando potenzialità ancora ignote. Tuttavia, le stime esistenti che si sono applicate a ritroso, risalendo dalle grandi famiglie di innovazioni tecnologiche alle scoperte scientifiche che le hanno rese possibili, suggeriscono che le ricerca pubblica possa generare un tasso di rendimento annuale che si aggira intorno al 20-50%. Il che significa che la ricerca pubblica di base si ripaga nel giro di 2-5 anni. Questo per quanto riguarda il primo punto che riguarda gli impatti indiretti della ricerca: lo spillover di conoscenza dal bancone del ricercatore ai prodotti industriali. C'è poi l'investimento in capitale umano: qui il tasso di rendimento è più basso perché l'investimento pubblico nella formazione completa di un ricercatore è piuttosto alto (circa 280.000 euro, dalle elementari alla fine dell'università), ma non al punto da annullare i benefici economici, capaci di generare un tasso di rendimento di circa il 15%. Come rispondere, allora, al timore che questi investimenti in realtà vengano allocati in modo inefficiente, generando sprechi anziché vantaggi? Mostrando ai politici che la ricerca scientifica, più di altre attività umane, può contare su strumenti di valutazione del merito che garantiscono in qualche modo della bontà dell'investimento (fra cui anche l'esercizio svolto da ANVUR). L'esperienza infine mostra - ha concluso Bonaccorsi - che quando la società pone domande politiche, il ricercatore risponde sempre con dedizione. Il problema è far sì che la politica chieda di più al mondo della ricerca. Un po' laterale anche se suggestiva è stata invece la relazione di Sabino Cassese sulla scienza giuridica e sulla storia dei rapporti fra scienza e politica, ripresi poi con piglio più filosofico verso la fine dell'incontro da Giulio Giorello (sul nesso fra scienza, libertà di ricerca e democrazia) e Nicla Vassallo.
Luca Pani

Napolitano: gli Stati sono taccagni, profittate di Horizon 2020!

Nei discorsi più istituzionali - da quello del ministro della salute Lorenzin a quelli del presidente del Senato Grasso e del presidente Napolitano - si è colta la tensione che la parte migliore della politica sente nel voler riportare la scienza nei processi decisionali della politica. A partire da quell'idea di "Senato della conoscenza" che potrebbe rappresentare una via di uscita virtuosa dalle ridondanze del nostro bicameralismo perfetto (!?). Come ha spiegato Napolitano, gli esempi della House of Commons britannica, del Bundesrat tedesco e del Senato francese indicano la strada di una possibile autoriforma della seconda camera a cui togliere compiti legislativi per specializzarlo in compiti più "conoscitivi". "Conoscere prima di deliberare", diceva Luigi Einaudi. Napolitano ha voluto ribadirlo, non mancando di sottolineare ai presenti l'importanza del breve videodiscorso di Barroso quando ha citato la straordinaria occasione rappresentata anche per l'Italia dal nuovo programma quadro Horizon 2020. "Gli stati nazionali sono molto taccagni" ha esclamato Napolitano nel suo discorso con la sua inconfondibile sprezzatura. "E questa è un'eccezione importante fatta per la ricerca (…) perché la ricerca è una parte importante del progetto europeo".
Come ha giustamente notato il presidente dell'INAF Giovanni Bignami nella sua sintesi finale, subito prima del discorso di chiusura del presidente del CNR Luigi Nicolais, Napolitano ha suggellato con la sua presenza una giornata importante. Solo la prima. Speriamo.
Giovanni Bignami

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