A child inspected in Fukushima prefecture, Japan
Ci assicurano che non sarà come Chernobyl, ma è già peggio di Three Miles Island. L'incidente ai quattro reattori di Fukushima impensierisce tutti tranne i fanatici. E se è vero che stiamo parlando di centrali vecchie, sono pur sempre centrali in uso. E' questo il nuclerae con cui abbiamo a che fare, questa la sua "realtà effettuale". Non vorremmo che ai bambini di Chernobyl si aggiungessero le malinconiche vacanze italiane dei "bambini di Tokyo".
Ogni anno infatti vengono a passare le vacanze in Italia circa fra i venti e i trentamila bambini bielorussi, contaminati dall'incidente di Chernobyl. Qualche settimana in Italia è una pausa salutare da una terra avvelenata dall'incidente nucleare di Chernobyl. Una terra nella quale molti di loro sono rimasti orfani, e in cui sono costretti a vivere nonostante le precarie condizioni ambientali in cui ancora si trova a più di vent'anni dall'incidente. La radioattività non perdona e ciò che contamina te lo puoi scordare per il resto della vita. Così sarebbe dovuto essere, per esempio dell'agricoltura e degli orti delle regioni più colpite della Bielorussia - fra Gomel e Mogilev. Ma in realtà i divieti si aggirano e la vita anche in quel deserto post-nucleare continua come sempre, consumando l'insalata dell'orto e bevendo il latte della mucca. E che dio la mandi buona.
La nuvola radioattiva che si sviluppò a partire dalla notte del 25 aprile 1986 ricadde infatti in buona parte in Bielorussia contaminandone il 30% del territorio con radionuclidi come lo iodio-131, lo stronzio 89-90 e il cesio-134 e 137. Il cesio 137 è un isotopo radioattivo prodotto dalla fissione dell’atomo. Si tratta di un radionuclide a lunga vita, con un tempo di dimezzamento di circa 30 anni. Una volta disperso nell’ambiente contamina la catena alimentare e può venire assorbito dall’uomo attraverso il cibo e l’acqua. L’accumulo di cesio 137 nell’organismo è una delle principali minacce per la salute delle popolazioni che vivono nelle aree contaminate dal disastro di Chernobyl, soprattutto per i bambini che hanno il sistema immunitario più debole. È per questo che da oltre vent’anni in Italia e in altri paesi europei vengono organizzati soggiorni a scopo terapeutico per i “bambini di Chernobyl”. Uno o due mesi lontani dalle aree contaminate, la possibilità di eseguire controlli medici, una alimentazione equilibrata, riducono il rischio di ammalarsi di leucemia, di cancro e di altre malattie collegabili all’assorbimento di radiazioni.
La notte del 25 aprile 1986 a Chernobyl, in Ucraina, era in corso un test sulla sicurezza, e tutti i circuiti di emergenza erano stati disattivati. Il reattore numero quattro della centrale esplode e si sviluppa un incendio. Una nube di fumi contenenti isotopi radioattivi si alza sopra la centrale. I componenti pesanti dei fumi ricadono contaminando gravemente il territorio circostante; quelli più leggeri, i gas, iniziano un lungo viaggio spinti dai venti. Le autorità sovietiche non diramano alcun comunicato ufficiale sull’accaduto. Il giorno dopo in Svezia i sistemi di controllo della centrale nucleare di Forsmark registrano picchi anomali di radioattività. Dopo avere escluso un guasto interno, comincia ad avanzare l’ipotesi che si tratti di una nube radioattiva proveniente dall’Unione Sovietica.
Mentre a Chernobyl le squadre di pompieri sono al lavoro per cercare di spegnere l’incendio al reattore e tutta l’area della cittadina di Pripjat viene evacuata, la nube radioattiva si sposta spinta dai venti. Raggiunge la Germania, l’Austria, la Romania, e arriva in Italia. Arriva a interessare tutta l’Europa. Con Chernobyl il mondo si confronta con un rischio globale: davanti a una nube tossica spinta dai venti non ci sono confini geografici, politici o militari che tengano.
Ancora oggi, a distanza di oltre vent'anni, non è possibile fare un bilancio certo delle vittime e delle conseguenze sanitarie e sociali dell’incidente. È certo che nell’immediato ci furono 31 vittime: tre lavoratori della centrale travolti dall’esplosione e 28 tra i primi soccorritori che morirono di sindrome acuta da radiazioni. Quello che è difficile da stimare con precisione è il numero di morti sul medio e sul lungo periodo. Le radiazioni ionizzanti provocano diverse forme di cancro, ma non c’è modo di distinguere la malattia dovuta alle radiazioni da quelle dovute ad altre cause. Per questo le stime sugli effetti sanitari dell’incidente possono essere solo di tipo statistico, basate cioè su quanto si sa sulla probabilità che un dato livello di radiazione induca questa o quella malattia.
Nel settembre del 2005 un gruppo di scienziati internazionali riuniti nel Chernobyl Forum, ha pubblicato quello che avrebbe dovuto essere il rapporto definitivo sulle conseguenze del disastro. Fanno parte del Chernobyl Forum otto agenzie specializzate dell’Onu - tra cui l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e il Comitato scientifico per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti (Unscear) –, la banca mondiale e i governi di Russia, Bielorussia e Ucraina.
Secondo il rapporto, alle 31 vittime immediate dell’incidente vanno aggiunti altri 19 lavoratori delle squadre di emergenze deceduti tra il 1987 e il 2004, sempre di sindrome acuta da radiazioni. Ci sono stati poi oltre 4.000 casi di cancro alla tiroide nei bambini, causati dall’assorbimento, nei giorni successivi del disastro, dello iodio 131. Fortunatamente si tratta di un tumore curabile se diagnosticato in tempo e di questi 4.000 ammalati ne sono morti quindici. Questi dati porterebbero a 65 il numero delle vittime collegabili in modo certo all’incidente.
Per il resto il rapporto procede attraverso stime. Tra la popolazione maggiormente esposta al fall-out radioattivo (stimata in circa 600.000 persone, tra soccorritori e abitanti delle zone limitrofe la centrale) potrebbero essere circa 4.000 casi di morti in più rispetto a quelli attesi. Si tratterebbe di un aumento della mortalità per tumore pari al 13,5%. Potrebbe poi esserci un ulteriore aumento della mortalità per tumore tra la popolazione complessiva di Russia, Bielorussia e Ucraina che è stata esposta a livelli via via più bassi di radiazioni (un totale di 9000 casi, compresi i 4000 del gruppo precedente, su una popolazione totale di circa 6 milioni di persone).
Il cancro però non è la sola conseguenza per le popolazioni. Circa 350.000 persone sono state evacuate. Hanno perso casa, lavoro, reti sociali. Vivono enormi paure e incertezze relativamente al proprio stato di salute, e tra loro si diffondono diverse forme di disagio, stress, depressione. Ci sono poi da mettere nel conto le conseguenze per l’ambiente. Durante l’incendio per dieci giorni ci sono state ricadute di radionuclidi su un territorio di oltre 200.000 chilometri quadrati, con depositi variabili a seconda delle condizioni del tempo. Vasti terreni sono abbandonati, e non possono essere utilizzati per l’agricoltura. Le foreste restano contaminate e i loro prodotti resteranno per molto tempo inutilizzabili.
Lo scenario dipinto dal Chernobyl forum non può essere definito rassicurante. C’è però chi ritiene che il rapporto abbia sottostimato le conseguenze dell’incidente che sarebbero in realtà molto più gravi. In occasione del ventesimo anniversario del disastro, Greenpeace ha pubblicato un rapporto sull'effetto sanitario e ambientale a lungo termine dell'incidente, raccogliendo i contributi di una sessantina di scienziati di Russia, Bielorussia e Ucraina. Le cifre presentate sono molto differenti da quelle del Chernobyl forum.
Secondo i dati raccolti da Greenpeace, infatti, le morti attribuibili all'incidente tra il 1990 e il 2004 sarebbero 200.000 nei soli tre stati ex sovietici. Nelle aree maggiormente contaminate sarebbe aumentata in modo significativo l'incidenza di tumori (il 40 per cento in più in Bielorussia tra il 1990 e il 2000) e di leucemia, ma anche di altri tipi di tumore (delle vie respiratorie, del colon, dello stomaco, dei polmoni, della tiroide). Sarebbe aumentata anche l'incidenza di malattie diverse dai tumori, anche se per queste è meno difficile stabilire un rapporto di causa-effetto con le radiazioni. In generale il rapporto di Greenpeace sottolinea come l’unicità dell’evento e l’impossibilità di misurare con precisione tutte le variabili in gioco rendano gli standard e i metodi conosciuti inapplicabili e inadeguati.
Ma perché è così difficile misurare con ragionevole precisione gli effetti di un evento come l’incidente di Chernobyl? Le radiazioni ionizzanti sono capaci di provocare leucemie e altri tumori attraverso danni inferti al DNA delle cellule. Non esiste una soglia sotto la quale le radiazioni ionizzanti siano innocue, e tuttavia al di sotto di un certa dose è difficile fare previsioni di impatti sanitari. Come spiega Roberto Bertollini, dell'Organizzazione mondiale della sanità “tutte le valutazioni sugli effetti di qualunque fattore ambientale, dall'inquinamento atmosferico alle radiazioni ionizzanti, sono legate all'applicazione di funzioni di rischio, formule matematiche ricavate da studi condotti su quel fattore in determinate condizioni. Nel caso delle radiazioni ionizzanti il modello di rischio è stato costruito principalmente in base a studi sugli effetti delle radiazioni emesse dalle bombe atomiche Hiroshima e Nagasaki. Un modello che descrive una condizione di esposizione ad alte dosi per breve tempo. A dosi inferiori, quindi, come nel caso di Chernobyl, è necessario estrapolare le stime in base a curve di rischio di cui non conosciamo con certezza l'andamento a basse dosi. Per esempio non sappiamo se ci sia una soglia al di sotto della quale non si hanno effetti: questo crea incertezza”.
Sappiamo quindi con un buon grado di approssimazione cosa fanno le radiazioni ionizzanti in caso di esposizioni ad alte dosi per breve tempo. Ma sugli effetti di una esposizione a dosi minori, magari per un tempo prolungato, non sappiamo dire molto. Questo è il motivo per cui probabilmente un bilancio definitivo dei danni sanitari di un incidente come quello di Chernobyl non sarà mai possibile. Ma è anche il motivo per cui oggi non è del tutto chiaro se vivere vicino a una centrale nucleare faccia o meno male alla salute.
Chernobyl ci ha offerto un quadro, sia pure incompleto, di cosa può succedere con l’energia nucleare se le cose vanno storte. E se invece va tutto bene? Il lavorio quotidiano di una centrale nucleare con le sue emissioni deboli di radioattività che effetto ha giorno dopo giorno sulla salute delle persone e dell’ambiente vicino?
Si dice che le emissioni di una centrale nucleare durante il suo normale funzionamento siano troppo basse per potere creare danni alle persone che vivono nei dintorni. Queste emissioni secondo la versione rassicurante sarebbero inferiori al fondo naturale di radioattività e quindi non possono costituire nessun rischio sanitario aggiuntivo. Ci sono studi epidemiologici però che tendono a incrinare questa certezza. Tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta in Inghilterra sono stati condotti una serie di studi sui siti nucleari di Windscale (che ora si chiama Sellafileld), Burghfield e Dounreay che avevano rilevato un eccesso di leucemie infantili, senza peraltro poterle ricondurre con chiarezza a quella causa.
Nel 2007 uno studio condotto dall’Università di medicina del South Carolina (Stati Uniti) e pubblicato sull'European Journal of Cancer Care ha riaperto la questione. Gli autori hanno preso in considerazione 17 ricerche diverse che coprivano 136 siti nucleari sparsi per tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone e hanno trovato tassi di mortalità più elevati del normale tra i bambini che abitavano nei pressi dei siti nucleari. Ma è stato uno studio tedesco condotto per incarico del governo di Angela Merkel a rilanciare il dibattito sulle conseguenze sanitarie delle emissioni deboli. Viene chiamato studio “Kikk” ed è stato reso noto nel gennaio 2008 dall'Istituto di radioprotezione della Germania federale che lo ha commissionato. I ricercatori hanno preso in considerazione 16 siti nucleari in Germania e hanno analizzato tutti i casi di cancro tra i bambini di età inferiore ai 5 anni dal 1980 al 2003, scoprendo una relazione diretta tra l’abitare vicino a una centrale nucleare e il rischio per i bambini di ammalarsi. È la prima volta che da uno studio di questo tipo emerge una relazione precisa tra la distanza dai siti nucleari e l’aumento del rischio.
Ancora una volta i ricercatori non sanno identificare quale sia precisamente la causa di questi aumenti di leucemie tra i bambini, anche perché le radiazioni emesse dalle centrali sono infinitamente più piccole della dose che si pensa posa provocare una leucemia in un bambino. Una rianalisi dei dati, commissionata dalle autorità protezionistiche tedesche, sta cercando di far luce sul paradosso. (ha collaborato Marina Innorta)
Tratto da: Luca Carra, Margherita Fronte, "Polveri & Veleni" (Edizioni Ambiente 2010)