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Ambiente o produzione di acciaio: possibile uscirne?

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Nel 2011 l’Italia ha prodotto quasi 29 milioni di tonnellate d’acciaio. Assai meno della Germania ( prima produttrice in Europa), ma quasi il doppio di quante non ne abbiano prodotte, a testa, Francia e Spagna, e tre volte la produzione del Regno Unito. Più o meno la metà dell’acciaio italiano proviene dall'Ilva di Taranto, l'acciaieria più grande d'Europa. Non è dunque un caso se le aziende siderurgiche italiane sono al secondo posto in Europa dopo la Germania e al primo nel settore del forno elettrico. Nella situazione attuale di crisi economica, questi dati avrebbero dovuto far tirare un sospiro di sollievo, ma il polo siderurgico di Taranto ha anche il primato di maggior emettitore di sostanze inquinanti, tale da rendere la città che lo ospita una delle più inquinate d'Europa. I dati allarmanti emersi dalla perizia chimica e da un'indagine epidemiologica, depositati presso la Procura della Repubblica di Taranto, hanno indotto la magistratura a porre sotto sequestro l'industria siderurgica dell'ILVA.

Si è venuto così a instaurare un acceso conflitto tra ambiente e sviluppo, tra occupazione e salute che ha diviso i cittadini  tra coloro che  vorrebbero che l’acciaieria continui a produrre e chi invece ne auspica la totale chiusura. Infatti, sul piano occupazionale ILVA impiega oltre 11.600 occupati direttamente, a cui deve aggiungersi un indotto strettamente collegato sul piano verticale che porta l’occupazione diretta quasi a 15.400 unità. Di conseguenza la chiusura dello stabilimento indurrebbe pesanti ricadute economiche e occupazionali. Complessivamente si determinerebbe un impatto negativo che è stato valutato attorno a oltre 8 miliardi di euro annui imputabile per circa 6 miliardi alla crescita delle importazioni, per 1,2 miliardi al sostegno al reddito e ai minori introiti per l’amministrazione pubblica e per circa 500 milioni in termini di minore capacità di spesa per il territorio direttamente interessato. Queste considerazioni sono certamente importanti, ma in nessun caso possono giustificare il mantenimento di situazioni di rischio ambientale e per la salute dei lavoratori e dei cittadini al di fuori delle normative.

Quello di Taranto è un impianto siderurgico a “ciclo integrale” tradizionale, ovvero impiega le materie prime così come si trovano in natura (minerali, fossili). Le materie prime, arrivate via mare nel pontile dell’impianto siderurgico, vengono trasferite da un nastro trasportatore verso vaste aree di stoccaggio all’aperto e messe a parco (parco minerali). Il materiale una volta stoccato è destinato alla cokeria, ovvero l'impianto per la trasformazione del carbon fossile in carbon coke, con un contenuto in carbonio che va dall’85% al 90%.  Successivamente, il carbon coke viene trasferito all’altoforno, cuore di tutto il complesso, per la produzione della ghisa liquida, che a sua volta verrà “affinata” in acciaieria per abbassare il contenuto di carbonio e delle impurezze (trattamento LF). Questo tipo di lavorazione, appena descritta, ha un forte impatto sull'ambiente e sulla salute dei cittadini, essendo lo stabilimento ubicato in un'area a forte densità abitativa.

Il parco minerali genera polveri sottili di ferro e carbone; il sinteraggio e pellettizzazione del minerale di ferro genera diossina e piombo; i forni di cottura del carbon coke producono idrocarburi policiclici aromatici, in particolare benzene, ma anche toluene e xileni; i fumi di altoforno sono densi di monossido di carbonio e zolfo, mentre la ghisa liquida che ne esce produce slopping; il trattamento Lf (ladle furnace) produce solfuro di magnesio e zolfo; i convertitori ad ossigeno che trasformano la ghisa liquida in acciaio generano monossido di carbonio ed anidride carbonica. L’acqua di raffreddamento dell’altoforno e di raffreddamento delle colate di lingottiera si contamina di metalli pesanti, ammoniaca, fenolo, cianuri. Le fasi più inquinanti di tutto il ciclo sono la “cokefazione” (trasformazione del carbon fossile in carbon coke) e la “sinterizzazione” (ovvero compattazione e trasformazioni di materiali ridotti in polvere in un composto indivisibile) che immettono nell'atmosfera diossine, benzene, toluene, xilolo, idrcarburi policlinici aromatici, polvere di coke. Queste due fasi potrebbero essere sostituite da soluzioni impiantistiche e tecnologiche esistenti già sul campo e funzionanti, realizzate in Europa e nel mondo da diversi produttori siderurgici. Ne sono un esempio l'impresa tedesca Siemens VAI e le acciaierie coreane Posco a Phoang che utilizzano il processo Finex, uno dei più avanzati al mondo. Con la tecnologia Finex, che impiega direttamente il minerale raffinato e la polvere di carbone, il forno di sinterizzazione e la cokeria non sono più necessari, di conseguenza  viene a ridursi l'inquinamento (90% in meno di sostanze tossico-nocive e 98% in meno di contaminazione dell'acqua). Altro punto a vantaggio di queste tecnologia è anche la riduzione del consumo di energia e dei costi di produzione (meno 15%). Un altra alternativa all'uso dei processi di cokefazione e sinterzzazione è data anche dalla tecnologia Corex che si basa sull'impiego di carbone fossile al posto del coke e del minerale di ferro fornito dalle miniere. I vantaggi non sarebbero soltanto ambientali, ma anche sui costi che si ridurrebbero di circa il 20%. Un impianto che fa uso della tecnologia Corex è quello del sito siderurgico di Shangai Baosteel, realizzato dalla Siemens.

Certo, tali tecnologie implicano un importante investimento in riconfigurazione complessiva dell’impianto e comportano anche riduzioni di personale: la chiusura della cokeria e dello stabilimento di sinterizzazione inevitabilmente producono un minore assorbimento occupazionale. Si potrebbe gestire socialmente tale minore occupazione costruendo strumenti ad hoc, anche in deroga alla normativa vigente, per mandare in prepensionamento il  personale più anziano (oggettivamente il lavoro in acciaieria è altamente usurante) e per riutilizzare la  parte di stabilimento, resa libera dalla chiusura delle aree di sinterizzazione e cokeria, opportunamente bonificata, per attrarre nuove attività produttive, diverse da quelle siderurgiche, in cui rioccupare il personale non prepensionabile. Nell'ipotesi in cui, per motivi economici o di scelta industriale, non si riuscisse ad adottare ne la tecnolgia Finex, ne la Corex, è comunque necessario trovare una misura impiantistica che possa portare a una significativa diminuzione delle emissioni delle sostanze ad alto rischio cancerogeno. Sempre la Siemens Vai ha realizzato uno degli impianti più moderni in grado di ridurre drasticamente le emissione di diossine (circa 97%) e di polveri sottili(circa 90%) dovute al processo di sinterizzazione del minerale di ferro. Questa tecnologia, denominata Meros (Maximized Emission Reduction of Sintering), è stata adottata dall'impresa siderurgica austriaca VausAlpine Stahl Gmbh che è riuscita così ad abbattere la maggior fonte di inquinamento, pur mantenendo il ciclo tradizionale. Ovviamente, restano comunque le emissioni provenienti dai processi della cokeria e dell'altoforno che invece i percorsi Finex e Corex sono in grado di eliminare.

Immaginare oggi un futuro per Taranto è possibile. Significa immaginare un nuovo modo di produrre acciaio. Con le migliori tecnologie disponibili. Con la partecipazione dei lavoratori e il controllo della città.



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