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Addio alla Signora della scienza

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«La mia gemella Paola e io siamo nate a Torino il 22 aprile 1909, le più giovani di quattro figli. I nostri genitori erano Adamo Levi, ingegnere elettrico e abile matematico, e Adele Montalcini, pittrice talentuosa ed essere umano squisito».

Con queste parole Rita Levi Montalcini, unica donna italiana che ha vinto un Premio Nobel in una disciplina scientifica, inizia l’autobiografia  consegnata nel 1986 alla Fondazione che a Stoccolma le ha appena assegnato il prestigioso riconoscimento.

Rita – senatrice della Repubblica, grande neuroscienziata ed “essere umano squisito” – è deceduta ieri, all’età di 103 anni. Difficile riassumere in poche righe una vita così lunga e così densa, vissuta quasi sempre un passo più avanti degli altri. Iniziò da giovane a manifestare questa sua propensione, convincendo il padre, Adamo, a farla studiare e laureandosi nel 1936 in medicina presso l’università di Torino, mentre la gemella Paola seguiva le orme della madre. Fin dal primo anno di università lavora, come internista, nell’istituto diretto da Giuseppe Levi, biologo di grande valore e unico maestro, in Italia, a poter vantare tra i suoi allievi ben tre premi Nobel. Oltre a Rita, gli altri due sono Salvatore Luria e Renato Dulbecco. Il bello è che i tre si conoscono e si frequentano, diventando amici strettissimi, fin dal primo anno di università. Ciascuno di loro vincerà il Nobel per lavori realizzati negli Stati Uniti d’America e per motivi indipendenti.

Dopo la laurea, Rita inizia il corso di specializzazione in Psichiatria e Neurologia. Ma ecco che, nel 1938, Mussolini vara le leggi razziali. Lei, di origine ebrea, è costretta a emigrare in Belgio, insieme al suo maestro. A Liegi continua a lavorare con Giuseppe Levi. Ma poi inizia la guerra e la Germania nazista invade il Belgio. Lei e il suo maestro riparano prima a Bruxelles poi tornano a Torino. Dove continuano a fare ricerca insieme, allestendo un piccolo laboratorio casalingo. E proprio in casa Rita inizia a studiare il sistema nervoso degli embrioni di pollo. Scopo della ricerca è cercare di individuare delle non meglio definite “forze induttive” che spingo i neuroni a formare, nel cervello, la loro estesa e complessa rete di relazioni, attraverso la formazione di quei lunghi filamenti chiamati assoni. Lo studio è interessante, ma nella sua città Rita non è al sicuro. Durante il conflitto lei e Levi cercano di pubblicare: all’estero, perché in Italia agli ebrei è impedito l’accesso anche alle riviste scientifiche. Nel mentre Rita deve trova rifugio, prima nella campagne vicine alla sua Torino, poi è costretta a spostarsi a Firenze, dove prende contatto con le forze partigiane e, infine, opera come medico in un campo profughi al servizio delle Forze Alleate. A guerra finita torna a Torino e riprende la sua attività di ricerca, finché nel 1947 accetta l’invito di Viktor Hamburger e si reca negli Stati Uniti, presso la Washington University di Saint Louis. L’uomo è un noto neuroembriologo, che ha letto gli articoli di Rita e di Giuseppe Levi. Ed è proprio a Saint Louis che la ricercatrice italiana, nel 1954, insieme al suo collaboratore Stanley Cohen, scopre una di quelle “forze induttive” a lungo cercate: il Nerve Growth Factor (NGF), la proteina che regola lo sviluppo del sistema nervoso. È per questa scoperta nel 1986 Rita Levi Montalcini e Stanley Cohen otterranno il Premio Nobel.

Si tratta di una scoperta davvero importante. Non solo perché – come recita la motivazione del Premio – rende improvvisamente chiaro un quadro fino ad allora caotico. Ma anche perché, grazie alla scoperta del NGF quell’insieme di discipline che oggi chiamiamo neuroscienze e che hanno per oggetto di studio il cervello assumono una grande importanza centrale nel panorama delle scienze naturali. Sebbene la parte prevalente della sua vita scientifica sia ormai negli Stati Uniti, Rita Levi Montalcini non dimentica l’Italia. Tra il 1961 e il 1962 crea a Roma un centro di ricerca sull’NGF e nel 1969 fonda e dirige (fino al 1978) l’Istituto di biologia cellulare preso il CNR. Dal 1979 si trasferisce definitivamente in Italia. Nel 2002, a 93 anni, fantastico esempio di longevità scientifica, fonda, sempre a Roma, l’EBRI, l’European Brain Research Institute. 

Come molti dei grandi scienziati, Rita Levi Montalcini svolge un’intensa attività sociale e politica. Tra i tanti impegni, ne ricordiamo tre. Nel 1989 accetta l’invito del fisico Vittorio Silvestrini ed è tra i soci che danno vita alla Fondazione IDIS che a Napoli realizzerà la Città della Scienza, il più grande museo scientifico di nuova generazione del nostro paese. Nel 1998 fonda la sezione italiana della Green Cross International, la Croce verde internazionale che si occupa di ambiente è riconosciuta dalle Nazioni Unite ed è presieduta da Michail Gorbaciov. Nel 2001 è nominata senatore a vita: non è un incarico prestigioso, ma nominale. Rita Levi Montalcini frequenta Palazzo Madama e mostra una fierezza e anche un coraggio fisico niente affatto comuni quando gruppetti di estrema destra, dentro e fuori il Parlamento, la fanno, inopinatamente, oggetto di dileggio. Evidentemente non riescono a capire chi hanno di fronte. Ma le sue attività principali, fuori dal laboratorio, sono quella pubblicistica – scrive una quantità imponente di libri di divulgazione, anche per ragazzi – e quella per i diritti delle donne. In uno degli ultimi volumi afferma: «Ho appena scritto un libro dedicato ai ragazzi, l'ho pubblicato con una casa editrice per giovani. Ne sono fiera. L'abbiamo intitolato "Le tue antenate". Parla di donne pioniere. Quelle che hanno dovuto lottare contro pregiudizio e maschilismo per entrare nei laboratori, che hanno rischiato di vedersi strappare le loro fondamentali scoperte attribuite agli uomini, che si sono fatte carico della famiglia e della ricerca».

Ecco, Rita Levi Montalcini è stata una donna, scienziata e pioniere. Che ha indicato un percorso di riscatto al suo genere e a tutto il suo paese.

Tratto da L'Unità, 31 dicembre 2012


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