fbpx Tutti i colpi di scena della serie Idrossiclorochina | Scienza in rete

Tutti i colpi di scena della serie Idrossiclorochina

Primary tabs

Tempo di lettura: 9 mins

Il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus ha sospeso per motivi precauzionali legati a uno studio pubblicato dal Lancet la sperimentazione su Idrossiclorochina, poi riavviata una volta sconfessato e ritirato la studio. Nel frattempo però due nuovi studi bocciano la molecola. Il serial continua...

La vicenda dell’idrossiclorochina si sta configurando come una vera e propria soap opera: non tutti quelli che hanno guardato una delle fiction televisiva a lunga serialità sanno che questo modo di definirle fa riferimento ai prodotti pubblicizzati nelle prime produzioni statunitensi. Alcune grosse aziende che fabbricavano saponi, come la P&G, addirittura producevano le serie. L’uso di questo termine applicato al caso dell’idrossiclorochina, da qualcuno potrebbe essere, dunque, interpretato come il pensiero sotto traccia di una regia guidata da precisi interessi, ma, nelle intenzioni di chi scrive, richiama solo i continui colpi di scena e la scivolosità dell’argomento. 

Come in tutte le soap opera che si rispettino, l’ultimo episodio deve essere preceduto dal riassunto delle puntate precedenti, ma non solo: c’è da tenere d’occhio anche un prequel delle dispute scientifiche odierne, costituito da almeno tre studi sulla sicurezza dell’azitromicina, il partner favorito dell’antimalarico.

L'antefatto: antibiotici e cuore

Già nel 2012, l’FDA aveva dato rilievo a uno studio del New England Journal of Medicine (NEJM) che riportava, in persone trattate con un ciclo di 5 giorni di azitromicina (o di levofloxacina), un rischio di morte aumentato rispetto a quello dei soggetti trattati con amoxicillina, ciprofloxacina o con nessun farmaco. Il rischio era maggiore nei soggetti con un prolungamento già esistente dell'intervallo QT, bassi livelli ematici di potassio o magnesio, bradicardia, o che facevano uso di farmaci antiaritmici (vedi nota della Farmacovigilanza).

Nel 2015, una metanalisi cinese di 33 studi pubblicati a partire dal 1966 (con coinvolgimento di quasi 21 milioni di pazienti totali), ha rilevato che somministrazione di macrolidi è associata a una frequenza di eventi avversi cardiaci quali aritmia ventricolare e morte (improvvisa, per cause cardiache, per tutte le cause) più alta rispetto a quella di altre classi di antibiotici (Cheng YJ, Nie XY, et al. The role of macrolide antibiotics in increasing cardiovascular risk. J Am Coll Cardiol 2015).

Infine, nel 2018, l’FDA ha emanato un warning relativo ai rischi della somministrazione dei macrolidi e, in particolare, della claritromicina, nei pazienti coronaropatici non in trattamento con statine, sulla base dei risultati del follow-up di dieci anni di un ampio trial danese (Clarithromycin for stable coronary heart disease increases all-cause and cardiovascular mortality and cerebrovascular morbidity over 10years in the CLARICOR randomised, blinded clinical trial. Int J Cardiol 2015; 182: 459-65). 

Entra in scena Idrossiclorochina in Cina

Va ora focalizzata l’attenzione sui protagonisti: la clorochina, usata per il trattamento e la chemioprofilassi della malaria e l’idrossiclorochina, per il trattamento dell’artrite reumatoide, del lupus eritematoso sistemico e della porfiria cutanea tarda. Di questi principi attivi era nota la capacità di stanare i patogeni intracellulari come Coxiella burnetii o Tropheryma whipplei e l’azione contro il virus Zika; in Cina è stata dimostrata in vitro la loro efficacia anche nell’infezione contro il virus SARS-CoV-2 già in febbraio (Wang M et al. Remdesivir and chloroquine effectively inhibit the recently emerged novel coronavirus (2019-nCoV). Cell Res 2020 Feb 4). L’effetto antivirale sarebbe dovuto all’alterazione (aumento) del pH endosomiale, che è determinante per la fusione virus-cellula e all’interferenza nella glicosilazione dei recettori cellulari di SARS-COV-2. Negli studi in vitro, tale effetto si esplica sia prima sia dopo l’inoculo virale, con idrossiclorochina a concentrazioni minori che con clorochina. 

Sulla scorta dei risultati in vitro e della conoscenza che questi farmaci si distribuiscono in tutto il corpo, ma sembrano concentrarsi nel polmone, è partita una ventina di studi cinesi in vivo, che hanno indotto le autorità cinesi a raccomandare l’idrossiclorochina in prevenzione e trattamento della polmonite in corso di Covid-19 (Multicenter Collaboration Group of Department of Science and Technology of Guangdong Province and Health Commission of Guangdong Province for Chloroquine in the Treatment of Novel Coronavirus Pneumonia Expert consensus on chloroquine phosphate for the treatment of novel coronavirus pneumonia. Zhonghua Jie He He Hu Xi Za Zhi 2020;43:E019. doi: 10.3760) 

Lo sbarco in Francia

In Europa, un solo studio francese, di piccole dimensioni, nel marzo 2020 ha esaminato quotidianamente il tampone nasofaringeo in 20 pazienti positivi per SARS-CoV-2 cui venivano somministrati 600 mg/dì di idrossiclorochina (associati o meno con azitromicina, secondo la valutazione clinica) e in pazienti di controllo, trovando una minor persistenza del virus nei pazienti trattati e, ancor più, nei pazienti a doppio trattamento (Gautret P et al. Hydroxychloroquine and azithromycin as a treatment of COVID-19: results of an open-label non-randomized clinical trial. International Journal of Antimicrobial Agents).

Un successo (apparentemente) inarrestabile

In mancanza di altre terapie consolidate, la combinazione idrossoclorochina/azitromicina ha cominciato a essere liberamente prescritta in tutto il mondo e raccomandata in molte linee guida: in aprile, i Centers for Diseases Control and Prevention sottoponevano la prescrizione degli antimalarici, al di fuori degli studi clinici autorizzati, alla procedura denominata Emergency Use Authorization (EUA), seppure con l’obbligo di segnalare gli eventi avversi nel programma FDA MedWatch.

Nello stesso periodo, l’ospedale milanese di Niguarda, tra gli altri, metteva in protocollo l’idrossiclorichina in qualsiasi fase della malattia, mentre prescriveva l’azitromicina, in associazione, solo nelle fasi meno gravi. 

Sempre in aprile, la FIMMG (Federazione italiana dei medici di famiglia) ammetteva l’idrossiclorochina bis in die in un protocollo di gestione territoriale dei casi accertati o anche solo sospetti Covid-19. E era considerato “sospetto” un paziente con febbre, tosse secca, dolori muscolari diffusi e persistenti e altri sintomi aspecifici, come anoressia, astenia, mal di gola, cefalea, in assenza di un’altra eziologia riconoscibile, anche se non erano noti contatti con caso accertato. A questi suggerimenti si sono attenuti molti medici di famiglia, nel tentativo di rendersi utili ai loro pazienti e di evitare loro il ricovero (assai temuto) in ospedale.

Il documento FIMMG è stato introdotto sulla base di un precedente documento dell’Agenzia Italiana del Farmaco che, però, sconsigliava l’associazione di idrossiclorochina con azitromicina (che avrebbe potuto aumentarne la tossicità, in assenza di chiare prove di una maggiore efficacia della combinazione) e limitava l’uso in profilassi esclusivamente all’ambito di studi clinici. 

L’AIFA ha autorizzato l’Università di Verona a partecipare allo studio SOLIDARITY, un importante trial multicentrico, randomizzato, promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che coinvolgerà migliaia di pazienti affetti da Covid-19 per valutare differenti strategie terapeutiche antivirali e dare (o negare), finalmente, prove scientifiche ai troppi trattamenti empirici e off label. Lo studio ha un disegno adattativo, che rende possibili modifiche, in relazione ai risultati intermedi. In Italia, l’Università di Verona (principal investigator l’infettivologa Evelina Tacconelli) è il centro coordinatore di una trentina di centri clinici dislocati su tutto il territorio nazionale.

Il documento FIMMG, peraltro, evidenziava in apposita appendice le controindicazioni alla terapia con idrossiclorochina (favismo, retinopatia, miastenia, gravidanza, psoriasi, porfiria, epilessia, gravi epatopatie e grave insufficienza renale, miocardiopatie) e le condizioni di attenzione, ricordando che gli antimalarici proposti possono dare ipoglicemia, aumentare la concentrazione della digitale e che devono essere evitati se vi sono un’ipopotassiemia e un’ipomagnesiemia di partenza e se vengono assunti farmaci antiaritmici, antispicotici, antidepressivi, antiemetici, atimicotici e antistaminici, che già possono dare allungamento dell’intervallo QT, originando aritmie. Il blocco dei canali del sodio è il meccanismo, comune a tutti questi farmaci, che può prolungare la ripolarizzazione ventricolare, il cui segnale è un QT lungo.

Primi inciampi

Al primo sbocciare della rosa, infatti, ecco spuntare le spine: uno studio retrospettivo della New York University sui cambiamenti del QT in 84 pazienti Covid trattati con l’antimalarico più il macrolide, ha verificato che l’intervallo si allungava nei primi 4 giorni, nel 30% dei casi fino a 40 ms e nell’11% dei casi fino a 500 ms, condizione di grave rischio aritmico. Fattori predisponenti erano una creatinina di base elevata (insufficienza renale) e la contemporanea assunzione di amiodarone, mentre un QT lungo prima della terapia non aveva significato predittivo di un maggior allungamento (Chorin E et al. The QT interval in patients with SARS-CoV-2 infection treated with hydrossichlorokine/azithromycin.  Nat Med 2020).

Un altro studio newyorchese, piuttosto ampio, ha rilevato molti allungamenti del QT, non però pericolosi per la vita, né tali da richiedere la sospensione della terapia, né mono, né composita (Saleh Me et al. The effect of cloroquine, hydroxycloroquine and azithromycin on the corrected QT interval in patients with SAES-CoV-2 infection. Circ Arrhythm Electrophysiol 2020 Apr 29).

La terapia continua a navigare, sia pur di bolina. 

Maggio è il mese dei colpi di scena

In maggio, però, arriva la tempesta perfetta: Mandeep Mehra e collaboratori pubblicano su Lancet un mega studio osservazionale su 96.032 pazienti ricoverati in 671 ospedali di sei continenti che hanno assunto clorochina (1.868) e idrossiclorochina (3.016), con macrolidi (3.783) o senza, entro due giorni dalla diagnosi di Covid-19 e su oltre 81.000 controlli: la mortalità in ospedale era più alta e l’incidenza di aritmie ventricolari ripetute variava da 4,3% a 8,1% nei pazienti trattati contro lo 0,3% dei controlli e questo effetto avverso pesante (per il quale l’associazione con l’antibiotico macrolide sembrava insignificante), si manifestava a fronte dell’assenza di un vantaggio terapeutico. 

L’attribuzione dell’eccesso di morte e di aritmie alle 4-aminochinoline era dovuta alla loro tendenza ad allungare l’intervallo QT, ma, in realtà, le cause di morte non sono state, se non in pochi casi, accertate come dipendenti dal disturbo del ritmo cardiaco (Mehra MR et al. Hydroxychloroquine or chloroquine with or without a macrolide for treatment of COVID-19: a multinational registry analysis. Lancet 2020; published online May 22).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ferma le sue indagini sull’idrossiclorochina per eccesso di rischio; l’AIFA non concede più la prescrizione off label e al di fuori di trial ufficiali; parte della medicina generale insorge come un esercito di irregolari cui è stato chiesto di consegnare le armi; qualche intellettuale sente puzza di “vaccinismo” che affossa i tentativi terapeutici a basso costo.

Lo studio di Lancet, in effetti, è tutt’altro che irreprensibile e se ne accorge per primo il servizio sanitario australiano cui non tornano i conti dei morti: com’è che questa, ai più ignota, Surgisphere ne ha contati di più di quanti risultino alle istituzioni? La società di raccolta dati si arrampica sui vetri, dicendo di aver messo nello stesso calderone tutti i dati Australasia e di aver fatto un po’ di confusione della ripartizione per singolo paese. Intanto, però, il sospetto sull’attendibilità, la reperibilità e, in definitiva, l’uso dei dati di così tanti ospedali, si diffonde (con un R0 ben al di sopra di quello del coronavirus!): la raccolta dei dati e la metodologia dello studio vengono messi in discussione da oltre 120 ricercatori da università di tutto il mondo, tra cui Oxford e Harvard con una lettera alla rivista, e alcuni degli stessi autori dello studio rivedono la loro posizione, seguiti a ruota dall’OMS che fa ripartire il suo trial Solidarity. 

Lancet ritira lo studio. In Italia, un gruppo di medici fa un'istanza legale all'Agenzia del farmaco per chiedere di poterlo utilizzare di nuovo per trattare la fase precoce della malattia, considerando fuorviante qualsiasi risultato di studi fatti su pazienti tanto gravi da essere già ricoverati.

Giugno: altri guai per il farmaco

Si arriva così all’inizio di giugno, con due novità: uno studio pubblicato su NEJM mette fine alla speranza che l’idrossiclorochina prevenga il Covid-19 se assunto entro 4 giorni dall’esposizione al contagio di SARS-CoV-2 (Boulware DR et al. A Randomized trial of hydroxychloroquine as postexposure prophylaxis for Covid-19. New Engl J Med June 3, 2020)

A seguire, il trial britannico RECOVERY (Randomised Evaluation of COVid-19 thERapY) sulle opzioni terapeutiche per pazienti Covid-19 ricoverati interrompe il braccio sull’idrossiclorochina. Lo studio, che ha randomizzato al farmaco 1.542 pazienti ricoverati e 3.132 alle cure abituali, non ha trovato differenze di mortalità tra i due gruppi dopo un mese, né differenze di permanenza in ospedale o di altri esiti. 

RECOVERY riceve finanziamenti pubblici dal Research and Innovation/National Institute for Health Research (NIHR) e dall’Università di Oxford. Ma anche dalla Fondazione Bill e Melinda Gates.

Arrivederci alla prossima stagione. 

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Biodiversità urbana: com'è cambiata e come proteggerla

Anche le metropoli possono essere ambienti ricchi di specie: secondo un recente studio sono ben 51 le specie di mammiferi che vivono a Roma, alcune di esse sono specie rare e protette. Nel corso degli ultimi due secoli, però, molte specie sono scomparse, in particolare quelle legate alle zone umide, stagni, laghetti e paludi, habitat importantissimi per la biodiversità e altamente minacciati.

Nella foto: Parco degli Acquedotti, Roma. Crediti: Maurizio.sap5/Wikimedia Commons. Licenza: CC 4.0 DEED

Circa la metà della popolazione mondiale, vale a dire ben 4 miliardi di persone, oggi vive nelle città, un fenomeno che è andato via via intensificandosi nell’epoca moderna: nell’Unione Europea, per esempio, dal 1961 al 2018 c’è stato un costante abbandono delle zone rurali e una crescita dei cittadini, che oggi sono circa i