fbpx La stella divorata dal buco nero | Scienza in rete

La stella divorata dal buco nero

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

L’atto di “cannibalismo cosmico”, avvenuto a 3.8 miliardi d’anni luce dalla Terra, ha prodotto un fascio ad altissima energia diretto esattamente verso di noi, ed è stato osservato – per la prima volta – sin dagli istanti iniziali. Lo descrivono in dettaglio due articoli in uscita domani sulla rivista Nature. Fondamentale il contributo dell’Italia alla scoperta: ben dodici fra gli autori di uno dei due articoli sono ricercatori dell’INAF, e quattro tra gli autori, di cui uno ASI, operano presso l’ASI DATA CENTER di Frascati.

Le prime avvisaglie risalgono al 28 marzo scorso, quando, dal buio cosmico, un fascio di raggi X – molto intenso e con un’energia insolitamente elevata – investe in pieno il satellite Swift della NASA (realizzato con partecipazione italiana e inglese). Da allora, pur scemando, il flusso non s’è più arrestato. Gli astronomi lo hanno osservato e analizzato per mesi, con strumenti dallo spazio e da Terra, fra i quali il Telescopio Nazionale Galileo dell’INAF. Ora due studi, pubblicati sul numero del 25 agosto della rivista Nature, ricostruiscono l’incidente cosmico che ha dato origine al fenomeno.

«È accaduto che un buco nero di taglia extralarge s’è mangiato una stella», è la sintesi di Gabriele Ghisellini, dirigente di ricerca presso l’INAF-Osservatorio astronomico di Brera e fra i coautori di uno dei due articoli. «La malcapitata ha avuto la sventura d’avvicinarsi troppo al raggio d’influenza del mostro, finendo spappolata in tanti detriti e divorata in un tempo relativamente breve. In seguito a quest’ingestione, si sono formati due getti, in direzioni opposte, che trasportavano parti della stella distrutta e una notevole quantità di campo magnetico. Non solo: uno di questi getti si è diretto esattamente verso la Terra. Ed è stata proprio quest’ultima particolarità a rendere l’evento così eccezionale, perché è molto raro che il nostro pianeta venga a trovarsi al centro del mirino di questi getti spaventosamente veloci».

«Quello che Swift ha rivelato il 28 marzo scorso», aggiunge Paolo Giommi, direttore dell’ASI Science Data Center, «è un evento unico, previsto dai modelli teorici ma mai osservato prima, né da Terra né dallo spazio. Per scoprirlo c’è voluto un satellite dedicato alla rivelazione delle esplosioni cosmiche (che avvengono soprattutto nella banda dei raggi X o dei raggi gamma) e alcuni anni di ascolto ininterrotto (Swift è in orbita dal novembre 2004). È importante che i satelliti scientifici rimangano operativi il più a lungo possibile per poter scoprire eventi molto rari, ma anche molto importanti, come Swift J1644+57».

Swift J1644+57 è il nome del protagonista di questo evento straordinario: un buco nero dormiente, nel cuore d’una galassia a 3.8 miliardi d’anni luce dalla Terra, nella costellazione del Dragone, che all’improvviso si risveglia. La maggior parte delle galassie, inclusa la nostra, ospita al proprio centro un buco nero supermassiccio. La stima dei ricercatori è che Swift J1644+57 abbia una massa circa doppia a quella del buco nero da quattro milioni di masse solari appostato nel cuore della Via Lattea, la nostra galassia.

Quando una stella precipita verso un buco nero, viene squarciata da intense maree gravitazionali. Il gas risucchiato finisce per essere confinato in un disco di accrescimento che, vorticando attorno al buco nero, raggiunge rapidamente temperature di milioni di gradi. Il gas situato nella zona interna del disco forma una spirale diretta verso il buco nero, dove il rapido moto orbitale ne amplifica il campo magnetico, dando così origine a una sorta di doppio imbuto attraverso il quale alcune particelle riescono a sfuggire in direzioni opposte, lungo l’asse di rotazione del buco nero. Ne risultano due getti di materia, estremamente collimati, che raggiungono velocità superiori al 90 per cento della velocità della luce. Uno dei quali, nel caso di Swift J1644+57, era appunto orientato proprio verso la Terra.

Articolo tratto da media.inaf.it


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Biodiversità urbana: com'è cambiata e come proteggerla

Anche le metropoli possono essere ambienti ricchi di specie: secondo un recente studio sono ben 51 le specie di mammiferi che vivono a Roma, alcune di esse sono specie rare e protette. Nel corso degli ultimi due secoli, però, molte specie sono scomparse, in particolare quelle legate alle zone umide, stagni, laghetti e paludi, habitat importantissimi per la biodiversità e altamente minacciati.

Nella foto: Parco degli Acquedotti, Roma. Crediti: Maurizio.sap5/Wikimedia Commons. Licenza: CC 4.0 DEED

Circa la metà della popolazione mondiale, vale a dire ben 4 miliardi di persone, oggi vive nelle città, un fenomeno che è andato via via intensificandosi nell’epoca moderna: nell’Unione Europea, per esempio, dal 1961 al 2018 c’è stato un costante abbandono delle zone rurali e una crescita dei cittadini, che oggi sono circa i