Più che 'sesto senso' forse dovrebbe essere il senso critico, ma non è scontato che sia tuttora patrimonio di tutti coloro che si occupano di scienza. L’articolo di quattro pagine “Trouble at the lab” che in data 19 Ottobre 2013 il settimanale londinese The Economist ha dedicato alla cattiva condotta scientifica, nonché alle sue cause, conseguenze e rimedi, lo conferma e lo rivela alla pubblica opinione. Ripreso subito, con una certa enfasi, anche dal più influente quotidiano italiano (Corriere della Sera, “Gli errori che danneggiano la credibilità della scienza”) l’articolo è stato autorevolmente commentato anche su Scienzainrete.
Mentre è comprensibile che fra i lettori dei giornali la denuncia abbia suscitato clamore, gli scienziati più avveduti dovrebbero già essere al corrente di tali storture perché la documentazione non manca. Sono stati pubblicati numerosi libri sull’argomento, mentre le riviste specializzate hanno lanciato l’allarme da molto tempo e suggerito azioni correttive che non riescono, purtroppo, ad estirpare alla radice il fenomeno. L’articolo di The Economist non aggiungeva molto a quanto si sapeva già, anche sulla gara forsennata a produrre pubblicazioni il cui valore è pari soltanto a quello della carta stampata, ma si è rivelato importante almeno per due motivi. Innanzitutto si è constatato che il transito della malascienza dalla letteratura specializzata a un settimanale autorevole come The Economist certifica una volte per tutte che la cattiva condotta scientifica non è più un affare interno della comunità dei ricercatori e che la puzza dei “panni sporchi” oltrepassa ormai le mura dei laboratori giungendo anche a quei privati che sono possibili finanziatori della ricerca. Il giornale dedicava alla malascienza addirittura la sua copertina, aumentando in tal modo il peso della denuncia. A caratteri cubitali, graficamente elaborati ad includere provette, nebulose e formule si leggeva “How science goes wrong”. Il secondo motivo d’interesse erano le indicazioni che venivano fornite per correggere i difetti segnalati e rafforzare la credibilità degli scienziati. Alcune erano riprese da riviste e istituzioni (NSF) importanti e sono ben note. Oltre ad incoraggiare la verifica della riproducibilità dei dati scientifici e l’uso accorto dei mezzi statistici, si poneva l’accento sulla formazione. Scriveva The Economist, riferendosi a un intervento del genetista Bruce Alberts (già chief-editor di Science) : “Budding scientists must be taught technical skills, including statistics, and must be imbued with scepticism towards their own results and those of others”. A dire il vero, l’auspicio che gli scienziati in erba (come i dottorandi nelle materie scientifiche) debbano crescere imbevuti di scetticismo desta qualche perplessità, visto il significato del termine nella nostra lingua. Probabilmente l’estensore dell’articolo intendeva altro.
Quello che si potrebbe dire, specialmente se si possiede una lunga esperienza d’insegnamento, è che gli studenti dovrebbero essere educati al senso critico e “imbevuti” proprio di questo. Il filosofo Evandro Agazzi intervistato qualche anno fa da Avvenire (19 Febbraio 2009) diceva giustamente che “la scuola aiuta i giovani se riesce a insegnare loro il senso critico”.
Ma che cos’è il senso critico? Ci viene in aiuto a questo proposito una limpida espressione di Francis Bacon (1561-1626) che negli Essays, Civil and Moral (Of Studies) scriveva “Read not to contradict and confute; nor to believe and take for granted; nor to find talk and discourse; but to weigh and consider”. Si ha l’impressione che la Riforma Universitaria del cosiddetto 3+2 non aiuti gli studenti a to weigh and consider perché nel triennio si dovrebbe privilegiare l’acquisizione di conoscenze direttamente sfruttabili a scopo lavorativo. Non tutti, naturalmente, possono o vogliono diventare scienziati ma chi intraprende questa strada necessita di una robusta educazione al senso critico, oggi come ieri. Questo sesto senso non è necessariamente la caratteristica prevalente di ogni personalità scientifica ma guai se coloro che si sentono più innovatori che critici ne fossero sprovvisti. I loro risultati potrebbero essere dannosi per tutti.