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La scarsa valorizzazione degli ospedali di ricerca

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In Italia 43 ospedali sono Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), denominazione e missione a loro attribuite dal Ministero della Salute in accordo con le Regioni di appartenenza.

Perché sono stati istituiti e come sono finanziati? Un po’ di storia.

Gli IRCCS appaiono per la prima volta in un Regio Decreto del 1938 “Norme generali per l’ordinamento dei servizi e del personale sanitario degli ospedali”, che li distingue dagli altri ospedali perché, insieme a prestazioni di ricovero e cura dei malati, svolgono anche ricerca con lo scopo di migliorare l’assistenza clinica attraverso l’applicazione al letto del malato delle scoperte della ricerca sperimentale. Si tratta quindi di una realizzazione ante litteram e pioneristica della cosidetta ricerca traslazionale (questo termine appare per la prima volta all’inizio  del terzo millennio, al termine del Progetto Genoma Umano). Nei primi 15 anni di emanazione del Regio Decreto vengono riconosciuti IRCCS solo tre ospedali: l’Istituto Regina Elena di Roma, l’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano e la Fondazione Pascale di Napoli, tutti con la missione della lotta contro i tumori. Quindi, “from bench to bed”, con i problemi clinici del malato che hanno determinato la scelta della missione di ricerca (“from bed to bench”). La seconda guerra mondiale arrestava la nascita di nuovi IRCCS fino agli anni ‘50, quando venivano riconosciuti il Besta di Milano per le malattie del sistema nervoso e il Gaslini di Genova per il settore materno-infantile.
Dagli anni ‘70 vi è stato un progressivo aumento del numero, fino agli attuali 43. Cosa è cambiato? Non più solo IRCCS monospecialistici come quelli delle origini, ma anche grandi policlinici multidisciplinari come il Maggiore Policlinico, il San Raffaele e Humanitas a Milano e il San Matteo a Pavia. Non solo pubblici, ma anche di diritto privato, in genere inseriti nei servizi sanitari delle Regioni che, almeno per gli IRCCS di diritto pubblico, ne nominano i principali dirigenti (salvo il Direttore Scientifico, nominato dal Ministero della Salute per gli IRCCS pubblici: i privati lo scelgono loro, e come vogliono).

Come sono finanziati? Le prestazioni sanitarie sono rimborsate attraverso il sistema DRG, recentemente parzialmente supplementato in riconoscimento della peculiarità di un‘assistenza legata alla ricerca (almeno in Regione Lombardia). La ricerca corrente viene finanziata dal Ministero della Salute, in rapporto alla quantità e alla qualità delle pubblicazioni, calcolate sull’Impact Factor corretto dal Ministero per normalizzare il diverso peso dei settori scientifici missioni dei diversi IRCCS e delle corrispondenti riviste scientifiche. Un sistema indubbiamente più meritocratico di molti in Italia (per esempio, i PRIN e FIRB del Ministero dell’Università). Ma solo parzialmente, perché la proporzione fra gli Impact Factor normalizzati e i finanziamenti è ben lungi dall’essere rispettata (vedi, come esempio, alcuni IRCCS della Regione Lombardia).  

Inoltre, a fronte di un numero di IRCCS molto aumentato da 32 nel 2000 a 43 nel 2011 (in maniera spesso discutibilissima  per spinte politiche e localistiche), il finanziamento globale del Ministero è sceso da 178 milioni nel 2000 a 159 nel 2011.

Sono necessari tanti IRCCS? Vengono soggetti a revisione periodica dei risultati da parte di una commissione ministeriale, ma sono stati sempre riconfermati, senza morti né feriti. Comunque il maggior problema di questi ospedali di ricerca non è quello della loro valutazione (problema notoriamente comune a tutto il sistema ricerca in Italia) né quello di un loro finanziamento solo parzialmente meritocratico (ma c’è molto di peggio sotto il sole!): è quello di non essere adeguatamente valorizzati ed utilizzati del Ministero e Regioni che pur li istituiscono e li finanziano!

Alcuni IRCCS fanno ottima ricerca, più o meno coerente con le missioni che sono state loro assegnate dal Ministero. Ma senza nessuna pianificazione centrale e senza una linea strategica comune. Con gli attuali chiari di luna dell’economia, ce lo possiamo permettere?
Gli IRCCS sono qualcosa di originale e unico in Europa e nel mondo, intesi come braccio operativo di chi, investito di pubbliche responsabilità come il Ministero dalla Salute e le Regioni, dovrebbe tutelare la salute del cittadino e migliorare la cura delle malattie attraverso la ricerca “bench to bed”, alimentata dalla priorità sanitarie del momento (“bed to bench”). Sono tante le priorità che dovrebbero e potrebbero stimolare un migliore utilizzo di ospedali di ricerca che tutti ci invidiano all’estero per la loro missione traslazionale: dai tumori alle malattie degenerative del sistema nervoso, dalle malattie rare orfane ai problemi dell’anziano con malattie multiple croniche, veri cimenti e bersagli della ricerca traslazionale nel terzo Millennio. Un’altra modalità innovativa dell’utilizzo attualmente inadeguato degli IRCCS da parte di Ministero e Regioni potrebbe essere quella di giovarsi della metodologia scientifica di cui sono depositari e conoscitori per coinvolgerli nei tanti attuali problemi gestionali del sistema sanitario nazionale: come, per esempio, quelli delle scarse integrazioni tra ospedale e territorio, dell’inappropriatezza degli accessi al pronto soccorso e delle interazioni tra i farmaci multipli che assumono gli Italiani che invecchiano.


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