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Regolamentare la cannabis: questioni complesse per una sostanza delicata

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Alla luce della recente approvazione in Germania della legge che consente e norma consumo e coltivazione della cannabis, cerchiamo di fare il punto su rischi e benefici della liberalizzazione. Ne parliamo con Viola Brugnatelli, co-fondatrice di Cannabiscienza, un’accademia online che si occupa di aggiornamento professionale in Italia sulla cannabis medica e sistema endocannabinoide.

Crediti immagine: Esteban López/Unsplash

Con 407 voti a favore, 226 contrari e 4 astenuti, il Bundestag, il Parlamento federale della Germania, il 23 febbraio 2024 ha approvato una legge per la legalizzazione della cannabis per uso ricreativo (anche se, secondo alcuni, sarebbe più corretto parlare di depenalizzazione). Un mese dopo, il Bundesrat, il Consiglio federale tedesco, ha confermato il via libera del Parlamento. Adesso, a partire dal 1 aprile, in Germania è legale il consumo e la coltivazione a uso personale di cannabis, definito e limitato secondo una precisa regolamentazione.

Le principali motivazioni alla base di questa legge, riassunte dal ministro della Sanità del Paese Karl Lauterbach, vertono da un lato sul tentativo di combattere il mercato nero della cannabis, al fine di togliere introiti alla criminalità organizzata; dall’altro, verso la protezione di giovani dai 18 ai 24 anni (la fascia d’età più esposta alla cannabis) da sostanze illegali e non controllate. In tal modo si immette legalmente nel mercato un prodotto dal contenuto di THC ben definito e, soprattutto, non adulterato con sostanze di origine sconosciuta. Al contempo, Simone Borchardt, membro dell’opposizione conservatrice, non è di questo avviso. La parlamentare sostiene al contrario che una legge come questa non farà che aumentare il mercato nero e accusa la coalizione di governo di Scholz (a trazione social-democratica e progressista) di aver elaborato una legge “ideologica”.

Sul tema della liberalizzazione della cannabis, e in generale delle sostanze stupefacenti, spesso le motivazioni ideologiche si mischiano a quelle economiche, mediche e sociali nel supportare l’una o l’altra tesi. C’è chi sostiene che legalizzando si tolga una fetta d’introiti alla criminalità organizzata, e chi afferma che ciò non farà altro che muovere i consumatori sempre più verso il mercato nero, alla ricerca di versioni più potenti della sostanza legalizzata. C’è chi enfatizza l’utilità - anche terapeutica - dei cannabinoidi, e chi sottolinea i rischi derivati dal suo consumo, specie per via inalatoria. C’è chi invece fa leva su principi politico-morali, muovendosi fra gli estremi poli del liberalismo, che sostiene la libertà individuale di disporre come meglio si crede del proprio corpo, e del proibizionismo, che sostiene la necessità, da parte dello Stato, di salvaguardare i cittadini da sostanze dannose per la loro salute e dal potenziale rischio sociale.

Nel tentativo di aprire una finestra il più ampia e globale possibile su questo dibattito, abbiamo intervistato la dottoressa Viola Brugnatelli, co-fondatrice di Cannabiscienza, un’accademia online che si occupa di aggiornamento professionale in Italia sulla cannabis medica e sistema endocannabinoide, erogando corsi e master.

Quali sono i rischi e i benefici della cannabis?

Nel parlare di rischi e benefici della cannabis – e a uno sguardo attento, risulteranno essere molti di più i secondi che i primi – non si può scindere la dimensione medica da quella normativa e sociale. Il rischio maggiore è quello legato alla non-regolamentazione dei cannabinoidi: la quale apre la strada, come sappiamo, al mercato nero. Nel mercato nero non avviene una selezione standardizzata delle qualità della cannabis, né la produzione rispetta i crismi di sicurezza e salute; non è raro che, per potenziare la sostanza o aumentarne il peso, la cannabis venga adulterata (tagliata, ndr) con sostanze altamente nocive.

Oltretutto, un mercato legale e opportunamente regolamentato della cannabis favorirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro e toglierebbe fonti di introito alla criminalità organizzata.

Venendo ai benefici medici, i cannabinoidi sono usati con successo in una pletora di patologie, molte delle quali non hanno un trattamento di prima linea (non hanno quindi un trattamento terapeutico standardizzato): dalla sclerosi multipla, all’epilessia, all’autismo... Molti dei problemi relativi alla somministrazione di cannabis in ambito medico derivano da una sua scarsa o inefficiente regolamentazione e quindi da un suo uso inappropriato. Per esempio, già solo controllare che l’accesso sia riservato a soggetti adulti e maggiorenni eliminerebbe uno dei più grandi rischi della cannabis: uno dei potenziali effetti problematici del consumo di cannabis in adolescenza (specie ad alto contenuto di THC) è infatti la possibile esacerbazione, in individui già esposti, di disturbi schizofrenici preesistenti. Un altro – possibile – rischio è ravvisato in una correlazione (della cui natura causale non si è però certi) fra insorgenza di sintomi depressivi nel giovane adulto e consumo di cannabis.

Dovremmo quindi considerare la cannabis un prodotto farmacologico come tutti gli altri?

Proviamo a pensare un attimo all’aspirina, uno dei prodotti over-the-counter fra i più venduti dagli anni ’50 a oggi. La sua finestra terapeutica (ovvero l’intervallo quantitativo fra un dosaggio efficace in ambito medico e un dosaggio letale) è sotto i 200 mg. Per la cannabis, parliamo di qualche kg: non si può parlare di rischi concreti legati alla “letalità” della cannabis.

Tuttavia, dal punto di vista regolativo, i cannabinoidi hanno una loro specificità; sono infatti una sostanza narcotica, perché al loro interno hanno un principio psicotropo, che le fa rientrare a pieno titolo nel mondo delle benzodiazepine e degli oppiacei. Per le quali, quindi, ci dev’essere una maggiore cautela nella somministrazione e nella prescrizione.

Quali sono le modalità più comuni di somministrazione, e per quali patologie viene più frequentemente prescritta, nel nostro Paese?

La modalità di somministrazione della cannabis viene scelta del medico sulla base della farmaco-cinetica: in parole semplici, come si muove il farmaco nel nostro corpo. Se ho bisogno, per esempio, che un farmaco perduri tanto tempo nel corpo di un paziente, sarà prediletta una somministrazione sublinguale o orale: degli oli somministrati sotto la lingua possono permettermi di avere una farmacocinetica molto più lunga di una somministrazione che avviene per via inalatoria, attraverso vaporizzazione.

Per quanto riguarda gli “ambiti di applicazione” dei cannabinoidi, in Italia non esiste una lista standardizzata di patologie per le quali è consigliata la somministrazione della cannabis. La decisione su una sua prescrizione sta alla competenza e alla sensibilità professionale del medico di caso in caso, avendo come unico fine il benessere del paziente.

C’è però un problema: l’ammontare del rimborso previsto da ogni SSR per questi farmaci, che sono a pagamento, varia di regione in regione a seconda delle leggi promulgate. E questa differenza, che si traduce in un diverso onere economico per i cittadini, è tutta una questione di scelta politica, non medica.

Parlando invece di uso ricreativo, è auspicabile una liberalizzazione della cannabis?

Da un punto di vista etico, la risposta più immediata è quella di un’equiparazione con alcool e tabacco (i quali anzi, riportano un potenziale di dipendenza e un tasso di letalità molto più alti…), che invece sono legali.

Un discorso analogo si può fare per quanto riguarda l’ipotesi che una legalizzazione favorisca un mercato nero per i minorenni. In ogni caso, è importante considerare esattamente come si regolamenta e legalizza la cannabis.

Prendiamo il caso dell’Olanda: fino a poco tempo fa (e di fatto, ancora adesso), non c’era un mercato legale di suppliers dei coffee-shop del Paese. In altre parole, la vendita e il consumo erano tollerati, l’esistenza di questi esercizi commerciali legale, ma per la loro fornitura non esisteva un mercato regolamentato: con tutta probabilità, l’erba e l’hashish consumati in Olanda provengono per buona parte dai garage e dalle serre sotterranee di Barcellona! Ovviamente, in questi casi non c’è un controllo standardizzato sulla qualità dell’erba e una valutazione del suo impatto sulla salute; inoltre, il mercato nero diventa un passaggio obbligatorio nella catena di produzione e consumo. Solo quest’anno è partito un progetto pilota per 19 coffee-shop localizzati in 11 municipalità dove, dopo una rigida selezione dei partner, si è iniziato un ciclo di produzione controllata. Una regolamentazione come questa va anche a salvaguardare i lavoratori.

In Svizzera è partito un simile progetto pilota per permettere alla popolazione locale di attingere a cannabis a uso ricreativo. Sarà poi effettuata una raccolta dati per valutare impatto su società, e poi alla fine del progetto pilota, si valuterà se legalizzare o no. Insomma, la questione è molto meno polarizzata e più sfumata di quel che si vuole far credere negli scontri fra fazioni: sono gli opportuni interventi legislativi, conditi dal rigore della ricerca scientifica, a rendere una situazione buona o deleteria.

 

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