fbpx Coesistere con la fauna, ridurre i conflitti e preservare la biodiversità è possibile

La prima conferenza mondiale per la coesistenza con la fauna

Tempo di lettura: 7 mins

In un mondo sempre più antropizzato, come è possibile coesistere con la fauna, ridurre i conflitti e preservare la biodiversità? Una sfida attuale e futura che richiede un approccio multidisciplinare, e che ha riunito più di 500 specialisti a Oxford nel primo convegno mondiale dedicato a conflitti e coesistenza organizzata dall'Unione internazionale per la conservazione della natura.

Crediti foto:Tapan Kumar-Choudhury su Unsplash

Elefanti che distruggono preziosi raccolti, leopardi che si aggirano per le strade di Mumbai, tentacolare megalopoli affollata, leoni e lupi che predano il bestiame, attacchi di tigri, grizzly e squali, morsi velenosi di serpenti. Animali che minano la sicurezza delle persone e delle loro attività, spesso in luoghi nel mondo in cui la vita è già alquanto complicata dalle disuguaglianze economiche e da un clima incerto. Animali che causano problemi, certo, e che però sono a loro volta messi in grave pericolo di estinzione dalle azioni umane. Nell’Antropocene in cui vivono otto miliardi di esseri umani, è possibile trovare un modo per risolvere i conflitti con la fauna e raggiungere la coesistenza? Questa la domanda aperta che ha fatto da sfondo alla prima conferenza internazionale sui conflitti e la coesistenza tra animali selvatici e umani, tenutasi a Oxford dal 30 marzo al 1° aprile 2023. Il convegno è stato organizzato dal nuovissimo gruppo specialistico Human-wildlife conflict dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Pianificato inizialmente per la primavera del 2020 e posticipato a causa della pandemia, il congresso ha riunito più di cinquecento esperti provenienti da oltre settanta Paesi, con un programma ricchissimo fatto di workshop, dibattiti, sviluppati in oltre cinquanta sessioni di approfondimento parallele.

«Il team Human-wildlife conflict è nato nel 2015. Inizialmente era stato pensato come una piccola task force temporanea, ma poi si è trasformato in un gruppo specialistico permanente» dice la presidentessa Alexandra Zimmerman, ricercatrice del prestigioso WildCRU, centro di ricerca sulla conservazione della fauna dell’università di Oxford e a capo del Global Wildlife Program della Banca Mondiale. «Lo scopo è quello di lavorare per offrire competenze e conoscenze sul tema della risoluzione dei conflitti con la fauna con un approccio basato sul dialogo e lo scambio tra le differenti discipline coinvolte nella gestione del problema». A Oxford erano infatti presenti biologi della conservazione, sociologi, esperti di marketing, giornalisti, ricercatori universitari, tecnici e operatori provenienti sia dalle istituzioni che dalle organizzazioni non governative.

Chiusura del Convegno internazionale Human Wildlife Conflict and Coexistence - Oxford - Foto: Laura Scillitani.

Risolvere i conflitti con la fauna è uno degli obiettivi del Kunning-Montreal Global Biodiversity framework, piano di lavoro stabilito nel corso della quindicesima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica, che ha l’ambizioso obiettivo di fermare la perdita di biodiversità e invertire l’attuale andamento negativo entro il 2030. Il target 4 dell’accordo è infatti quello di garantire azioni di gestione urgenti per arrestare l'estinzione indotta dall'uomo delle specie minacciate conosciute e per il recupero e la conservazione delle specie […] e gestire efficacemente le interazioni tra l'uomo e la fauna selvatica per ridurre al minimo il conflitto tra uomo e fauna selvatica per garantire la coesistenza. «I conflitti con la fauna sono un problema di conservazione della biodiversità, ma anche una importantissima questione sociale, e di sviluppo sostenibile. È fondamentale creare ponti tra le discipline, creare delle politiche idonee, lavorare con le comunità locali e potenziarle» ha spiegato Zimmerman all’apertura dei lavori di Oxford. Durante la conferenza sono stati portati diversi casi studio e si è parlato a lungo di come sviluppare indici che permettano di valutare l'efficacia delle strategie messe in atto e capire l’andamento dei conflitti, fondamentali per capire se si sta procedendo in maniera corretta per risolvere il conflitto in un determinato contesto.

Il conflitto tra umani e fauna si verifica quando gli animali rappresentano una minaccia diretta e ricorrente per il sostentamento o la sicurezza delle persone, portando alla persecuzione di quella specie. Spesso infatti i conflitti portano a ritorsioni contro la specie incriminata, e a scontri di vedute su ciò che dovrebbe essere fatto per porre rimedio alla situazione. Quello su cui tutti quelli che a vario titolo se ne occupano concordano, è che è necessario combinare diversi approcci, e ascoltare, comprendere e dialogare con le comunità locali, lavorare per la giustizia sociale e la sostenibilità nello sfruttamento delle risorse naturali.

La conferenza è stata un'occasione per presentare le nuove linee guida sui Conflitti e la coesistenza tra umani e fauna della IUCN: «Lo scopo sia della conferenza che delle linee guida è quello di favorire lo scambio all’interno di un gruppo di lavoro, e di avere un riscontro su come vanno le cose, in un’ottica di continua implementazione. Non sono un prodotto finito, ma un qualcosa da testare, rifinire, migliorare», spiega Zimmerman. In oltre 250 pagine, le linee guida forniscono indicazioni pratiche da declinare nei diversi contesti. Non esiste una ricetta universale e perfetta per risolvere questi conflitti. Non si può semplicemente trasferire un intervento pratico da un posto a un altro, ma occorre comprendere la natura dei conflitti, e quindi avere una consapevolezza del contesto socio-politico, oltre che ecologico. La coesistenza implica che gli esseri umani scelgano di condividere paesaggi e risorse naturali con la fauna selvatica in modo sostenibile. Per questo è necessaria la collaborazione tra diversi gruppi di persone coinvolte dalla presenza della fauna selvatica in questione a vario titolo. È fondamentale che le conoscenze scientifiche entrino a far parte delle policy, siano esse biologiche, come il monitoraggio degli animali e la comprensione della loro etologia, o sociologiche, quali lo studio dei valori e delle percezioni che guidano i comportamenti e le scelte delle persone. Poi ci sono le soluzioni pratiche, come i mezzi di prevenzione degli attacchi al bestiame per i carnivori, o l’uso di sistemi che tengono lontano gli elefanti dalle coltivazioni, oppure il monitoraggio degli squali bianchi per dare indicazioni in tempo reale ai surfer del pericolo di andare in mare. 

Umani e animali selvatici condividono il pianeta da sempre, ma i conflitti mostrano una crescita costante. L’espansione delle aree urbane e, soprattutto, la conversione degli habitat naturali a ambienti agricoli, aumentano sempre di più le situazioni in cui le popolazioni umane si trovano a fare i conti con gli animali selvatici. I cambiamenti climatici possono ulteriormente complicare questo scenario. Secondo uno studio pubblicato su Nature Climate change, oltre l’80% dei casi di conflitto con la fauna negli ultimi trent’anni, è legata alle variazioni di temperatura e di precipitazioni. La crisi climatica rende più complesso l’accesso alle risorse alimentari e idriche sia agli umani che agli animali, costringendo entrambi a spostarsi e spesso a occupare luoghi un tempo disabitati. Un esempio sono gli orsi polari che, costretti dallo scioglimento dei ghiacci nell’Artico, sono sempre più forzati ad alimentarsi sulla terra ferma. A Churchill, Manitoba, dagli anni Settanta al 2005 gli incontri tra persone e orsi polari sono triplicati. È una sorta di coperta sempre più corta, in cui gli spazi naturali sono talmente permeati dalla presenza umana che diventa difficile non inciampare nei conflitti con le altre specie. Così, per esempio, gli elefanti, sia africani che asiatici, sono a rischio critico di estinzione, ma nello stesso tempo sono un reale problema per i contadini che si trovano un campo devastato, che si traduce in non avere risorse per la sussistenza della famiglia. Il leone, che per noi è un inequivocabile simbolo della savana africana, un tempo era presente non solo in gran parte dell’Africa, ma anche in India, in Medio Oriente e nell’Europa meridionale. In generale tutte le specie del genere Panthera (quindi leoni, tigri, leopardi) sono a rischio di estinzione, ma sono anche animali che predano bestiame o che a volte attaccano e feriscono o uccidono le persone. Altre volte il conflitto è più legato ad abitudini e ai guadagni. È il caso delle balene grigie del Nord Atlantico, ormai ridotte a poco più di trecento esemplari, tra cambiamenti climatici che cambiano la distribuzione del plancton, e che si trovano a nuotare in tratti di mare strapieni di reti verticali per la pesca alle aragoste, rimanendo impigliate e gravemente ferite, spesso morendo annegate. Per salvare le ultime balene si sta cercando di regolamentare la pesca, e di mettere a punto nuove tecnologie prive di corde, un esempio è quello messo a punto dall'organizzazione non governativa Blue Planet Strategy . Il sistema è stato adottato nelle coste canadesi, mentre nelle coste del Maine ha incontrato forti dissensi tra i pescatori locali, che sentono minacciata la loro attività. Un esempio eclatante che non tutte le comunità sono uguali, e che il lavoro da fare per la conservazione deve andare di pari passo sul piano psico-sociologico, comunicativo e tecnico.

In Europa, i selvatici che sicuramente generano più contrasto sono i grandi carnivori, che negli ultimi decenni stanno tornando a popolare il nostro territorio, alquanto trasformato dall’azione umana. Se questa ripresa da un lato è un successo di conservazione, dall’altro il conflitto resta alto, in alcuni casi latente, in altri più esplicito. Animali come orsi e lupi in passato hanno subito una sistematica persecuzione che ne ha provocato estinzioni locali un po’ ovunque. E il loro ritorno oggi impone l’obbligo di lavorare costantemente per la coesistenza. «La coesistenza non è uno stato, ma un processo in continua evoluzione, che richiede la continua gestione dei cambiamenti in atto» ha dichiarato nel discorso di chiusura dei lavori John Linnell, ricercatore presso l'Istituto norvegese per la ricerca sulla natura (NINA) e professore alla Inland Norway University of Applied Sciences, tra i massimi esperti europei in tema di coesistenza con i grandi carnivori. «La coesistenza è come una nave che passerà la sua intera esistenza a navigare tra i flutti, il viaggio è in costante evoluzione». Non resta che salpare su questa nave, cercando costantemente una bussola per orientarsi e rimanere in equilibrio, a volte imbarcando acqua, a volte navigando sicuri. E la chiave è riaggiustare sempre la rotta, lavorando in modo sinergico riunendo saperi e culture diversi.

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

L’allenamento musicale migliora la lettura di testi scritti

spartito

Uno studio pubblicato su NeuroImage Reports mostra che i musicisti attivano il cervello in modo diverso dai non musicisti durante la lettura, con un coinvolgimento bilaterale del giro occipitale medio. L'educazione musicale sembra migliorare le abilità di lettura e potrebbe proteggere da disturbi come la dislessia.

Immagine Pixabay

I musicisti leggono usando il cervello in modo diverso dalle altre persone. È il risultato di un recente studio uscito su NeuroImage Reports firmato da Alice Mado Proverbio e di Elham Sanoubari dell’Università Milano-Bicocca. Una delle principali conclusioni è la notevole differenza nell'attivazione cerebrale tra musicisti e non musicisti nel giro occipitale medio (MOG) durante la lettura di testi.