fbpx Serve la giustizia ambientale tra i criteri della transizione ecologica | Scienza in rete

Metti la giustizia ambientale nella transizione ecologica

Primary tabs

Tempo di lettura: 6 mins

Quello della giustizia ambientale è un concetto stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e assunto dall’Agenzia Europea dell’Ambiente; ma l'ingiustizia ambientale è diffusa in molte aree italiane, dove vivono popolazioni più esposte a inquinamento ma che non godono di maggiori benefici e spesso non beneficiano di processi partecipativi equi. La transizione ecologica dovrebbe avere la giustizia ambientale tra i suoi criteri, e anche nella ripartizione del Recovery Fund dovrebbero essere incluse iniziative finalizzate al riequilibrio di equità.

Crediti immagine: Patrick Hendry/Unsplash

Quando si parla di ambiente e salute, raramente l’argomento dell’equità e dell’ingiustizia in assenza di equità è affrontato adeguatamente. L'Environmental Justice è un concetto nato negli Stati Uniti nei primi anni ’80 e oggi stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e assunto dall’Agenzia Europea dell’Ambiente. La giustizia ambientale è riferita ai movimenti sociali e politici impegnati a favore della distribuzione equa dei benefici e degli oneri ambientali, ma è anche diventata un’area multidisciplinare delle scienze sociali che studia le teorie dell'ambiente e della giustizia, le leggi e le politiche ambientali, la pianificazione e la governance per lo sviluppo sostenibile, e più in generale l'ecologia politica.

Se è intuitivo che azioni con effetti sulla sfera pubblica possano generare diseguaglianze, non per questo la problematica è considerata prioritaria nelle decisioni che riguardano l’ambiente e la salute. Parlando di transizione ecologica, questo concetto appare ancora meno eludibile in considerazione del fatto che le scelte su quanta e quale energia occorre oggi e sarà necessaria in futuro e su come produrla, sull’accesso pubblico all’acqua potabile e come gestirla, su come chiudere il ciclo dei rifiuti, su quale agricoltura sia sostenibile e così via sono argomenti di interesse pubblico generale e le decisioni a loro riguardo sono dense di conseguenze, anche in termini di giustizia ambientale. Non c’è giustizia ambientale quando i rischi e i benefici non sono distribuiti equamente nella popolazione, quando non c’è equo accesso alle risorse naturali e agli investimenti per l’ambiente, quando c’è perequazione nell’accesso alle informazioni e nella partecipazione alle decisioni che riguardano tutti.

Basta applicare questi semplici criteri alla realtà per poter condividere un giudizio di ingiustizia ambientale diffusa in molte aree italiane, dove vivono popolazioni più esposte a inquinamento ma che, pure essendo più vulnerabili, non godono di maggiori benefici e spesso non beneficiano di processi partecipativi equi. Basta l’esempio dei siti da anni in attesa di bonifica, attualmente 42 aree considerando solo quelle di interesse nazionale (SIN) dove vivono circa 6 milioni di persone che sono mediamente più esposte a inquinanti e registrano un peggiore stato di salute. In molte di queste aree i rischi non sono equamente distribuiti e i benefici spesso non sono appannaggio delle stesse comunità o gruppi più fragili: questa doppia disparità aumenta le diseguaglianze, ambientali e socio-economiche, che aumentano ulteriormente quando gli stessi più fragili non sono ascoltati e messi in condizione di partecipare alle scelte che in fin dei conti riguardano soprattutto la loro vita.

Non è mai superfluo ricordare che quando si parla di portatori di interessi (stakeholder), l’interesse principale è riferito al benessere complessivo e non solo a quello economico. Le parzialità d’intervento/trattamento sono “facilitate” quando non si conoscono con precisione quali sono le aree e le comunità più impattate, per mancanza di dati o perché si è in possesso di dati ambientali e di salute riferiti a comprensori ampi che contengono al loro interno gruppi più o meno sovraccarichi di rischi e problemi. Nelle situazioni con studi a livello di macro-area, per esempio su uno o più comuni, i dati ci dicono spesso che in aree inquinante ci sono anomalie di salute e che quindi occorrerebbe intervenire per ridurre il carico ambientale e di malattia, ma per sapere quali sono i gruppi più esposti a livello sub-comunale occorrono approfondimenti. Studi di dettaglio sulle comunità esposte a diversa pressione ambientale sono stati eseguiti in numerose aree, come in quella di Taranto in cui ripetuti studi e valutazioni su piccole aree hanno mostrato come rischi e malattie sono più addensate in sub-aree più esposte a ricadute di inquinanti (quartiere Tamburi). 

I legami tra il tipo e il dettaglio di conoscenza su ambiente e salute e la giustizia ambientale sono evidenti. Decidere interventi benefici di prevenzione, di risanamento, di mitigazione, di risarcimento, è un’attività delicata e affollata di responsabilità perché distribuendo secondo un principio di uguaglianza si può accentuare la disequità. Questo apparente paradosso richiama almeno due teorie filosofiche fondamentali:

  • l’utilitarismo (dai filosofi greci a Bentham e Hume nel XVIII secolo), secondo cui in/per una società giusta si deve perseguire il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone o, in altre parole, è ritenuto giusto compiere l'atto che, tra le alternative, massimizza la felicità complessiva, misurata tramite l'utilità
  • la giustizia distributiva (John Rawls, Teoria della Giustizia, 1982) che a partire dalla critica all’utilitarismo in quanto tendente a sacrificare gli interessi delle minoranze, si basa sull'idea che i beni sociali devono essere distribuiti in modo eguale, ma una distribuzione uguale può esserci solo se avvantaggia i più svantaggiati. Rawls parla di “giustizia distributiva equa” cioè in grado di considerare le “disuguaglianze immeritate” e creare un sistema dove i meno avvantaggiati possano ottenere il massimo possibile. Senza andare oltre nell’approfondimento filosofico, appare comunque chiaro come le diseguaglianze immeritate siano strettamente legate alle diseguaglianze ambientali e socio-economiche

Se si vogliono perseguire opzioni di giustizia ambientale, sono tante le situazioni e circostanze in cui c’è bisogno di una giustizia distributiva equa per assicurare maggiori benefici a chi è più soggetto a rischi ambientali. In questa visione c’è da chiedersi perché a fronte di incentivi economici a beneficio di iniziative di sviluppo, spesso arricchite impropriamente col suffisso verde- o bio-, non c’è per ora una traccia significativa di simili pratiche a supporto di iniziative di prevenzione. Aree più sovraccariche e con comunità più fragili non sono solo quelle dei siti di bonifica, ma ce ne sono molte altre, anche di ampie proporzioni, come larghe porzioni della pianura padana da anni sottoposte a pesante inquinamento atmosferico che ha reso le popolazioni residenti più fragili, e quindi più suscettibili ad agenti esterni di qualsiasi tipo, come emerso per il coronavirus SARS-CoV-2.

La transizione ecologica, intesa come traguardo finalizzato a evitare o ridurre le alterazioni dannose che le attività umane producono nell’ambiente naturale, dovrebbe avere tra i criteri quello della giustizia ambientale. I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè servizi e prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, e in particolare attinenti al settore prevenzione collettiva e sanità pubblica, e i Livelli Essenziali delle Prestazioni Tecniche Ambientali (LEPTA) previsti dalla legge132/2016, possono rappresentare un'utile intelaiatura anche per prevedere criteri aggiuntivi di riparto del fondo sanitario nazionale e regionale per riequilibrare situazioni documentate a diverso rischio ambientale e stato di salute.

Anche nella ripartizione del Recovery Fund dovrebbero essere incluse iniziative finalizzate al riequilibrio di equità, prevedendo risorse ad hoc per interventi di prevenzione primaria concentrati in situazioni riconosciute a maggior rischio, per rafforzare il servizio sanitario, per finanziare studi e ricerche finalizzate a sviluppare le conoscenze sulla distribuzione di rischi e benefici, per consolidare le valutazioni di impatto ambientale e sulla salute (VIA, VAS, VIS). Su queste ultime si è assistito recentemente a critiche o palesemente pretestuose o povere di argomentazioni, sorrette da obiezioni sui tempi lunghi e la farraginosità che impedirebbero la realizzazione di interventi di utilità e innocuità assicurati a priori, anziché richiedere di dare più strumenti alle commissioni di valutazione, nazionale e regionali. Anche le valutazioni di impatto hanno stretti legami con la giustizia ambientale, dovendo prendere in considerazione le caratteristiche delle popolazioni soggette agli impatti e coinvolgere i portatori di interessi, anche attraverso le procedure previste di dibattito pubblico. La società della conoscenza è il sale della democrazia, scorciatoie e fughe in avanti o indietro portano in altre direzioni, peraltro già sperimentate in passato.

 

Bibliografia
Schlosberg, David. Defining Environmental Justice: Theories, Movements, and Nature. 2007; Oxford University Press
Galise et al. L’impatto ambientale e sanitario delle emissioni dell’impianto siderurgico di Taranto e della centrale termoelettrica di Brindisi. Epidemiol Prev 2019; 43 (5-6):329-337. doi: 10.19191/EP19.5-6.P329.102.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

L’allenamento musicale migliora la lettura di testi scritti

spartito

Uno studio pubblicato su NeuroImage Reports mostra che i musicisti attivano il cervello in modo diverso dai non musicisti durante la lettura, con un coinvolgimento bilaterale del giro occipitale medio. L'educazione musicale sembra migliorare le abilità di lettura e potrebbe proteggere da disturbi come la dislessia.

Immagine Pixabay

I musicisti leggono usando il cervello in modo diverso dalle altre persone. È il risultato di un recente studio uscito su NeuroImage Reports firmato da Alice Mado Proverbio e di Elham Sanoubari dell’Università Milano-Bicocca. Una delle principali conclusioni è la notevole differenza nell'attivazione cerebrale tra musicisti e non musicisti nel giro occipitale medio (MOG) durante la lettura di testi.