fbpx Mappare il connettoma del cervello: una fatica inutile?

Mappare il connettoma del cervello: una fatica inutile?

La pubblicazione sulla rivista Science della prima mappa completa delle connessioni di un cervello complesso lascia riemergere un decennale dibattito sull'utilità dello studio dei connettomi per la reale comprensione delle funzioni cerebrali. La questione è: una mappa dettagliata della struttura del cervello è necessaria (o addirittura sufficiente) per il progresso delle neuroscienze?

Nell'immagine, la ricostruzione di tracciati di neuroni e sinapsi in una porzione di retina di topo, ottenuta sulla piattaforma EyeWire, un gioco online in cui gli utenti possono mappare i percorsi dei neuroni da immagini reali di microscopia elettronica. Crediti: Alex Norton per EyeWire

Tempo di lettura: 8 mins

«Se vogliamo capire chi siamo e come pensiamo, in parte significa capire i meccanismi del pensiero, e la chiave per farlo è sapere come i neuroni si connettono l’uno con l’altro» così commenta Joshua T. Vogelstein, ingegnere biomedico e uno degli autori dell’articolo pubblicato il 10 marzo sulla rivista Science che illustra la prima mappa completa dell’intero cervello di una larva di Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta. La mappa identifica e traccia il percorso di tutti i 3014 neuroni dell’animale e l’insieme di sinapsi, 548 000 per la precisione, che questi formano tra loro, ricreando una vera e propria geografia ad alta risoluzione delle connessioni nervose all’interno del cervello, ovvero il suo connettoma. Lo studio, frutto di una collaborazione decennale tra l’università di Cambridge e la Johns Hopkins, secondo gli autori rappresenta un punto di riferimento fondamentale per la comprensione del cervello, incluso quello umano, ma allo stesso tempo rispolvera una altrettanto decennale questione: per capire come funziona un cervello abbiamo bisogno di una mappa di tutte le connessioni tra tutti i neuroni? Ovvero, citando il controverso discorso al TEDGlobal nel 2010 di Sebastian Seung, neuroscienziato e professore alla Princeton University, “Io sono il mio connettoma?”.

Provocazioni a parte, il dibattito si concentra sulla reale utilità di mappature a scala nanometrica, sinapsi per sinapsi, per comprendere i processi computazionali con cui il cervello genera i comportamenti. Dopo il discorso di Seung al TEDGlobal, il tema venne ripreso da diverse testate giornalistiche che riportarono le opinioni discordanti degli scienziati. «In un mondo astratto, con infinite risorse, la questione non si porrebbe» argomenta Anthony Movshon, direttore del Centro per le Scienze Neurali dell’università di New York nel dibattito con Sebastian Seung tenutosi alla Columbia nel 2012, «Sono uno scienziato, non discuterei mai sull’utilità di acquisire nuovi dati»; ma in questo mondo le risorse sono ben altro che infinite e obbligano la comunità scientifica e i finanziatori a domandarsi se la strada intrapresa sia non solo quella giusta, ma anche quella più efficace.

In difesa del connettoma

In una foresta con migliaia di alberi o in una città con migliaia di strade, una mappa sembrerebbe il minimo sindacale. Eppure, per gli intrecci di miliardi di neuroni in cui i neuroscienziati cercano di districarsi, ne siamo sprovvisti. Il concetto sembra, all’apparenza, semplice: se il cervello è un organo che raccoglie informazioni, le integra, le elabora e produce dei comandi, questo avviene grazie alla sua struttura finemente interconnessa, grazie alla capacità delle diverse parti di “parlare” tra loro e organizzarsi.  Una mappa permetterebbe di orientarsi in questa concitata conversazione tra neuroni, aiutando i ricercatori a focalizzarsi sui dialoghi rilevanti e permettendo loro di testare ipotesi con esperimenti mirati. «Conoscere la struttura è l’unico modo per comprendere veramente la funzione» sottolinea Moritz Helmstaedter, responsabile del Dipartimento di connettomica all’università di Francoforte, nel convegno annuale della Società di Neuroscienze Cognitive del 2016.

Ma la comunità scientifica intera concorda che una mappa del connettoma del cervello umano è un obiettivo a oggi neanche immaginabile. Nonostante le tecniche di tracciamento progrediscano rapidamente, gli 86 miliardi di neuroni e le 1015 sinapsi del cervello umano sono un traguardo ancora lontano e, se anche fosse immaginabile, le informazioni ottenute rappresenterebbero un problema concreto di gestione di dati: nel 2021 la mappatura di un millimetro cubo di cervello umano, condotta da una collaborazione tra Harvard e Google, ha prodotto 1.4 petabytes di dati; un singolo millimetro, e il cervello umano in media ne ha più di un milione.

Ma non c’è da disperare; l’essere umano condivide numerose strutture e funzioni con animali più semplici che per anni sono stati impiegati con successo come modelli nella ricerca scientifica, fornendo informazioni fondamentali per l’attuale comprensione del cervello.  A oggi sono numerosi i risultati e i centri di ricerca che si occupano di mappare le connessioni tra i neuroni di modelli non umani: la prima mappa venne pubblicata nel 1986 e apparteneva al nematode C. elegans, con i suoi 302 neuroni e le 7600 sinapsi;  oggi, abbiamo mappature complete anche per la larva delle ascidie C. Intestinalis e di un anellide marino P. dumerilii; nel 2019, l’Allen Brain Institute ha festeggiato il completamento di un millimetro cubo di cervello di topo contenente un miliardo di sinapsi; nel 2020 il Jamelia Institute ha pubblicato, in collaborazione con Google, la mappa di 20 milioni di sinapsi di un emisfero di adulto di Drosophila e qualche giorno fa la pubblicazione su Science del cervello completo di larva si aggiunge alla lista. Ma cosa dice di noi?

Nell’immagine la ricostruzione di una sinapsi tra due neuroni (una cellula gangliare in blu e una cellula amacrina in giallo) della retina di un topo. La ricostruzione deriva dal gioco online Eyewire, in cui dal 2012 gli utenti possono tracciare i prolungamenti dei neuroni di immagini reali ottenute da microscopi a elettroni. Crediti immagine: Alex Norton. 

Lo studio: cosa ci può dire un moscerino

Dopo dieci anni di lavoro, di scansione, ricomposizione e analisi dati, i risultati pubblicati sulla rivista Science forniscono un quadro completo e finemente dettagliato del cervello di una larva di moscerino. Una larva in grado di percepire l’ambiente circostante secondo diverse modalità sensoriali, in grado di cercare del cibo, cooperare con altre larve, evitare predatori e reagire a stimoli potenzialmente nocivi come il calore; comportamenti che anche noi condividiamo. I cervelli di un moscerino e di un essere umano hanno in comune più di quanto possa sembrare: uno studio pubblicato sempre su Science nel 2013 sottolineava la profonda omologia tra il complesso centrale, una struttura del cervello degli artropodi, e i gangli della base dei mammiferi, un circuito di strutture cerebrali coinvolte in diverse funzioni; allo stesso modo nel 2020, una ricerca del King’s college di Londra indicava come moscerino, topo e essere umano condividessero dei meccanismi genetici fondamentali per la regolazione e la funzione di alcuni circuiti cerebrali.

Lo studio quindi fornisce un utile strumento di base per l’elaborazione e la verifica di ipotesi riguardo alcuni comportamenti complessi e rilevanti, indagabili in un modello molto studiato e di facile manipolazione.

Ma non è tutto, questa analisi fornisce nuove osservazioni sull’architettura e il potenziale funzionamento del sistema nervoso in generale. Per esempio, gli autori hanno osservato come le sinapsi non canoniche (ovvero non da un assone verso un dendrite ma viceversa o tra due assoni o due dendriti), note alla comunità scientifica ma relegate a un ruolo minoritario, fossero molto più presenti di quanto immaginato, con il 41% dei neuroni che formano anche questo tipo alternativo di sinapsi. Un’ulteriore osservazione che ha stupito i ricercatori riguarda il processamento delle informazioni sensoriali: ci si aspettava che un neurone raccogliesse informazioni riguardo uno specifico senso per poi integrarle a un livello successivo del circuito, al contrario la maggior parte dei neuroni sensoriali sembra partecipare nella raccolta di più tipologie di informazioni.

La scoperta più interessante, tuttavia, riguarda l’organizzazione generale dei circuiti, che assomiglia ai modelli computazionali di alcune reti neurali artificiali. I ricercatori hanno individuato la presenza di neuroni organizzati in architetture ricorrenti a formare dei loop, particolarmente presenti nel centro di apprendimento dell’animale, deputato probabilmente a formulare predizioni in base alle esperienze pregresse e aggiornare questi modelli predittivi nel caso in cui le aspettative si discostino dalla realtà. L’organizzazione di questo centro ricorda le reti neurali ricorrenti delle intelligenze artificiali, modelli di algoritmi utilizzati dalle AI per compiere analisi predittive su sequenze di dati, come comprendere un testo o riconoscere una voce che parla. 

Ricostruzione su larga scala della mappa completa dei neuroni nel cervello del moscerino della frutta. Crediti: Johns Hopkins University & University of Cambridge

Quello che il connettoma non dice

Dopo il discorso al TEDGlobal del 2010 in cui Sebastian Seung invitava a investire sforzi e risorse nella mappatura delle connessioni, parte della comunità scientifica si è proclamata contraria; contraria almeno a investire grandi quantità di energie e finanziamenti in quella direzione, tendenza invece già manifestata da grandi iniziative internazionali come lo Human Brain project europeo, il Chinese Human Connectome project o lo Human Brain Connectome project statunitense, che dal 2009 raccoglie e analizza risonanze magnetiche (MRI) di migliaia di persone.  In questo caso parliamo di una tipologia diversa di connettomi, su scala più ampia, che tracciano i percorsi della sostanza bianca cerebrale, ovvero dei fasci di fibre di neuroni che connettono tra loro le regioni del cervello.

Tipologia diversa ma stesso problema: secondo parte della comunità scientifica, il problema dei connettomi è proprio una questione di scala, troppo grande nel caso della risonanza magnetica, che ignora le connessioni più sottili o locali e le sinapsi, troppo piccola invece per quanto riguarda la risoluzione sinaptica. «Esiste un problema di mancata corrispondenza tra le informazioni che si ottengono con gli esperimenti di connettomica e la descrizione che si vuole acquisire rispetto al sistema di interesse, ovvero come funziona il cervello» spiega  Anthony Movshon, che suggerisce come un livello di scala cruciale possa essere una via di mezzo, una “mesoscala”, utile per studiare i neuroni e le sinapsi in unità funzionali, come per esempio le colonne della corteccia cerebrale dei mammiferi. «Il problema è che la struttura non ti dice nulla sulla computazione, su come le informazioni vengono processate» argomenta Movshon, «È sufficiente avere una descrizione statistica» ma mappare i singoli neuroni dei singoli individui, animali o umani che siano, «non fornisce informazioni supplementari interessanti», soprattutto considerando la variabilità inter-individuale e l’elevata dinamicità delle connessioni.

Secondo Movshon e numerosi altri scienziati, il connettoma eccede in dati trascurabili ma si perde altri elementi fondamentali per la comprensione dei meccanismi nervosi. I neuroni parlano linguaggi diversi e conoscere la natura della sinapsi, se eccitatoria o inibitoria per esempio, è un’informazione critica per capire come funziona un circuito. Allo stesso modo, il connettoma ignora le componenti non neuronali come la glia, a cui da tempo è stato riconosciuto un ruolo rilevante della trasmissione del segnale nervoso. «Dopo più di 20 anni, conoscere il connettoma del nematode non ha materialmente migliorato la nostra comprensione su come vengano processate le informazioni e prodotti i comportamenti» dice Movshon, «Il connettoma ti dice cosa potrebbe accadere, non ti dice cosa accade realmente».

La questione dunque rimane: con le risorse economiche e tecnologiche che abbiamo a disposizione oggi, quel “cosa potrebbe accadere” resta comunque la strada più interessante?

 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La contraccezione di emergenza e il mistero dei “criptoaborti”

Il comitato anti-aborto denominato Osservatorio permanente sull’aborto sostiene che i contraccettivi di emergenza come la pillola del giorno dopo causino "criptoaborti" e insiste su una presunta azione abortiva non riconosciuta dalla comunità scientifica, che afferma chiaramente la natura contraccettiva di questi farmaci. È un movimento, sostenuto anche dall'Associazione ProVita e Famiglia, che porta avanti una campagna più ampia contro tutti i contraccettivi ormonali.

Sono 65.703 le interruzioni volontarie di gravidanza registrate dall’ISTAT nel 2022 in Italia. Il numero è calato progressivamente dal 1978, quando è entrata in vigore la legge 194, che regolamenta l’aborto nel nostro Paese. Un comitato di ginecologi e attivisti dell’Associazione ProVita e Famiglia, però, non è d’accordo: sostiene che sono molte di più, perché aggiunge al computo 38.140 fantomatici “criptoaborti” provocati dall’assunzione dei contraccettivi ormonali di emergenza, la pillola del giorno dopo e quella dei cinque giorni dopo.