fbpx Ma l’hamburger fa male o no? | Scienza in rete

Ma l’hamburger fa male o no?

Primary tabs

Tempo di lettura: 5 mins

Secondo una serie di studi pubblicati su Annals of Internal Medicine dal gruppo di ricercatori NutriRECS, la carne rossa presenterebbero un rischio trascurabile di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete e cancro. Quindi via libera, almeno per gli adulti, al consumo di bistecche e hamburger secondo le abitudini americane di tre porzioni alla settimana. La notizia ha fatto il giro del mondo anche perché sembra voler contrastare le linee guida nutrizionali più accreditate, che invece invitano a ridurre il consumo di carne rossa, per motivi sia sanitari sia ambientali. Non sono ovviamente mancate le critiche e le reazioni delle più importanti società scientifiche del mondo, dall'American Heart Association al World Cancer Research Fund, fino all'organismo OMS per la studio del cancro, lo IARC di Lione, che nel 2015 aveva classificato la carne rossa lavorata come cancerogena. Chi ha ragione? E quali i possibili conflitti d'interesse in gioco? (Nella foto, l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini addenta un hamburger, dal suo profilo Istagram).

Ovviamente i media ci si sono buttati a pesce, per così dire. Secondo una serie di studi pubblicati su Annals of Internal Medicine la carne processata (tipo hamburger) o non processata (tipo bistecca), presenterebbero solo un rischio minimo, se non trascurabile, di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete e cancro. Peraltro, continuano i ricercatori, le prove esaminate sono di qualità molto debole, perché provenienti in gran parte da studi osservazionali e con molti confondenti (tipo le patatine che si mangiano con l’hamburger). La notizia ha fatto il giro del mondo anche perché sembra voler contrastare le linee guida nutrizionali ormai condivise in tutto il mondo, ulteriormente rafforzate dalla monografia sulla carne dell’agenzia OMS per il cancro, lo IARC di Lione, che nel 2015 ha classificato la carne lavorata come cancerogena (categoria 1), anche se con un rischio individuale estremamente più basso dei cancerogeni maggiori come fumo e asbesto.

Studi esplosivi

Queste nuove revisioni sistematiche della letteratura sono chiaramente dirette a indebolire le conclusioni di IARC. La revisione più importante condotta dai ricercatori del Consorzio NutriRECS ha valutato i decessi compiendo una metanalisi su 61 articoli che comprendono 55 popolazioni e più di 4 milioni di partecipanti. In un altro studio i ricercatori hanno analizzato i (pochi) studi randomizzati che collegano la carne rossa a cancro e malattie cardiache, così come altri 73 articoli sui collegamenti tra carne rossa e incidenza e mortalità del cancro. La conclusione è sempre la stessa: mangiare tre porzioni a settimana di carne rossa processata o non processata espone a un rischio di malattia molto piccolo, e di questo rischio si hanno prove di qualità molto bassa.

A queste quattro revisioni ne è seguita un’altra che ha considerato le propensioni dei consumatori verso la carne, concludendo che “i consumatori onnivori sono molto attaccati alla carne e non sono disposti a cambiare questo comportamento di fronte ad effetti potenzialmente indesiderati sulla salute”.

Alla luce di questi risultati il gruppo NutriRECS ha elaborato nuove linee guida nutrizionali con queste due raccomandazioni: “Il gruppo di esperti suggerisce che gli adulti continuino l'attuale consumo di carne rossa non trattata (raccomandazione debole, prove di qualità scarsa). Analogamente, il gruppo di esperti suggerisce che gli adulti continuino l'attuale consumo di carne lavorata (raccomandazione debole, prove di qualità scarsa)”. (Vedi anche il resoconto giornalistico di Gina Kolata sul New York Times).

Le critiche

Le reazioni non si sono fatte attendere da parte di molte università e società scientifiche come l’American Heart Association, la World Cancer Research Fund (WCRF) e lo stesso IARC, che hanno pubblicato una dichiarazione congiunta. Per usare le parole della presidente del WCRF Giota Mitrou: “Il pubblico potrebbe essere messo a rischio se interpreta questa nuova raccomandazione nel senso che può continuare a mangiare tutta la carne rossa e lavorata che vuole senza aumentare il rischio di cancro. In realtà il messaggio da dare è che non dovremmo mangiare più di tre porzioni di carne rossa alla settimana e mangiare poca, se non addirittura zero, carne lavorata. Ci atteniamo alla rigorosa ricerca degli ultimi 30 anni ed esortiamo il pubblico a seguire le attuali raccomandazioni sulla carne rossa e sulla carne lavorata”.

A sua volta la Scuola di salute pubblica dell’Università di Harvard ha pubblicato una dura presa di posizione che in sostanza addebita ai ricercatori di NutriRECS di aver elaborato linee guida permissive sul consumo di carne contraddicendo i risultati della loro stessa ricerca. Senza considerare il fatto che non è più ammissibile oggi affrontare il tema carne senza minimamente considerare l’impatto ambientale accanto a quello sanitario. Infine, gli esperti di Harvard si stupiscono che una rivista medica così prestigiosa si sia prestata a pubblicare linee guida elaborate da un panel autonominatosi al di fuori da qualsiasi normale procedura di condivisione con altre società scientifiche.

Secondo Paolo Vineis, dell’Imperial College di Londra e coordinatore del gruppo di epidemiologi che collaborò alla Monografia IARC sulla carne rossa, le metanalisi di NutriRECS hanno il principale difetto di usare un sistema di valutazione delle prove importato dalle ricerche cliniche, che considera una relazione come causale solo quando si basa su sperimentazioni randomizzate. “Questo è uno standard non applicabile a studi osservativi su popolazioni umane” commenta Vineis. “In base a questo standard praticamente tutto ciò che sappiamo sui rischi per la salute nell’uomo sarebbe classificato ‘di basso livello qualitativo’, una conclusione inaccettabile. Inoltre, NutriRECS non considera che vi sono forti prove relative alla produzione di sostanze cancerogene durante la cottura della carne, e anche la produzione endogena di cancerogeni con formazione di nitrosocomposti (potenti cancerogeni sperimentali), come dimostrato dalle ricerche randomizzate di Sheila Bingham e altri”.

Attenzione ai conflitti d'interesse

Trattandosi di un tema così sensibile e carico di interessi come la nutrizione, la cautela è d’obbligo. In un editoriale dell’anno scorso su JAMA, il noto epidemiologo e biostatistico John Ioannidis dell’Università di Stanford aveva messo il dito sulla natura controversa delle ricerche in campo nutrizionale, osservando come “affidarsi agli studi osservazioni per i quali l'inferenza causale è notoriamente difficile limita la capacità di chiarificazione da parte della scienza della nutrizione. Quando i dati non sono chiari, le opinioni e i conflitti di interesse, sia finanziari che non finanziari, possono influenzare articoli di ricerca, editoriali, linee guida e le stesse leggi”. Per questo motivo Ioannidis invocava l’adozione di regole più strette nell’esplicitazione dei conflitti di interesse dei ricercatori in questo settore.

A una prima analisi del sito internet del gruppo NutriRECS, si constatano alcune collaborazioni con Cochrane Sudamerica e alcune università. Quanto a possibili conflitti di interesse il gruppo si perita di definirsi in homepage “un gruppo indipendente con competenze cliniche, nutrizionali e di salute pubblica, esperto nella metodologia di revisioni sistematiche e linee guida pratiche che non sono vincolati da vincoli istituzionali e conflitti di interesse”. Nulla si dice sulla natura giuridica e sui partner di NutriRECS, a partire da Texas A&M AgriLife, grande organismo educativo dello Stato del Texas attivo in molti ambiti, dagli interventi in caso di emergenze all’agricoltura alla fiorente zootecnia texana.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Le cause del dilagare dei pensieri suicidi in adolescenza

Analizzando le risposte di un campione di oltre 4.000 studenti italiani, una ricerca del gruppo MUSA del CNR ha evidenziato l’importanza del deterioramento delle relazioni umane nella nascita di pensieri suicidi in adolescenza. È un risultato che conferma quanto suggerito da altri studi ed evidenzia l’urgente bisogno di interventi mirati e contestualizzati, e anche il ruolo centrale e cruciale della scuola nel sostegno del benessere relazionale giovanile.

Crediti immagine: Andreea Popa/Unsplash

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha iniziato ad approfondire l’analisi delle ideazioni suicidarie, anche a causa del loro dilagare. Questi pensieri, diversamente dal suicidio, costituiscono un oggetto di studio su cui è possibile raccogliere dati direttamente dai soggetti coinvolti nel problema. Uno studio su un campione di oltre 4.000 studenti e studentesse delle scuole superiori svolto dal gruppo MUSA del CNR sottolinea l’importanza del deterioramento delle relazioni umane nella nascita di pensieri suicidi in adolescenza.