fbpx La laurea conviene, ma pochi lo sanno | Scienza in rete

La laurea conviene, ma pochi lo sanno

Primary tabs

Tempo di lettura: 12 mins

Il superamento dell’attuale crisi economica e il rilancio del Paese impone un’attenzione particolare rispetto il tema della formazione e dell’orientamento dei giovani verso gli studi post-diploma. Diverse indagini hanno evidenziato nel tempo la scarsa efficacia delle azioni di orientamento dei neo-diplomati rispetto la scelta del corso di laurea, sia di quelle condotte dagli atenei sia di quelle prodotte in ambito scolastico. Individuare gli strumenti adeguati al fine di garantire una dignitosa crescita individuale e sociale implica sotto questo profilo il considerare una molteplicità di fattori che concorrono ad aiutare i giovani nella scelta del settore disciplinare nell’ambito del quale proseguire gli studi di formazione superiore. Definire le corrette modalità attraverso cui offrire agli studenti un valido supporto in questa difficile scelta è un compito tanto delicato quanto un investimento fondamentale al fine di gettare solide basi per crescita intellettuale e professionale delle future generazioni.

L’obiettivo principale che Istituzioni e operatori devono porsi è quello di sostenere i giovani nell’intraprendere una scelta consapevole, che tenga conto degli interessi e delle aspirazioni individuali e possa al contempo favorire l’accesso ad un’occupazione soddisfacente e coerente rispetto a quanto studiato. Nella complessità che caratterizza il nostro tempo, questa esigenza non può risolversi semplicemente con la diffusione di materiale informativo presso scuole e università, ma implica l’adozione di un approccio che guardi alle caratteristiche e ai bisogni specifici dei diplomati, garantendo un supporto e un confronto personale intenso con ragazzi e ragazze. 

L’applicazione nell’anno accademico 2001/2002 della riforma universitaria Berlinguer del cosiddetto “3+2”, che ha previsto la suddivisione del curriculum universitario in un triennio di laurea di primo livello e di un biennio facoltativo di specializzazione, ha prodotto fino alla seconda metà del 2000 un trend crescente in termini di numero di immatricolazioni annue. Questa tendenza ha però subito negli ultimi anni una contrazione, tale da farci regredire ai livelli di più di un decennio fa (sulla base dei dati forniti dal MIUR la media delle immatricolazioni annue nell’ultimo decennio è pari a circa 310.000, nello stesso periodo i valori minimi e massimi registrati hanno variato da 284.142 unità del 2000/2001 a 336.724 del 2003/2004). Se da una parte la riduzione delle immatricolazioni universitarie può essere imputata alle attuali dinamiche demografiche, non devono essere sottovalutati gli effetti diretti e indiretti che la crisi economica sta determinando sulla propensione ad intraprendere studi superiori. Con il passare degli anni e proprio per effetto della recessione si sta definitivamente assopendo l’effetto della riforma Berlinguer del “3+2”, e appare sempre più evidente un nesso causale tra la contrazione della disponibilità economica e quella delle iscrizioni universitarie. Un nesso che può essere letto utilizzando specifiche parole chiave: insicurezza, incertezza, assenza di prospettiva futura, limitatezza delle azioni pubbliche di orientamento.

Negli ultimi anni, la riforma del “3+2” ha comunque avuto un ruolo importante nel favorire la crescita di un’offerta di lavoro sempre più istruita, anche se nel mercato del lavoro a ciò non ha corrisposto un concreto adeguamento professionale e salariale delle nuove forze lavoro. Come a riguardo ha evidenziato la Fondazione Agnelli, nella maggior parte dei casi i datori di lavoro non hanno valorizzato il capitale umano più esperto, ma si sono limitati a sostituire il personale diplomato con quello laureato nell’ambito di professioni impiegatizie e tecniche. Nonostante i limiti organizzativi, economici, legislativi e culturali del nostro mercato del lavoro, le indagini sull’occupazione confermano la laurea come uno strumento fondamentale per rimanere al  passo con i tempi e avere sempre una chance di collocamento nel lavoro, soprattutto al crescere dell’età (Istat, 2009).

Intervenire efficacemente in questo delicato settore dell’orientamento implica una profonda conoscenza della realtà giovanile, economica e sociale del Paese. Impone l’approfondimento dei profili dei neo diplomati: il loro atteggiamento verso l’istruzione e l’esperienza scolastica, i loro interessi e aspirazioni, l’origine sociale, il livello di autostima e la consapevolezza verso i possibili esiti di ogni scelta, sia questa volta o meno ad intraprendere studi universitari.

L'importanza dello status e della famiglia

Il sociologo Orazio Giancola ha evidenziato 3 dimensioni su cui si articola la scelta di frequentare l’università e il relativo indirizzo:

  • il background economico e culturale della famiglia di origine,
  • il tipo di diploma conseguito
  • il suo voto.

Lo studioso sottolinea la forte influenza dell’origine sociale sulla propensione a proseguire gli studi e le prospettive future in termini di riuscita. Sotto questo aspetto è doveroso evidenziare tutto il peso che la concezione familistica del welfare esercita sulla famiglia nel delegarle l’onere di garantire le pari opportunità. La famiglia italiana si è infatti rivelata un ammortizzatore sociale fin troppo generoso, ma non tutte le famiglie sono culturalmente ed economicamente in grado di fornire ai giovani i consigli e gli strumenti idonei alla crescita intellettuale e professionale. Ed è così che spesso l’origine sociale ipoteca il futuro delle giovani generazioni: l’opportunità di accedere agli studi, al mercato del lavoro, ad una professione appagante. L’inefficacia degli strumenti pubblici di orientamento agli studi, sommata all’insicurezza derivante da una crisi economica di lunga durata che in taluni casi induce giovani e famiglie a sottovalutare l’importanza della formazione e privilegiare un incondizionato accesso a un mercato del lavoro difficile e denso di meccanismi di espulsione che colpiscono in particolare i lavoratori meno preparati,  si traduce in un ostacolo alla stabilità individuale e alla crescita sociale. Questa dinamica limita la mobilità ascendente e rinforza la conservazione nei figli dello status culturale ed economico dei genitori; un fenomeno che ha implicazioni particolarmente gravi per le donne, che sebbene più istruite e professionalizzate degli uomini sono oggi in Italia ancora fortemente discriminate dall’appartenenza di genere, dall’organizzazione rigida e sessista della società, da una divisione del lavoro basata sul genere e sullo stereotipo per cui la donna è l’individuo eletto a garante della cura della famiglia e dei figli e l’uomo il procacciatore di reddito.

Analizzando gli ultimi dati diffusi dal MIUR ci rendiamo conto che ad oggi sono 6 su 10 i diplomati che si iscrivono all’università. La stragrande maggioranza di questi sono i liceali e in generale chi ha avuto un buon rendimento scolastico (MIUR, 2010). I giovani però scelgono spesso percorsi universitari poco coerenti con le proprie preferenze, materie poco gradite che studiano con scarsa regolarità, e questa è una delle ragioni che determina il drop out di 2 studenti su 10 al secondo anno di università e il cambio di corso di studi per una quota di poco inferiore (AlmaDiploma, 2011). Gli studenti che hanno le idee meno chiare sono quelli che si iscrivono a facoltà umanistiche. Gli incerti si sottopongono contemporaneamente a più test di ammissione lasciando intendere una certa disponibilità a intraprendere strade anche molto diverse tra loro. Sono questi gli universitari con le più alte chance di drop out e di ripensamento rispetto il curriculum di studi intrapreso, che spesso si trovano a vagare disorientati da un corso di studi all’altro. Gli studenti che si iscrivono a facoltà quali medicina o ingegneria si configurano invece come quelli con le idee più chiare: giovani che hanno spesso alle spalle famiglie con uno status sociale medio-alto e tale da garantire ai figli il sostegno economico durante lo svolgimento del corso di studi. Molti di questi studenti, primi tra tutti quelli che si iscrivono alla facoltà di giurisprudenza, scelgono però sulla base di categorie di ragionamento lineari e largamente riconducibili al passato, che riproducono schemi per i quali ad un certo tipo di laurea corrisponde la certezza di una professione e di un certo livello di prestigio sociale.

Il sostegno all’orientamento all’università e alla scelta del corso di studi non è fondamentale solo per ridurre le dinamiche di riproduzione sociale, ma anche per creare consapevolezza circa le chance offerte da ogni settore disciplinare in termini di possibilità occupazionali.

La folla al test di medicina: laurea e lavoro

Un recente fatto di cronaca è stato da stimolo alla riflessione sul ruolo dell’orientamento e la sua portata in questo momento storico. Ad aprile, il test di ingresso per la facoltà di medicina dell'Università Cattolica ha spinto a Roma circa 8.000 giovani provenienti da tutta Italia. Nonostante la professione medica rappresenti ancora oggi un buon investimento in termini sia economici sia di stabilità lavorativa, non è certo il livello di consapevolezza di questa folta schiera di aspiranti medici circa la complessità del percorso a cui si è candidata e le relative chance professionali. Come evidenzia una recente indagine dell’Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, la carriera medica è infatti sempre più un investimento faticoso e dai risultati incerti, che implica anni di lavoro precario a bassa retribuzione e prospettive di stabilizzazione sempre più lunghe. 

Il grafico 1 mostra come la distribuzione delle immatricolazioni universitarie sia solo in parte coerente con le considerazioni a cui conducono le rilevazioni ufficiali. Non tutte le lauree assicurano infatti la possibilità di trovare un’occupazione soddisfacente o coerente con il proprio titolo di studio. Secondo i dati forniti dall’Istat le discipline più premiate nel mercato del lavoro sono quelle tecnico-scientifiche, in particolare ingegneria e statistica, mentre la sfera dei laureati delusi risulta largamente composta dai mancati avvocati (Istat, 2011).

Grafico 1 - Immatricolazioni per area disciplinare - A.A. 2009/2010 (valori percentuali)
Fonte: elaborazione dati MIUR, 2011

Sulla base delle rilevazioni effettuate da AlmaLaurea nell’ambito del XIV rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati, risulta nel corso degli ultimi anni un complessivo e progressivo calo dei tassi di occupazione tra i laureati ad 1 anno dal conseguimento del titolo di studio, sia per quanto riguarda la laurea di primo livello sia per quella specialistica. Analogamente, anche i livelli di retribuzione netta mensile hanno subito un’importante flessione nel corso dell’ultimo decennio. Naturalmente, le chance occupazionali dei laureati aumentano col il trascorrere del tempo a partire dal momento del conseguimento della qualifica, ma con differenze sostanziali a livello disciplinare che riguardano i livelli di guadagno, stabilità, soddisfazione e coerenza tra professione intrapresa e studi condotti. 

A 3 anni dalla laurea, senza entrare nello specifico della tipologia contrattuale, il livello maggiore di occupazione si riscontra tra i laureati in medicina, seguiti da quelli in architettura e ingegneria (Grafico 2). Analizzando la situazione relativamente a chi si è laureato tra il 2000 e il 2002, ossia a chi si lascia ormai alle spalle circa 10 anni dalla laurea, le suindicate aree disciplinari si confermano premianti, e sono questa volta affiancate da settori che sembrano rafforzare le possibilità occupazionali con il passare del tempo: psicologia, discipline chimico-farmaceutiche e scientifiche. 

Grafico 2 - Occupati a 3 anni dalla laurea per gruppo disciplinare (valori percentuali) 
Fonte: elaborazione dati AlmaLaurea, 2012

Per chi si è laureato 10 anni fa, è la professione medica a mostrare i livelli maggiormente significativi di retribuzione netta mensile (Grafico 3), subito seguita da quella ingegneristica. A fronte di una media mensile percepita da questi laureati pari a 1.620 euro, i meno premiati si configurano gli insegnanti e chi si occupa di professioni letterarie, sebbene anche gli architetti si attestino nelle ultime posizioni della graduatoria. Sotto questo aspetto deve essere evidenziato un importante differenziale retributivo tra nord e sud Italia, ove in taluni casi si registrano livelli di guadagno inferiori anche più del 15% rispetto alle principali regioni di destinazione dei flussi di mobilità a scopo lavorativo.

Grafico 3 - Guadagno mensile netto a 10 anni dalla laurea per gruppo disciplinare (in Euro) 
Fonte: elaborazione dati AlmaLaurea, 2012.

Analizzando l’evoluzione lavorativa di chi si è laureato dopo l’introduzione della riforma Berlinguer del “3+2”, dal 2005 ad oggi la stabilità lavorativa si è maggiormente evidenziata tra gli ingegneri, gli architetti e chi si occupa di professioni economico-statistiche. Diversamente deve dirsi per chi ha conseguito il titolo universitario nell’ambito di materie letterarie, educazione fisica, architettura e medicina; professioni che, a diverso livello, si configurano precarie e con percorsi di stabilizzazione lunghi e complessi. Specularmente, come mostrato nel grafico 3, i medici godono dei livelli maggiori di guadagno e di soddisfazione per il lavoro svolto che, diversamente da quanto in genere testimoniato dai laureati nell’area della letteratura, politica-sociale e geo-biologia, è spesso coerente rispetto a quanto studiato.

Dare più peso (e risorse) all'istruzione di terzo livello

In particolare in questo periodo storico lo sviluppo del Paese dovrebbe articolarsi attorno al principio della fondamentale importanza dell’istruzione. La quota dedicata ancora oggi dall’Italia all’istruzione di terzo livello tra spesa pubblica e privata è invece di molto inferiore alla media europea e insufficiente per sostenere il ruolo strategico della formazione. Naturalmente, un discorso analogo va fatto rispetto la scarsità di attenzione e investimenti prodotti nel settore della ricerca: altro pilastro sostanziale ai fini dello sviluppo e della competitività esogena ed endogena. Nonostante il positivo apporto dei flussi migratori, ancora oggi il nostro Paese è contraddistinto da una quota limitata di giovani, per di più poco scolarizzati e con scarse possibilità di incrementare una mobilità sociale ascendente. Tutt’oggi la percezione dell’efficacia della laurea ai fini professionali è scarsa, mentre è largamente riconosciuto il suo valore culturale, in termini di crescita intellettuale, formazione e ampliamento della rete di relazioni sociali (AlmaDiploma, 2011). La laurea offre invece una migliore qualità occupazionale, retribuzioni più elevate si configura come la migliore assicurazione contro la disoccupazione (la percentuale di disoccupati diminuisce all’aumentare del livello di istruzione) (MIUR, 2011) in particolare dopo i 35 anni di età, sebbene ancora con marcate differenze di genere e geografiche. Sulla base dei dati forniti dall’Istat, nel ciclo di vita lavorativa i laureati hanno infatti un tasso di occupazione superiore a quello dei diplomati di circa 11 punti percentuali.

In questo periodo di crisi economica dagli incerti esiti, ai fini della crescita individuale e sociale è quanto mai responsabilità dello Stato, del mondo accademico e scientifico sottolineare l’importanza dell’investimento negli studi universitari e orientare i neo diplomati ad una scelta consapevole. A tal fine, l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IRPPS-CNR), con l’obiettivo di valorizzare il talento giovanile e superare specifiche resistenze culturali è da anni impegnato in azioni volte a sostenere l’importanza delle facoltà scientifiche. In particolare attraverso i progetti europei “DIVA” e  “LIGHT: Turn on the light on science”, il pubblico femminile, ancora fortemente sotto rappresentato in molte discipline scientifiche a partire da quelle ingegneristiche per effetto degli stereotipi di genere, è stato sensibilizzato circa l’importanza della carriera scientifica, promossa in quanto scelta positiva di vita. Queste esperienze ci hanno portato a intraprendere molteplici azioni allo scopo di fornire agli studenti informazione e consapevolezza. Sono stati adottati strumenti diretti e indiretti, sempre all’insegna dell’interazione e del dialogo, con la convinzione che debbano essere plurimi gli stimoli che concorrono ad assolvere il complesso compito di accompagnare l’eterogeneo universo di studenti verso una scelta universitaria responsabile e oggi quanto mai opportuna. 

 

Bibliografia:

AlmaDiploma (2011) Profilo dei diplomati
AlmaLaurea (2012) XIV rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati
Benadusi L. et al (2008), La costruzione dei percorsi di scelta e il ruolo dell’orientamento, Una            ricerca su un campione di studenti del quinto superiore delle scuole della Provincia di Roma, rapporto novembre, Facoltà di Sociologia, Università di Roma La Sapienza; 
De Paoli A. (2012) Changes in the expected employment of graduates after the “3+2” university         reform, Working Paper n. 45, Fondazione Giovanni Agnelli; 
O. (2008) Equità e diseguaglianze in Italia e in Europa, in L. Benadusi, O. Giancola, A. Viteritti, Scuole in azione tra equità e qualità. Pratiche di ricerca in sociologia dell’educazione, Guerini e Associati, Milano; 
Giancola O., Fornari R. (2009) Scuole e università: sorpasso e ricomposizione,  in Benadusi L., Piccone Stella S., Viteritti A., 2009,  Dispari parità. Genere tra educazione e lavoro, Milano, Guerini e Associati; 
ISTAT (2009) Università e lavoro, Orientarsi con la statistica
ISTAT (2011) Rapporto annuale; MIUR (2011) L’università in cifre 2009-2010, Ufficio di statistica; 
Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (2011) Giovani medici: indagine su occupazione, disoccupazione e precariato.

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Biodiversità urbana: com'è cambiata e come proteggerla

Anche le metropoli possono essere ambienti ricchi di specie: secondo un recente studio sono ben 51 le specie di mammiferi che vivono a Roma, alcune di esse sono specie rare e protette. Nel corso degli ultimi due secoli, però, molte specie sono scomparse, in particolare quelle legate alle zone umide, stagni, laghetti e paludi, habitat importantissimi per la biodiversità e altamente minacciati.

Nella foto: Parco degli Acquedotti, Roma. Crediti: Maurizio.sap5/Wikimedia Commons. Licenza: CC 4.0 DEED

Circa la metà della popolazione mondiale, vale a dire ben 4 miliardi di persone, oggi vive nelle città, un fenomeno che è andato via via intensificandosi nell’epoca moderna: nell’Unione Europea, per esempio, dal 1961 al 2018 c’è stato un costante abbandono delle zone rurali e una crescita dei cittadini, che oggi sono circa i