fbpx Perché credere nella monosalute. Intervista a Ilaria Capua | Scienza in Rete

Intervista a Ilaria Capua: una sola salute

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Ilaria Capua

La virologa Ilaria Capua, oggi oggi direttrice del One Health Center of Excellence della Università della Florida. Crediti: Nad Micoli/Wikipedia. Licenza: CC BY-SA 3.0

Occorre proporre un neologismo e parlare di “monosalute” per intendere la direzione che Ilaria Capua vorrebbe dare all’innovazione scientifica in ambito biomedico. Per pensare alla ricerca di domani, secondo la virologa oggi direttrice del One Health Center of Excellence della Università della Florida a Gainsville, c’è da partire da un presupposto: una società che ha raggiunto un grado di benessere legato alla salute molto elevato è tenuta a interrogarsi sulla sua responsabilità nei confronti delle altre specie e del sistema entro cui l’uomo è inserito. Ed ecco che questo chiodo fisso si propone di diventare un metodo: studiare per cercare soluzioni che contemplino la salute come una sola dimensione che comprenda il benessere di animali, piante e ambiente oltre all'uomo. Una ricetta che coincide con un personale sogno da realizzare nel futuro prossimo.

Sulla condivisione delle informazioni e sull’esortazione a fare squadra per trovare più rapidamente le risposte, Ilaria Capua può dire molto: era il 2006 quando dall’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie la ricercatrice diffuse su un database open source le sequenze del virus H5N1 dell’influenza aviaria, esortando altri laboratori a collaborare per proseguire gli studi del genoma dei ceppi del pericoloso patogeno. Una decisione che oggi possiamo considerare responsabile ma che all'inizio è stata avversata perché sovvertiva il normale iter che prevede prima la pubblicazione sulle riviste scientifiche. Una decisione che è stata letta come una minaccia alla salute pubblica.

Lei insiste sul bisogno crescente di un’innovazione responsabile. In che senso?

Per far fronte all’epidemia della peste suina africana che sta creando grandi problemi alla filiera agroalimentare e per la quale non esiste ancora un vaccino, a oggi l’unico strumento di contrasto consiste nell’abbattimento degli animali infetti o presunti infetti. Anche per contenere la propagazione di Zika è stato necessario utilizzare insetticidi ad alto impatto ambientale che hanno sterminato (anche) milioni di api. Questo oggi non è più possibile. Abbiamo l'ambizione di far vivere l'uomo fino a 150 anni, ma a quali condizioni? Abbiamo creato un sistema alimentare e di allevamenti intensivi che ha portato a un uso insostenibile degli antibiotici. lo sviluppo di resistenze ha così selezionato batteri superkiller che aumentano rischi sanitari e costi.

Su un diverso fronte, siamo diventati grandi generatori e consumatori di dati per i fini più disparati: dal controllo di quante calorie consumiamo alla presenza degli allergeni nei cibi che consumiamo. Grazie ai dati stiamo aumentando il nostro controllo su noi stessi, la casa, le città, il mondo. Ma questo grande vantaggio tecnologico resta cieco se non ci aggiungiamo quello che le macchine non ci possono dare: la responsabilità, l'etica.

Nel campo della salute e dell'ambiente c'è un grande bisogno di ricomporre dimensioni che normalmente non dialogano fra loro. Per questa ragione voglio lanciare la sfida di “One Health”: si tratta di guardare la salute come una risorsa unica, come una forza che scorre tra noi e l'ambiente che ci nutre, una salute fatta di vasi comunicanti. Non è affatto facile farli comunicare, ma una interdisciplinarietà più spinta e la condivisione dei dati sono il presupposto per provarci. 

Tutto questo in un momento storico in cui lo scienziato non gode della piena fiducia della società.

Sia in Europa sia negli Stati Uniti ci sono movimenti che mettono in discussione certezze scientifiche assodate. Eppure anche la scienza analizza una realtà relativa perché la scienza si supera sempre: noi andiamo avanti spostando il limite più in là. La scienza ci mette di fronte a una possibilità di cambiare per il meglio allontanandoci dalla zona di comodità delle nostre credenze, delle nostre abitudini e del nostro stile di vita. Questo può spaventare. Oggi la comunità scientifica deve dialogare con una società più agguerrita, organizzata in gruppi di influenza e di opinione, spesso con forti coloriture emotive. Anche per questo, quando pensiamo a soluzioni impegnative dal punto di vista economico (produciamo quel vaccino?) non possiamo non pensare anche agli aspetti emotivi dei nostri interlocutori. Per questo la comunicazione scientifica è la grandissima sfida del futuro.

Il suo libro uscito nel 2017 Io, trafficante di virus ha un po’ anche questo scopo? Non a caso riceve quest’anno il Premio nazionale per la divulgazione scientifica.

Questo libro racconta la mia battaglia civile, quello che è successo a me, la vicenda di amara giustizia che ho narrato non deve succedere più.

 


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