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Ilva, contraddizione epocale

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La settimana in corso segna la storia di Taranto e punta il dito su una delle contraddizioni esplosive della crisi che stiamo vivendo: produzione di merci, impatto su ambiente e salute e lavoro. Gli operai dell’Ilva, il più grande impianto siderurgico d’Europa, stanno manifestando e intendono bloccare la città finché non verrà garantito il pieno funzionamento dell’impianto. In totale l’Ilva impiega direttamente 11.571 persone, con una produzione di acciaio di 8,4 milioni di tonnellate nel 2011.

Oggi sono agli arresti domiciliari otto dirigenti, compresi il fondatore del gruppo industriale, il presidente, suo figlio, e il direttore, che sono sotto accusa per reati di disastro ambientale colposo e doloso.
Il provvedimento prevede anche lo spegnimento degli impianti cosiddetti ‘a caldo’, dove si realizzano le lavorazioni di base dell’acciaio, di prima fusione e di sinterizzazione (cioè di seconda fusione di acciaio riciclato) che produce come ‘scarto’ la diossina, e la chiusura dei parchi minerari, dove arrivano e vengono stoccati all’aria aperta le materie prime in forma di polveri … che poi verranno usate per la produzione di acciaio. Le stesse polveri metalliche che colorano di rosso e di nero i muri, le strade, i guard rail a Taranto e piovono sui quartieri che sorgono tutto attorno alla raffineria.

Si tratta delle fonti dirette dell’inquinamento ambientale che secondo la perizia a disposizione del magistrato ha provocato numerose morti e malattie nel corso del tempo. Consegnata a marzo di quest’anno, la perizia è stata condotta da epidemiologi ambientali italiani di grande competenza, che hanno esaminato una grande mole di dati ambientali e sanitari per rispondere ai quesiti del giudice per le indagini preliminari: quali sono le patologie derivanti dall’esposizione agli inquinati emessi dallo stabilimento industriale, quanti sono i morti e gli ammalati attribuibili all’inquinamento prodotto dagli impianti di proprietà del gruppo Riva.
Le notizie trapelate in occasione della consegna della relazione dei periti erano molto inquietanti per chi vive a Taranto: nel comune tra il 2004 e il 2010 vi sarebbero stati mediamente 83 morti all’anno attribuibili ai superamenti di polveri sottili nell’aria, mentre i ricoveri per cause cardio-respiratorie ammonterebbero a 648 all’anno. La media dei decessi sale però fino a 91 per i quartieri Tamburi e Borgo, più vicini alla fabbrica. Ma un livello ancor più alto per decessi e ricoveri per malattie croniche è quello del quartiere Paolo VI, costruito proprio per ospitare i nuovi cittadini di Taranto, che si trasferirono in città per diventare operai. Ci sono poi malattie e tumori in eccesso per bambini e adolescenti fino a 14 anni, senza dimenticare che la situazione peggiore riguarda gli ex operai dello stabilimento siderurgico.

L’inquinamento non è certo dovuto solo all’Ilva, che è stata Italsider statale fino al ‘95, ed è chiaro facendo un ampio giro delle bellissime coste dei golfi di Taranto: il grande arsenale militare, il porto mercantile e industriale, la raffineria Eni, la Cementir e l’Italcave.

Da molti anni si discute di inquinamento e di malattie, diverse associazioni, riunite in Altamarea, la Legambiente, il WWF, lo stesso Presidente della Regione, hanno contribuito ad attivare diverse misure di contenimenti dell’inquinamento, attuate con il supporto dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente, e grazie ai controlli, che ha cominciato a fare in maniera sistematica solo negli anni recenti. E a Taranto si è generato un vero e proprio laboratorio su ambiente e salute – ricco di discussioni e di conflitti, ma anche una volta tanto di misure concrete e di sviluppi scientifici. I controlli sugli alimenti sono diventati routinari e interessano gli alimenti in cui le diossine si accumulano in modo preferenziale, cioè quelli che contengono grassi: ecco quindi i controlli su latticini e ovini, dal 2005 in poi, che hanno provocato l’abbattimento di centinaia di capi, ecco i controlli sulle cozze, a partire dall’anno scorso, che hanno provocato il divieto delle coltivazioni nel Mar Piccolo: fonte di sostentamento per numerose cooperative di mitilicultori, proprio lunedì 23 sono cominciate le operazioni di demolizione degli impianti. Ma il Mar Piccolo, golfo di grande bellezza, è diventato un lago nero di inquinamento, e mangiare i prodotti coltivati là dentro era davvero un azzardo.

In materia di innovazione tecnologica e protezione dell’ambiente sono partite diverse iniziative, discusse proprio lo scorso lunedì 23 e martedì 24 durante il workshop “Valutazione economica degli effetti sanitari dell’inquinamento atmosferico: la metodologia dell’EEA”. L’intenzione era quella di fare un esame del rapporto tecnico n.15/2011 dell’Agenzia Europea per la protezione dell’Ambiente, EEA, intitolato  “Revealing the costs of air pollution from industrial facilities in Europe”, ma certo l’attenzione di tutti era per quanto stava succedendo fuori dalle magnifiche sale della sede tarantina della facoltà di giurisprudenza, su cui sono circolati pareri e informazioni.

La legge antidiossina, legge regionale n.44 del dicembre del 2008, ha portato le emissioni di diossina dagli 8-9 nanogrammi per metro cubo allo 0,2 nanogrammi per mc. il 18 luglio è stato approvato dalla giunta regionale un documento che stabilisce “la copertura dei parchi minerali e nella riduzione dell’attività del siderurgico in caso di superamento di emissioni di benzo(a)pirene”, a tutela in particolare dei quartieri a ridosso della fabbrica Ilva e dei suoi parchi minerari. Il 20 luglio infine è stata approvata la legge regionale “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per la aree pugliesi già dichiarate ad elevato rischio ambientale”. L’ARPA chiede da anni l’istituzione di un “Centro Ambiente e Salute”, che possa accompagnare con adeguata sorveglianza le bonifiche che devono essere iniziate al più presto nell’area, e che in queste ultime due settimane sono state discusse presso i ministeri competenti da regione, sindacati, imprenditori.

Ma oggi tutte le preoccupazioni si appiattiscono sul futuro immediato dei circa 5.000 impiegati nelle aree a caldo: gli impianti non si  spegneranno immediatamente, ci vorranno alcune settimane, e molti – tra cui il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini – affermano di voler cercare in tutti i modi di bloccare la procedura.

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