fbpx IARC: l'inquinamento dell'aria è cancerogeno | Scienza in rete

IARC: l'inquinamento dell'aria è cancerogeno

Primary tabs

Tempo di lettura: 6 mins

Si può morire di cancro al polmone anche per inquinamento dell'aria? Lo IARC dice di sì. E' una giornata storica per l'epidemiologia, la tossicologia e la salute pubblica questo 17 ottobre, in cui la massima autorità mondiale in fatto di studio degli agenti cancerogeni ha presentato a Parigi i dati della monografia numero 109 dedicata, appunto, all'”outdoor air pollution”. L'inquinamento atmosferico esterno è stato infatti classificato nel Gruppo 1, cioè cancerogeno per l'uomo: come il cloruro di vinile, la formaldeide, l'amianto, il benzene, le radiazioni ionizzanti.

Già lo IARC si era espresso sulla cancerogenicità di alcune sostanze che compongono il classico smog, come il fumo da diesel e il benzo(a)pirene. Ma in questo caso è l'insieme dell'inquinamento atmosferico esterno - formato da combustioni da traffico, riscaldamento e emissioni industriali – a rientrare nel Gruppo 1. Una decisione che avrà sicuramente conseguenze scientifiche e politiche di rilievo. "Classificare l'inquinamento outdoor come cancerogeno umano è un passo importante per spingere all'azione senza ulteriori perdite di tempo, visto che la pericolosità dell'inquinamento è proporzionale alle concentrazioni in atmosfera e molto si può fare per abbassarle" ha spiegato nella conferenza di presentazione dei dati il direttore dello IARC Christopher Wild.

Soprattutto tumori al polmoni, ma anche alla vescica

La Monografia 109 raccoglie una messe enorme di dati e studi, che alla fine hanno convinto il panel internazionale di esperti a prendere la non facile decisione. Si ha quindi la ragionevole certezza che l'esposizione all'inquinamento protratto nel tempo aumenti la probabilità di sviluppare un tumore al polmone o alla vescica. Il rischio individuale non è paragonabile quantitativamente a quello del fumo di sigaretta, che resta il killer principale. Ma coloro che derubricavano lo smog a male minore dello sviluppo – qualche oncologo di fama l'aveva addirittura considerato “meno dannoso della polenta” - dovranno ora ricredersi: non solo l'esposizione a polveri sottili, idrocarburi policiclici aromatici, ozono e biossido di azoto aumentano il rischio di malattie respiratorie, infarto a altri problemi come il basso peso alla nascita (come appena confermato da uno studio uscito su Lancet). Ora si può dire con relativa certezza che una quota significativa dei tumori al polmone derivino da queste esposizioni ambientali.

Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, 223.000 morti in tutto il mondo, a cui vanno aggiunti circa 3 milioni di morti per tutte le altre malattie correlate al solo PM2.5, metà dei quali sono da attribuire ai pesanti inquinamenti da carbone, traffico e biomasse (legna per lo più) in Cina e nel Sud Est asiatico.

Identikit dei veleni

Una recente relazione dell'Agenzia europea dell'ambiente (EEA, 2012) indica che gli inquinanti più problematici in Europa sono PM e ozono. Del PM sappiamo ancora troppo poco: secondo il volume IARC (disponibile anche in versione epub sul sito dell'ente) “tipicamente solo circa il 20 % dei PM organico è identificato a livello molecolare”. I livelli sono determinati prevalentemente da emissioni puntiformi locali, ma anche, in misura minore, dal trasporto intercontinentale. Inquinanti assai critici sono anche il benzo(a)pirene, il piombo (in certe aree) e il benzene. Di fatto, il il 90-95% della popolazione urbana in Europa è esposto a livelli di PM2.5 superiori a quanto stabilito dalle linee guida dell'OMS sulla qualità dell'aria, l'81% a corrispondenti livelli di PM10, più del 97% a concentrazioni di ozono, e il 94% a concentrazioni di Benzo(a)pirene, sempre superiori alle soglie OMS. In realtà, a seconda degli inquinanti, le distruibuzioni possono essere più o meno unifomi. Le concentrazioni di specie secondarie (come solfati, ozono, acidi organici) sono abbastanza omogenee sul territorio. Al contrario, gli inquinanti primari (come monossido di carbonio, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), black carbon) sono presenti in concentrazioni molto elevate soprattutto nei canyon stradali e in genere fino a 200 metri della strade più trafficate.  

Non che le cose al chiuso vadano poi meglio:anzi, in determinate condizioni le concentrazioni indoor possono essere anche quantitativamente e qualitativamente più critiche dei quelle esterne. Secondo la revisione dello IARC, infatti, “quasi il 100% di un composto gassoso atmosferico non polare (benzene, toluene, xilene ) viene trasportato al chiuso e persiste nel tempo. Al contrario, i composti polari, i gas idrosolubili (ad esempio formaldeide, perossido di idrogeno, acido nitrico ) penetrano dell'involucro dell'edificio con efficienze inferiori e hanno grandi tassi di decadimento all'interno. Le concentrazioni di particelle di materia organica sono spesso notevolmente più elevate delle concentrazioni esterne”.

Insomma, si può ben dire che i circa 10mila litri di “aria” che ogni giorno inspiriamo lascia una traccia gravida di conseguenze per la salute. Anche in termini di vere e proprie mutazioni del DNA, che rappresentano spesso l'innesco spesso fatale del tumore al polmone.

Problema biomasse

Quanto alle fonti a cui imputare i danni da inquinamento, il traffico pesa per una quota oscillante fra il 20 e il 40%, con una grossa responsabilità dei mezzi Diesel, su cui lo IARC si è già pronunciata di recente. Da non sottovalutare poi il contributo delle biomasse, certamente più pesante a livello mondiale delle combustioni industriali e da traffico, che avvengono in condizioni più controllate. La biomassa tradizionale rappresenta il 10% del consumo di energia primaria nel mondo, con 2,7 miliardi di persone che bruciano legna e altro per riscaldarsi e cucinare. E non a caso essa è posta ai primimposti del “burden of disease” a livello planetario, con 2 milioni di morti premature all'anno da infezioni acute delle basse vie respiratorie, malattia polmonare ostruttiva cronica e cancro del polmone.

“Sebbene la maggior parte dei combustibili da biomassa siano intrinsecamente esenti da contaminanti” scrive il rapporto dello IARC, “una frazione del combustibile viene convertita in prodotti di combustione incompleta. Il fumo da combustione di biomassa contiene migliaia di sostanze chimiche, molte delle quali hanno documentati effetti infiammatori e cancerogeni (benzene, butadiene, formaldeide).

E sbaglia chi pensa che l'inquinamento da biomassa riguardi solo i paesi in via di sviluppo o sperduti luoghi di campagna. Uno degli effetti paradossali della crisi economica in corso è proprio il ritorno a forme “selvagge” di combustione di legna anche in contesti urbani. Lo ha recentemente documentato Dimosthenis Sarigiannis dell'Università Aristotele di Salonicco proprio in relazione alla sua città, presa nella morsa della terribile recessione greca, cui si tenta di rispondere con discutibile misure di austerità. Da quando il governo greco ha alzato nel 2012 le tasse sull'olio combustibile da riscaldamento (portandolo da 90 centesimi di euro a 1,30 euro al litro) la gente ha di fatto smesso di approvvigionarsi di olio combustibile cominciando a bruciare legna di ogni genere (dagli alberi ai vecchi mobili). Con il risultato che, mentre l'inquinamento da polveri è diminuito nei mesi caldi per la riduzione del traffico, è decisamente aumentato nei quattro mesi freddi, con punte di 200 microgrammi su metro cubo di polveri a Salonicco (ma situazioni simili si sono registrate ad Atene e altrove). 

Durante l'ultima conferenza del Network su Ambiente salute ed economia (EHEN) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Sarigiannis ha quantificato in 2 miliardi di euro il possibile risparmio da morti e malattie evitate se in Grecia si potesse passare da un riscaldamento a legna a uno meno inquinante a gas.

Quante vite (e soldi) risparmiate

Più in generale, un recente studio condotto secondo il metodo dell'analisi costi/benefici da Mike Holland, membro di EHEN, in tutta Europa, dal 2000 al 2030 le attuali condizioni di inquinamento atmosferico sono responsabili di 4,28 milioni di anni di vita perduti annualmente, che potrebbero scendere a 3,53 milioni se si adottassero tutte le misure oggi tecnicamente possibili per abbattere gli inquinanti. 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché le reti neurali hanno vinto i Nobel per la fisica e la chimica?

Quest'anno l'Intelligenza Artificiale ha fatto la parte del leone nei Nobel per la fisica e la chimica. Meglio sarebbe dire machine learning e reti neurali, grazie al cui sviluppo si devono sistemi che vanno dal riconoscimento di immagini alla IA generativa come Chat-GPT. In questo articolo Chiara Sabelli racconta la storia della ricerca che ha portato il fisico e biologo John J. Hopfield e l'informatico e neuroscienzato Geoffrey Hinton a porre le basi dell'attuale machine learning.

Immagine modificata a partire dall'articolo "Biohybrid and Bioinspired Magnetic Microswimmers" https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1002/smll.201704374

Il premio Nobel per la fisica 2024 è stato assegnato a John J. Hopfield, fisico e biologo statunitense dell’università di Princeton, e a Geoffrey Hinton, informatico e neuroscienziato britannico dell’Università di Toronto per aver sfruttato strumenti della fisica statistica nello sviluppo dei metodi alla base delle potenti tecnologie di machine learning di oggi.