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Grosso guaio a Baikonur

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La Soyuz MS-10 fotografata da Alexander Gerst, astronauta tedesco dell'ESA e attuale comandante della Stazione Spaziale Internazionale, postata su Flickr. L'autore scrive: "Sono contento che i nostri amici stiano bene. Grazie ai più di 1000 soccorritori! Oggi si è dimostrato ancora una volta quanto sia grande la Soyuz: nonostante una falsa partenza, l'equipaggio è stato sicuramente riportato sulla Terra. I viaggi spaziali sono difficili. Ma dobbiamo andare avanti, a beneficio dell'umanità."

Crediti: Alexander Gerst/Flickr. Licenza: CC BY-SA 2.0

Doveva trattarsi di una missione di routine. La Sojuz MS-10 avrebbe dovuto portare il cosmonauta russo Alexey Ovchinin e l’astronauta statunitense Nick Hague a bordo della Stazione spaziale internazionale per integrarne l’equipaggio attualmente composto dal tedesco Alexander Gerst (ESA), dal russo Sergey Prokopyev (Roscosmos) e dalla statunitense Serena Auñón-Chancellor (NASA). Qualcosa, però, è andato storto e il lancio è abortito dopo nemmeno due minuti di volo. Fortunatamente, nessuna conseguenza per l’equipaggio, ma inevitabili interrogativi e possibili ricadute sui prossimi voli.

Un vettore affidabile

Quello in calendario lo scorso 11 ottobre era il 139° lancio di una Sojuz e non c’era motivo di dubitare dell’ormai proverbiale affidabilità di questa navetta spaziale, una delle più rodate e utilizzate della storia delle esplorazioni spaziali. Per imbattersi in un suo incidente, infatti, si deve ritornare al 26 settembre 1983, quando la fuoruscita di carburante e la sua istantanea accensione appena prima del decollo della Sojuz T-10A impose di abortire il lancio. Dopo attimi di grande apprensione, si attivarono le procedure di sicurezza e il modulo con i due cosmonauti venne separato dai booster: a parte il dover sperimentare un’accelerazione di 17 g, l’equipaggio giunse a terra sano e salvo. Per dare un’idea di cosa possa significare tale valore, basterà citare i dati relativi alle più brusche frenate sperimentate da una vettura di Formula 1. Secondo Brembo, la frenata più impegnativa sarebbe quella della prima variante del circuito di Monza, caratterizzata da una decelerazione di circa 6 g; il che significa che l’equipaggio della Sojuz T-10A sperimentò un’accelerazione quasi tripla.

Ritornando all’affidabilità delle Sojuz, per trovare un incidente in volo si deve andare al 5 aprile 1975, quando la salita della Sojuz 18-A verso l’orbita prevista venne interrotta dopo neppure cinque minuti di volo. Anche in quell’occasione per i due cosmonauti non vi furono tragiche conseguenze, ma dovettero comunque affrontare una violentissima accelerazione (ben 21,3 g) che causò un serio trauma al comandante Vasilij Lazarev, imponendogli di rinunciare a ulteriori voli nello spazio. Altrettanto affidabile anche il sistema di spinta, equipaggiato con quattro booster incaricati di fornire la poderosa spallata necessaria al decollo. Il vettore Sojuz-FG, dal suo primo utilizzo nel maggio 2001, poteva vantare ben 64 decolli effettuati con il 100 per cento di successi.

Assolutamente nessun problema per la Sojuz MS-10 durante il conto alla rovescia e neppure, dopo il via libera del direttore di volo, durante la fase iniziale della sua ascensione. Le immagini del decollo della Sojuz, trasmesse in diretta anche dalla NASA, non evidenziano nessuna anomalia. Normalmente, al vettore occorrono 8 minuti e 45 secondi per depositare la Sojuz nella sua orbita, ma la corsa della MS-10 termina molto prima. Neppure due minuti dopo il lift off, infatti, ecco il guaio. Le immagini dell’interno della navetta mostrano che i due astronauti sono sottoposti a un brusco e anomalo scossone. Nel piano di volo, quello è il momento in cui i quattro booster, esaurito il loro compito, vengono sganciati e interviene la spinta del motore del core stage, un momento certamente delicato ma che non aveva mai dato nessun problema. Quando l’inquadratura ritorna alla telecamera a lungo raggio, si nota la presenza di detriti nei pressi della Sojuz, chiaro segnale che qualcosa in quel volo era andato storto.

Immediato l’intervento del sistema di emergenza che, separando l’abitacolo dal resto del vettore, lo immette su una traiettoria balistica, il modo più rapido (ma anche più violento) per il ritorno a terra. La capsula con a bordo Ovchinin e Hague tocca terra a 400 chilometri da Baikonur e quando le squadre di soccorso, un’ora e mezza più tardi, raggiungono il punto di atterraggio, i due astronauti hanno già abbandonato la capsula e stanno bene. Tragedia evitata, dunque. Ma la vicenda non può certo chiudersi qui.

Problemi per il futuro?

Immediata la decisione dell’agenzia russa Roscosmos di istituire una commissione d’inchiesta che, in tempi rapidi, possa stabilire la dinamica e le cause dell’incidente. Ancora non sono stati diffusi risultati ufficiali, ma si è già comunque circoscritta la possibile causa del disastro. Nel corso di una conferenza stampa, Sergei Krikalev, responsabile del programma spaziale russo di volo con equipaggio, ha spiegato che il problema manifestatosi con la Sojuz MS-10 è da ricondurre a una collisione tra frammenti dei booster con il core stage del razzo. I primi dati indicherebbero che la separazione di uno dei booster non sia avvenuta correttamente e alcuni frammenti abbiano danneggiato la sezione inferiore del core stage. A quel punto, come previsto, il sistema di sicurezza della Sojuz avrebbe automaticamente attivato le procedure di aborto della missione.

Ancora tutte da valutare, invece, le possibili conseguenze di questo incidente e gli scenari che potrebbero presentarsi nell’immediato futuro. Bisogna anzitutto ricordare che, attualmente, i vettori russi sono l’unico mezzo di trasporto degli astronauti da e per la Stazione spaziale internazionale. Questo comporta che, mentre non vi sono problemi per i collegamenti con navette cargo, quando si deve dare un passaggio a un astronauta verso la Stazione spaziale la faccenda si complica terribilmente.

Dopo il definitivo pensionamento degli Shuttle (l’ultima missione fu quella di Atlantis nel luglio 2011), la NASA non ha ancora attivato un sistema per il volo umano che possa rimpiazzare quelle gloriose navette. Da molti anni all’ente spaziale americano stanno lavorando alla capsula Orion e al nuovo lanciatore SLS, ma il progetto non si è ancora concretizzato e si parla di un primo test di volo nel 2020 e l’impiego con equipaggio due anni più tardi.

Sembrano molto più prossimi a vedere la luce, invece, i progetti di Space-X e di Boeing. Stando alle dichiarazioni ufficiali, già il prossimo anno potremmo assistere sia al primo volo con equipaggio di Space Dragon, la navetta della società di Elon Musk, sia a quello di CST-100 Starliner, la nuova capsula nata dalla collaborazione tra NASA e Boeing e progettata proprio per fare la spola con la Stazione spaziale. È pur vero che, parlando di voli umani, da qualche anno a questa parte anche la Cina sta mietendo grandi successi, ma è necessario ricordare come l’attuale posizione politica USA impedisca di fatto una simile collaborazione.

Per il momento non è ancora chiaro se il prossimo lancio verso la Stazione spaziale previsto per la fine di ottobre (un cargo Progress senza equipaggio) avrà via libera e neppure se, il prossimo 20 dicembre, partirà regolarmente la prossima Sojuz con equipaggio. È evidente che gran parte delle decisioni dipenderanno dagli esiti dell’inchiesta. Nel caso in cui si dovesse arrivare a uno stop anche momentaneo dei lanciatori russi, dunque, la situazione per gli equipaggi della Stazione spaziale potrebbe presentare qualche incertezza legata soprattutto al regolare avvicendamento degli equipaggi.

Assolutamente nessun problema per i tre astronauti attualmente a bordo della Stazione spaziale. Le scorte disponibili a bordo sono in grado di garantire una permanenza di circa 200 giorni senza bisogno di rifornimento. I problemi, semmai, potrebbero manifestarsi nel caso sorgesse la necessità di abbandonare improvvisamente la Stazione, eventualità per la quale già esistono piani alternativi, tra cui l’invio di un modulo automatico in grado di garantire una navetta affidabile per il corretto ritorno a terra.

Lo scenario più cupo prevede addirittura che la Stazione spaziale possa rimanere per un certo periodo senza equipaggio. Qualche giorno fa, nel corso di una conferenza stampa, il responsabile NASA per la Stazione spaziale Kenny Todd ha sottolineato come la ridondanza dei sistemi di controllo dell’assetto e dell’alimentazione dei sistemi elettronici sono in grado di assicurare alla stazione di orbitare senza problemi “per un significativo lasso di tempo”. L’unica ridondanza che manca, insomma, è quella dei mezzi di trasporto.

 


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