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I geni altruisti

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Chiunque si augura che l’opinione pubblica abbia a disposizione strumenti adeguati per entrare nel dibattito sulle biotecnologie con cognizione di causa darà senz’altro il benvenuto al libro di Gabriele Milanesi, genetista e virologo del CNR di Pavia e dell’Università di Milano. Milanesi riesce a passare in rassegna vari aspetti critici delle moderne tecnologie genetiche in un modo che è semplice e nel contempo preciso. Preoccupazione dell’autore è quella di cercare di sopperire alle numerose imprecisioni che si trovano regolarmente nei media su questi argomenti e in questo senso il libro raggiunge certamente il suo scopo.

Il titolo del libro potrebbe inizialmente fuorviare, richiamando alla mente i geni egoisti di Dawkins o la possibile esistenza nel genoma di geni che predisporrebbero all’altruismo. La sociobiologia, come altre ideologie, rimangono deliberatamente fuori dal testo di Milanesi, che si propone solamente di disseminare nozioni rigorosamente esatte sul benessere che la genetica ha dato e potrà dare alla società. Nell’accezione dell’autore, i geni sono altruisti perché il loro impiego può giovare ai singoli individui e alla società nel suo insieme. L’autore è ovviamente schierato a favore dei sostenitori delle biotecnologie e prende chiara posizione contro gli estremismi degli oppositori che, secondo lui, si muovono sulla base di pochi argomenti scientifici e di molte assunzioni “ideologiche”.

Il libro prende in esame entrambe le grandi classi di biotecnologie, quelle orientate alla medicina e quelle relative ad agraria e zootecnia. L’autore ripercorre la nascita dell’ingegneria genetica e la produzione dei primi farmaci “ricombinanti”. Affronta poi il problema degli animali transgenici e della terapia genica, entrambi aspetti del trasferimento genico negli animali e nell’uomo. Pur mantenendosi al di fuori delle ideologie, l’autore prende posizione contro la modificazione genetica dell’uomo ritenendola prematura e sostanzialmente inutile. Parimenti rigetta la clonazione “riproduttiva”, accettando invece cellule staminali e clonazione “terapeutica” (il termine, notoriamente impreciso, indica il procedimento con cui vengono ottenute cellule indifferenziate da singoli individui), tecnologie molto promettenti nell’ambito della medicina rigenerativa, che tuttavia potrebbero essere soppiantate dalla recente scoperta delle cellule riprogrammate, in linguaggio tecnico “cellule pluripotenti indotte” (iPS). Questi studi su cellule staminali, indipendentemente da quali tipi specifici verranno utilizzati, potrebbero fornire un nuovo approccio terapeutico a molte malattie genetiche, anche se questo obiettivo non è dietro l’angolo.

La sezione su vegetali ingegnerizzati e ambiente (dal quarto al sesto capitolo) permette all’autore di spiegare i meccanismi che stanno alla base degli OGM e di mostrare come i pericoli tanto sbandierati di fatto non esistono. L’autore prende in esame vari tipi di transgeni che sono stati inseriti nelle piante e mostra come essi non possano essere dannosi per la salute umana. E tendenzialmente nega anche che gli OGM possano essere dannosi anche per l’ambiente. Si tratta di due problemi un po’ diversi, perché stabilire se un nuovo prodotto è dannoso per la salute umana è assai più semplice che non garantire che l’ambiente non possa essere influenzato da manovre umane. E qui l’autore ha buon gioco nel mostrare come la massima parte delle modifiche sull’ambiente in campo agricolo sia avvenuto senza l’uso di biotecnologie genetiche, e senza che nessuno abbia protestato all’epoca in cui vennero introdotte. La prova migliore di una prevenzione diffusa verso le tecnologie del DNA ricombinante e nello stesso tempo della scarsa conoscenza dei fenomeni biologici è data, secondo l’autore, dal fatto che piante modificate in maniera casuale attraverso radiazioni o altri mutageni vengono tranquillamente accettate, mentre gli OGM, in cui un solo transgene viene introdotto in maniera controllata, vengono bollate come opera del demonio.

L’autore dichiara esplicitamente di non voler addentrarsi negli aspetti politici ed economici degli OGM. E’ senz’altro un approccio intelligente, in quanto la comprensione dei fenomeni è il primo e necessario passo per un’analisi dei vantaggi e limiti degli OGM. Come tale, la lettura del libro è altamente consigliata a tutti quelli che vogliono farsi un’idea reale del problema. Basterà questo a convincere il lettore? Non è detto. E’ mia personale opinione che questo non sia sufficiente. I motivi probabilmente sono due. Il primo è che l’opinione pubblica ha perso negli ultimi decenni la fiducia cieca che aveva negli scienziati: a differenza di 20 anni fa, infatti, molti scienziati mostrano il fianco a conflitti di interesse che ne minano l’obiettività. Anche se nel nostro paese il conflitto di interessi sembra che non interessi più nessuno, negli USA è invece un punto molto delicato, come dimostrano i recenti episodi che hanno coinvolto scienziati dei National Institutes of Health e di altre Istituzioni, sino a meritare interrogazioni e testimonianze al congresso americano. Il secondo punto è che le conseguenze sociali ed economiche del controllo dell’agricoltura (e non solo di quella OGM) non vengono generalmente prese in considerazione dagli scienziati, probabilmente in quanto non si sentono preparati a tale compito. Ma l’opinione pubblica vuole risposte anche su questi aspetti, specie in un momento come questo in cui la fiducia nelle istituzioni che dovrebbero controllare i fenomeni economici è ai minimi storici. Vista la precisione dimostrata in questo volume, perché non tentare, insieme ad un bravo economista, di esplorare anche questo aspetto?  Potrebbe essere una nuova fatica per Milanesi, e venire ben accolta anche da chi subordina il suo giudizio di valore all’uso sociale della scienza.


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