fbpx Gli editor si dimettono dalle riviste scientifiche che speculano

La fuga dei redattori dalle riviste che speculano sulla produzione scientifica

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L'intero comitato editoriale di due importanti riviste scientifiche, un totale di 42 membri, si è dimesso a causa degli elevati costi di pubblicazione, ritenendoli "non etici e insostenibili" e hanno fondato una nuova rivista non-profit, Imaging Neuroscience, pubblicata da MIT Press, con costi di pubblicazione stimati a 1.600 dollari per articolo.

Immagine: Adobe Firefly, Prompt: A lot of people in a queue exit from a office.

Recentemente, diverse riviste scientifiche, fra cui Nature, hanno riportato una notizia abbastanza inusuale e sicuramente clamorosa: l’intero comitato editoriale di due riviste di neuroscienze open access piuttosto quotate, Neuroimage e Neuroimage:Reports, 42 membri in totale, ha rassegnato le dimissioni per protestare contro la politica dell’editore, Elsevier, che chiede agli autori costi elevatissimi per poter pubblicare, costi che i membri del comitato editoriale hanno giudicato “non etici e non sostenibili”.

È un nuovo episodio che si inserisce nella querelle sugli sviluppi della vicenda dell’open access (OA): sorto come rivendicazione di possibilità di accesso all’informazione scientifica anche da parte di istituzioni e singoli che non possono permettersi gli esorbitanti costi degli abbonamenti, ha preso poi strade diverse, e come accade in questo nostro mondo, il profitto è rapidamente diventato il primum movens. Sono nate riviste “predatorie” che accettano articoli anche di bassa qualità in cambio di costi di pubblicazione elevati, garantendo così con il meccanismo OA maggiore visibilità e possibilità di essere citati (il numero di citazioni e l’impact factor della rivista su cui si pubblica sono oggi uno dei criteri di valutazione principali per la carriera dei ricercatori, anche se le cose stanno lentamente cambiando). Ma anche le riviste più consolidate si sono buttate su questo nuovo mercato: in alcuni casi l’autore può scegliere fra il meccanismo OA (e paga, ma confida che il suo articolo sarà più letto e più citato) oppure pubblicare alla vecchia maniera (e il suo articolo sarà letto solo dagli abbonati); in altri, l’opzione non esiste, e tutti gli articoli sono OA a pagamento.

Per le riviste al centro del caso, i costi di pubblicazione per articolo sono di 3.450 dollari per Neuroimage e di 900 - ora portati a 1.800 per Neuroimage:Reports. La casa editrice sostiene che i costi corrispondono alle spese necessarie per la pubblicazione e che altre riviste chiedono dei contributi ben maggiori: The Lancet Neurology: 6.300 dollari; Nature Neuroscience: 11.690 (per inciso, c’è da chiedersi che senso abbia tutto ciò). I dimissionari sostengono che le cifre non corrispondono ai costi diretti di pubblicazione, e che non è etico fare profitti su una ricerca che non si è finanziato.

Hanno deciso di fondare una nuova rivista, edita da MIT Press, la casa editrice del Massachusetts Institute of Technology, che ha appoggiato la loro scelta. Si chiamerà Imaging Neuroscience e sarà non profit: i costi di pubblicazione sono stimati attorno a 1.600 dollari per articolo (la metà di quello di Neuroimage), e comprendono gli sconti e la gratuità per i ricercatori dei paesi a basso reddito, che non posso pagare queste cifre. Gli editor non prenderanno compensi finché non raggiungeranno il ritmo di 500 articoli all’anno. Più di 1.000 scienziati si sono già dichiarati disponibili a fungere da reviewer, e nella prima settimana sono arrivati 20 articoli. L’obiettivo è di creare una rivista che superi in prestigio scientifico quella di Elsevier, e MIT Press si dice fiduciosa che questo esempio potrà essere seguito da altri.

La vicenda ha attirato l’attenzione anche della stampa non specialistica. Un interessante articolo su The Nation riporta come Elsevier abbia un bilancio annuale di più di 6 miliardi di dollari, e con un margine di profitto del 40% rivaleggiando con Apple e Google. Come dice uno dei senior editor dimissionario, il problema non sono più forse le compagnie definite predatorie, ma i colossi dell’editoria che hanno imparato da loro. L’industria dell’editoria scientifica ha un giro di affari di 25 miliardi di dollari.

Le ricerche pubblicate su queste riviste sono il prodotto del lavoro di gruppi che in genere sono sostenuti da finanziamenti pubblici, cioè dalle tasse dei cittadini, ma i risultati vanno a finire nei profitti privati. I conti fatti dagli editor di Neuroimage stimano che costi di produzione siano meno di 1.000 dollari per articolo, e i compensi per gli editor sono 1.500-2.000 dollari all’anno, per cui le cifre richieste non sono giustificabili. La risposta è che il prestigio (cioè l’impact factor) si paga. Ma il “prestigio” è costruito sul lavoro, sostanzialmente gratuito, di editor e referee che leggono, criticano e selezionano gli articoli inviati, non su un qualche magico meccanismo di mercato.

E alla lunga, le magagne cominciano ad affiorare. La spinta a pubblicare di più, perché così aumentano i profitti, è presente anche nelle riviste “per bene”, e ha portato al fatto che la banca dati globale Web of Science abbia tolto dagli elenchi più di 50 riviste – anche delle case mainstream – per mancanza di requisiti di qualità, nel frattempo aumentano gli articoli ritirati perché segnalati come scorretti. Come ha detto uno degli editor dimissionari, “questo non è promuovere la scienza, è un attacco alla scienza”.

La storia non è del tutto nuova. Nel 2012, un folto gruppo di scienziati cercò di organizzare un boicottaggio di Elsevier, e raccolse più di 20.000 firme; già nel 2016 il 38% aveva abbandonato la campagna, e intanto i costi sono ancora aumentati.

Il potere è forte, ed è difficile scalzarlo. È una storia da seguire.

 


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