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Favole periodiche

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Quando si va a Londra è indispensabile prendere subito confidenza con la mappa della metropolitana e abituarsi a portarla sempre con sé, compagna indispensabile negli spostamenti cittadini. Qualcosa del genere succede con la tavola periodica degli elementi a tutti quelli che hanno a che fare con la chimica, principianti inclusi. Anche la tavola periodica è, a suo modo, una mappa per orientarsi nella complessità del mondo materiale. Sono simboli di un ordine condiviso da tutti, anche da quell’artista - Simon Petterson – che si è divertito a sconvolgerne i contenuti rinominando, ad esempio, tutte le stazioni del Tube con il ricorso a santi, filosofi, scienziati, personaggi del cinema e altre celebrità. Operazione analoga ha compiuto sulla tavola periodica, dopo che a scuola aveva rinunciato a impararla a memoria. Nel prologo di “Favole periodiche”, il chimico, giornalista e scrittore Aldersey-Williams cita questo artista un po’ irriverente, di cui apprezza la giocosa inventiva e la capacità di stimolare la ricerca di bizzarre connessioni fra simboli, concetti e realtà quotidiana. Lui invece, a differenza di Petterson, si limitava ad assorbire le nozioni che gli impartivano, a riflettere, a fissare la tavola che simile una “pala d’altare” era appesa dietro la cattedra e a far visita a quella enorme, illuminata, che si trovava al Science Museum, con campioni dei diversi elementi nelle rispettive caselle. Poi, affascinato da quel mondo misterioso, cominciò lui stesso a collezionarli, con zelo e passione, tentando di spingersi addirittura oltre il piombo e l’uranio.

Il lettore si divertirà a leggere dei suoi tentativi. Quasi surreale, ad esempio, il racconto del suo tentativo di procurarsi almeno una minima traccia di plutonio, prima via mail presso l’Oak Ridge National Laboratory del Tennessee, poi  ricorrendo al negozio londinese di un’azienda distributrice di rimedi omeopatici. Ne parla nel paragrafo “Le sciarade del plutonio”, nella parte del libro intitolata “Potere”. Potrà sorprendere qualcuno che un libro dedicato agli elementi chimici ne racconti “le vite avventurose” in cinque parti denominate rispettivamente: Potere, Fuoco, Arti e Mestieri, Bellezza e Terra. Dopo le prime pagine, già abituati all’idea di ricercare connessioni solo apparentemente fantasiose, si sfoglieranno quelle successive con crescente curiosità. Si scoprirà così che nella prima, oltre che di plutonio, si parla di oro, platino e altri metalli nobili, ferro, molibdeno, carbonio  e mercurio. Insieme a loro, la fanno da protagonisti due chimici legati alla storia degli elementi: Dmitrii Mendeleev (1834-1907) e Gleen Seaborg (1912-1999). Se il primo è arcinoto, il secondo lo è un po’ meno. Invece Seaborg è stato probabilmente il maggior scopritore di elementi transuranici. Ma nel capitolo “Potere” si parla non solo di grandi scienziati. Laddove si occupa del carbonio, l’Autore si concentra più propriamente sulla forma amorfa cioè il carbone, anzi sull’umile carbone di legna. Il racconto della sua visita al carbonaio Jim e alle sue fornaci di Bonsley Wood spalanca una finestra su scenari insoliti per la maggior parte di noi. Non mancano riferimenti a George Orwell, D.H. Lawrence, Emile Zola, Lord Byron e addirittura un paio di pagine sulla Carboneria, quella del nostro Risorgimento. A questo proposito bisogna dire che Aldersey-Williams  è scrittore di stupefacente e vasta cultura, capace di collegare la scienza all’arte, alla storia e alla letteratura.  Da notare anche che non si limita all’ambito più propriamente anglosassone ma dimostra, ad esempio, una conoscenza approfondita anche delle nostre vicende. A parte la Carboneria, lo si vede quando si occupa del bolognese Vincenzo Menghini e delle sue ricerche settecentesche sul ferro nel sangue. Sarebbero tanti gli stimoli da fornire agli interessati a questo libro, ma lo spazio è scarso e poi è meglio lasciare spazio alla scoperta individuale. Impossibile, però, non citare le entusiasmanti descrizioni degli esperimenti compiuti  dall’Autore per riprodurre, sulla base di antiche ricette, la preparazione degli elementi. Un esempio, fra i più interessanti del libro, è quello del fosforo che, com’è noto, fu ricavato per la prima volta dal residuo dell’evaporazione dell’urina nel 1669.  Ma anche la decomposizione del cinabro non è da meno e piacerà al lettore. Per finire e per dovere di recensione bisogna aggiungere che un po’ più di cura nella stampa avrebbe giovato al libro. Alcune figure sono evanescenti e i refusi cominciano nella sovraccoperta. Più avanti, a proposito di Humphry Davy (1778-1829), si legge (pag. 249) che tenne una conferenza alla Royal Society nel novembre 2006. In “Bellezza”, quando si parla del cadmio, è scritto che il solfato di cadmio è giallo: non è vero. Forse si trattava del solfuro e sembra un errore di traduzione. Questi microscopici rilievi però non sminuiscono l’apprezzamento per questo libro, che si legge con gusto ed è istruttivo. E’ bene non lasciarselo sfuggire.

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