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Digitalizzare la pubblica amministrazione seguendo il modello costituzionale

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Nella pubblica amministrazione, l'adozione e l'applicazione delle tecnologie digitali fa sì che ci si debba confrontare col modello di amministrazione disegnato dalla Costituzione: una sfida della quale Gianluca Fasano, in questo articolo, ci aiuta a mettere in luce alcuni dei punti principali.

Crediti immagine: ThisisEngineering RAEng/Unsplash

Nella sua accezione meno recente, l'espressione “amministrazione digitale” indica l'adozione da parte della pubblica amministrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) nello svolgimento delle proprie funzioni e nell'erogazione di servizi, cui non può che far seguito una modifica sia negli aspetti riguardanti il regime giuridico di espletamento dell’attività sia nei profili giuridico-organizzativi legati alle attività medesime.

In altri termini, l'applicazione delle tecnologie digitali alla pubblica amministrazione disegna un nuovo modo di amministrazione e un nuovo modello di amministrazione, obbligando interprete e operatori a doversi confrontare, più in generale, col modello di amministrazione disegnato dalle disposizioni costituzionali. In questa sede non possono essere adeguatamente sviluppate tutte le implicazioni connesse alla digitalizzazione ma, comunque, si cercherà di fornire una chiave di lettura idonea a inquadrare e a ricondurre nel quadro costituzionale i molteplici profili problematici connessi all'uso delle tecnologie informatiche nelle pubbliche amministrazioni.

Intanto, occorre analizzare il piano dei contenuti di diritto positivo, cioè dei mezzi individuati dal legislatore per declinare i valori costituzionali sul tema, potendone evidenziare almeno due approcci: uno funzionale e l’altro economico. Il primo riflette la concezione tradizionale per cui le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono state viste come strumento atto a garantire migliori performance dell’amministrazione, non solo in termini di efficienza o risparmi di spesa ma anche di efficacia o incremento della soddisfazione dei cittadini. Grazie allo sviluppo delle ICT, accentuatosi in modo esponenziale dagli anni Novanta, si è diffuso un medium di comunicazione di gran lunga più efficiente di tutti quelli sino ad allora noti. La traccia di tale pensiero la ritroviamo ancora scolpita nella legge sul procedimento amministrativo (art. 3 bis, l. n. 241/1990, come introdotto dalla l. n. 15/2005) ove le amministrazioni pubbliche sono sollecitate ad agire mediante «strumenti» informatici e telematici «per conseguire maggiore efficienza nella loro attività».

Successivamente, con l’adozione del Codice dell’Amministrazione Digitale (Cad), il legislatore è intervenuto per meglio governare la ricaduta di questi nuovi strumenti sul diritto amministrativo in generale, dettando una disciplina più organica e articolata che tenesse conto di quella “evoluzione” dei rapporti giuridici e di servizio tra il privato e il sistema amministrativo che ormai era già in atto. Con il Cad il legislatore compie un ulteriore step, introducendo un approccio di tipo economico. Infatti, le informazioni sono sempre state un bene prezioso, oltre che spesso sensibile, per aziende, stati e cittadini. I dati sono diventati una risorsa essenziale per la crescita economica, la creazione di posti di lavoro e il progresso sociale. I servizi che si basano sulla data analysis sono in forte crescita nell’Unione europea e nel mondo. Un mercato unico efficiente e senza barriere in questo settore creerebbe «opportunità significative per la crescita e l’occupazione» (Commissione al Parlamento europeo, Costruire un’economia dei dati europea, 2017). È una tendenza mondiale che presenta potenzialità enormi in vari campi: sanità, sicurezza alimentare, clima, uso efficiente delle risorse, energia, sistemi di trasporto intelligenti e città intelligenti.

In questo scenario giocano un ruolo fondamentale i dati pubblici, vale a dire quelli posseduti o generati dalla pubblica amministrazione nell’esercizio della sua funzione istituzionale. Il patrimonio informativo pubblico rappresenta una fonte preziosa per la nuova economia, sia per la notevole consistenza che la caratterizza sia per la naturale gratuità che le si attribuisce. È stato così naturale concepire la condivisione e il riutilizzo dell’informazione detenuta dal settore pubblico tra gli assi portanti su cui basare la recente strategia politica, anche sulla scia dei movimenti sull’Open Government Data che promuovono la liberazione delle informazioni pubbliche. Ebbene, alla pubblica amministrazione è stato riconosciuto un ruolo di grande player per la generazione, acquisizione e distribuzione di dati, introducendo una disciplina strutturata in materia di riuso del dato pubblico, formato aperto, interoperabilità, cloud e regole di sfruttamento.

La strategia di modernizzazione delle amministrazioni attraverso l’ausilio di strumenti digitali che incoraggino e favoriscano il riuso dell’informazione del settore pubblico si regge sulla convinzione che la condivisione del patrimonio informativo pubblico possa contribuire ad accelerare la trasformazione digitale dell’economia, dell’industria e della società europee. Tuttavia, l’apertura verso l’esterno di questo asset, con il relativo diritto di riuso anche a fini commerciali, non è più importante del ruolo che il sistema pubblico deve occupare per lo sviluppo della persona e la garanzia dei diritti fondamentali, utilizzando in chiave costituzionale le innovative soluzioni che la tecnologia moderna offre. Detto altrimenti, il riuso del patrimonio informativo pubblico non può rappresentare un orizzonte così finito nella strategia per la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni. Come si accennava all'inizio, la pubblica amministrazione dovrà esser prima di tutto coerente al suo progetto costituzionale, rivolto non soltanto al perseguimento degli interessi pubblici che fanno capo allo Stato ma, soprattutto, alla creazione delle condizioni concrete che consentono ai cittadini di esercitare i diritti e le libertà.

Ebbene, se gli open data, nell’ambito del più ampio processo di transizione digitale, muovono prevalentemente verso un nuovo approccio organizzativo della pubblica amministrazione, al fine comprensibile di promuovere e sostenere lo sviluppo dell’economia dei dati, occorre assicurare il concetto di “buon andamento dell’amministrazione” (art. 97 della Costituzione) nella sua poliedrica essenza, tanto come principio ma soprattutto come pretesa nei confronti degli apparati statali. Tale prospettiva resta ancor più solida alla luce del parametro europeo del “Diritto ad una buona amministrazione”, consacrato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) come un diritto fondamentale dei cittadini dell’UE.

E così, la sfida della transizione digitale conduce gli attori pubblici, tanto il legislatore quanto l’apparato amministrativo, a doversi confrontare con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella loro dimensione di strumenti certamente innovativi per l’organizzazione e la funzione amministrativa, ma pur sempre da orientare verso la realizzazione dei diritti e, in definitiva, la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, co. 2, Cost.).

D’altro canto, con la proclamazione dell’art. 2 della Costituzione, il “principio personalista” diviene il «punto fermo della regolazione del nuovo rapporto individuo-comunità statale» e la persona «diviene titolare di quei diritti fondamentali costituenti il patrimonio irriducibile della dignità umana che la Repubblica s’impegna a salvaguardare».

Un esempio, sul piano pragmatico, può meglio contribuire a chiarire l’idea. Nel 2010 il governo portoghese ha introdotto il programma di “tariffa energetica sociale” con l’obiettivo di alleggerire il costo delle bollette energetiche per le famiglie a basso reddito o in condizioni di vulnerabilità. Tuttavia, l’adesione all’iniziativa è rimasta bassa, vuoi per la scarsa conoscenza circa la sua adozione vuoi perché molti consumatori erano scoraggiati dall’onere amministrativo derivante dalla presentazione di una specifica richiesta di riduzione tariffaria. Per far fronte al basso tasso di utilizzo, nel 2016 è stata sviluppata l’ASET (Automatic Social Energy Tariff), una piattaforma nazionale di interoperabilità che automatizza il processo di applicazione delle tariffe, controllando i dati di diversi enti governativi per identificare i consumatori che hanno diritto alla ASET. In tal modo, il governo verifica in modo proattivo l’ammissibilità al beneficio e attribuisce automaticamente una tariffa sociale per garantire a tutte le famiglie bisognose un sostegno finanziario per i propri servizi energetici.

Dall’esperienza portoghese possiamo trarre alcune prime osservazioni. Un primo dato riguarda la relazione persona-potere pubblico: l’onere procedimentale si è spostato dall’individuo all’amministrazione, la quale si è fatta carico dei bisogni delle famiglie a basso reddito di accedere alla riduzione, realizzando un servizio inclusivo, equo e proattivo. Una semplice automazione, una digitalizzazione “light”, fatta di interoperabilità e condivisione di dati tra diverse pubbliche amministrazioni ha consentito di restituire dignità ai soggetti più bisognosi, senza che questi fossero onerati di esternare il proprio bisogno attraverso l’attivazione e partecipazione ad un procedimento amministrativo. Secondo le valutazioni fornite, l’automazione della tariffa energetica sociale ha visto un aumento del numero di beneficiari dal 4% a circa il 20% di tutte le famiglie in Portogallo.

Un secondo aspetto che può esser messo in risalto è che le informazioni inerenti ai bisogni delle persone sono presenti nei dati pubblici e la loro veicolazione, ai fini della rispettiva soddisfazione, non necessita di istanze, moti o impulsi di parte, né di complesse procedure amministrative dacché le nuove tecnologie rendono immediata la conoscibilità del patrimonio informativo pubblico. In questa esperienza possiamo trovare conferma di quell’approccio che vede nella transizione digitale la sfida posta alla pubblica amministrazione per assicurare la centralità della persona e la garanzia dei diritti fondamentali rimuovendo gli ostacoli al «pieno sviluppo della persona umana» (nel 2020 la piattaforma dell’ASET è stata insignita dell’UN Public Service Awards).

In definitiva, se l’evoluzione della società dell’informazione e della conoscenza porta alla liberazione della persona dai propri limiti cognitivi dobbiamo ritenere che anche la “cognizione” delle istituzioni ne risulta enormemente ampliata. E così, nel rapporto tra amministrazione e amministrati assistiamo alla creazione di una dimensione nuova, una dimensione in cui la disponibilità di soluzioni innovative e tecnologiche rende evidente il divario tra l’essere e il dover essere delle istituzioni, una dimensione in cui il principio di buon andamento è sempre più riconoscibile come una pretesa nei confronti dello Stato.

La forte spinta delle nuove tecnologie – big data e intelligenza artificiale in primis – non lascia più alibi a situazioni di inefficienza della pubblica amministrazione che, in coerenza al modello costituzionale, dovrà non soltanto provvedere alla cura degli interessi pubblici che fanno capo allo Stato ma, soprattutto, alla creazione delle condizioni concrete che consentono ai cittadini di esercitare i diritti e le libertà.

 


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