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Covid-19: i malati di fibrosi cistica sanno già cosa fare

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Immagine dal film "A un metro da te" (2019).

La Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica (FFC) da 18 anni finanzia progetti di ricerca mirati a trovare una cura per questa malattia genetica grave che compromette soprattutto i polmoni, con l’incidenza in Italia di un nuovo nato con fibrosi cistica ogni 2.500. Di fronte all’attuale pandemia del nuovo coronavirus SARS-Cov-2, chi ha la fibrosi cistica oggi dice “il mondo ci capisce di più”. Abbiamo intervistato su questi temi Flaminia Malvezzi, assistente alla Direzione scientifica della fondazione.

Come vivono in questa situazione di emergenza i malati di fibrosi cistica?

La fibrosi cistica è una malattia genetica che altera le secrezioni di molti organi, rendendole più dense, disidratate e poco fluide. A subire il maggiore danno sono i bronchi e i polmoni: al loro interno il muco tende a ristagnare, generando infezione e infiammazione ingravescenti, che nel tempo tendono a portare all’insufficienza respiratoria. Chi soffre di fibrosi cistica deve sempre prestare molta attenzione alle infezioni respiratorie e ai virus e batteri che possono provocarle. Pertanto, per i malati di fibrosi cistica, covid-19 rappresenta uno dei tanti nemici dei loro polmoni, non di certo l’unico, e ancora non sappiamo se esso sia il più dannoso per loro. Purtroppo però, tutti coloro in cui la malattia polmonare è in fase avanzata e coloro che si sono sottoposti a trapianto polmonare e sono in trattamento antirigetto con farmaci immunodepressivi, costituiscono una fascia in cui l’infezione da Covid-19 potrebbe essere particolarmente rischiosa.

Quali particolari rischi corrono se contraggono il coronavirus e quali precauzioni devono prendere?

Quando sono iniziate ad arrivare le prime notizie di infezione da Covid-19 in Italia, i malati di fibrosi cistica hanno sottolineato come forse per la prima volta anche la popolazione generale poteva capirli e condividere i loro problemi. Infatti, le precauzioni che tutti noi stiamo adottando adesso, vale a dire mantenere una distanza di sicurezza per non correre il rischio di contagio o indossare una mascherina quando ci si trova in un luogo pubblico, sono precauzioni che i malati di fibrosi cistica conoscono bene perché fanno parte delle norme che da sempre e per sempre debbono adottare, soprattutto quando sono in presenza di altre persone come loro affette dalla malattia. Infatti, potrebbe esserci fra di loro qualcuno contagiato da un batterio super-aggressivo e resistente a tutti gli antibiotici e potrebbe trasmetterlo agli altri. Perciò, come norma preventiva generale, tutti i malati sono da sempre abituati a non frequentarsi e a comunicare fra di loro per altre vie (video, social e così via). Questo è particolarmente duro da accettare. Un film recente dal titolo significativo “A un metro da te”, aveva sottolineato l’amore impossibile, solo virtuale, fra un ragazzo e una ragazza entrambi malati di fibrosi cistica. Inoltre, le infezioni polmonari dovute a questi batteri costringono i malati a lunghe terapie antibiotiche intravenose e a isolamento nei Centri fibrosi cistica regionali presenti negli ospedali d’Italia.

Che tipo di informazione sta facendo la fondazione su questo tema?

La necessità che i malati di fibrosi cistica e le loro famiglie hanno in questo momento è quella di ricevere informazioni attendibili, come tutti noi del resto. Per questo la rubrica domande e risposte del sito di FFC (1) risponde giornalmente a quesiti di ordine generale di chi li richiede. Senza sostituirsi in alcun modo ai medici curanti ma fornendo informazioni generali e incoraggiando a rivolgersi a siti istituzionali e a non lasciarsi travolgere dalle informazioni che circolano sul web.

Che tipo di segnalazioni vi giungono dalla comunità dei malati?

Le preoccupazioni riguardano aspetti legati alla specifica patologia, per esempio quanto Covid-19 possa essere pericoloso per loro, a cui alle volte è difficile dare delle risposte proprio perché ci troviamo di fronte a un nuovo virus che la ricerca scientifica nazionale e internazionale non ha ancora avuto modo di studiare a fondo. Ma anche quesiti pratici come la mancanza di mascherine e come fare a reperirle; un aspetto quest’ultimo che ci dovrebbe porre tutti di fronte alla nostra capacità di essere sì prudenti, ma anche solidali.

Ha intenzione la fondazione di orientare i bandi anche su questa nuova epidemia, in relazione alla fibrosi cistica?

Al momento ci sono stati segnalati due casi di malati di fibrosi cistica che risultano positivi a Covid-19. La regione di appartenenza è la Lombardia, uno è un adulto, che avrebbe contratto il virus in casa dai famigliari e che avrebbe sintomi modesti. L’altro è un bambino di un mese, diagnosticato con FC attraverso screening neonatale, risultato Covid-19 positivo, il contagio sarebbe avvenuto sempre in ambito famigliare. Si ha notizia che il bimbo è a casa e sta bene.

Da una parte è ragionevole pensare che l’infezione in queste persone più fragili meriti particolare attenzione. Tuttavia, non possiamo escludere a priori che i malati di fibrosi cistica, per la particolare storia di interazione con le infezioni, abbiano attivato efficaci difese di “prima linea”, che non sono quelle legate allo sviluppo di anticorpi specifici contro il virus - questi si sviluppano a seguito di infezione o di vaccino - ma che sono comunque importanti nel contrastare i virus (2). Inoltre, le informazioni raccolte fino ad ora sembrano indicare un minor accanimento del virus verso i giovani e i giovani adulti, che rappresentano la grande maggioranza dei malati di fibrosi cistica. Di nuovo, non possiamo escludere che il fattore età faccia la sua parte nel tutelare la categoria dei malati di fibrosi cistica, categoria comunque più a rischio della popolazione generale in questo momento di emergenza. Vedremo se la ricerca sulla fibrosi cistica potrà portare risposte a queste e altre problematiche. Il bando per progetti di ricerca della fondazione è appena uscito e sono già state ricevute le proposte di ricerca che ora sono al vaglio degli esperti. Sono ricerche anche nel campo dell’infiammazione polmonare. Nella polmonite da Covid-19 sembra esserci una risposta infiammatoria esagerata - di qui il trattamento sperimentale in corso con una sorta di regolatore della risposta infiammatoria, il Tocilizumab, usato abitualmente per altre patologie. Perciò i ricercatori FFC potrebbero dare contributi interessanti per tutti.

Quanti sono i progetti di ricerca finanziati da FFC?

La fondazione ha emanato il primo bando di ricerca nel 2002 e ha finanziato ad oggi 393 progetti di ricerca e alcuni servizi alla ricerca, tra cui una facility per fornire ai ricercatori cellule primarie da pazienti FC e una facility per modelli murini di malattia. L’investimento complessivo in ricerca supera i 35 milioni di euro, tutti grazie al supporto di singoli volontari, ad oggi riuniti in oltre 140 delegazioni da sud a nord dell’Italia. Questo è possibile ed è stato possibile attraverso un iter complesso, che richiede rigore e trasparenza, soprattutto nei confronti dei sostenitori, che per FFC sono al momento e per la maggior parte famigliari di malati.

Partendo dall’inizio, come vengono finanziati i progetti?

Partito il bando a metà dicembre, i ricercatori hanno due mesi per caricare in piattaforma i loro progetti di ricerca che vengono ricevuti entro la metà di febbraio. I progetti, suddivisi per aree tematiche, difetto di base, infezione, infiammazione, ricerca clinica, subiscono un primo check di eleggibilità per controllare che tutte le clausole del bando vengano rispettate. Successivamente, sempre divisi per area, quelli idonei vengono mandati ai membri di un selezionato comitato scientifico, che inizia con la selezione dei più meritevoli e innovativi. In questa prima fase circa un terzo dei progetti vengono scartati. I selezionati vengono mandati ad un pool di ricercatori internazionali, esperti nei vari campi. Almeno due revisori internazionali per progetto hanno il compito di valutare quanto riportato nel progetto stesso e inviare il loro giudizio a FFC entro la prima metà di maggio. A questo punto il comitato scientifico si riunisce per visionare i giudizi dei revisori internazionali, e ratificare la selezione dei progetti più meritevoli, anche in base alla disponibilità di budget per quello specifico anno, approvata dal Consiglio di amministrazione della fondazione. I progetti hanno, il più delle volte, durata biennale, e un finanziamento medio che è cresciuto nel tempo: nell’ultimo anno è stato in media di 80 mila euro a progetto, per i 27 progetti finanziati. Tutti i progetti sono visionabili, con relativi obiettivi e risultati, al sito web della fondazione www.fibrosicisticaricerca.it.

In che modo i ricercatori danno conto dei loro risultati?

Alla fine del primo anno, i Principal Investigator sono invitati a inviare in Fondazione un preliminary report con le attività svolte, mentre al secondo anno manderanno il loro report finale. Inoltre, ogni anno a novembre, i ricercatori della rete si riuniscono in una Convention organizzata e sponsorizzata dalla fondazione. Durante l’incontro vengono presentati tutti i progetti; i progetti conclusi presentano i loro risultati finali, quelli intermedi i risultati preliminari, e quelli nuovi il piano d’azione per il futuro ed eventuali dati già raccolti. Questo allo scopo di rendere tutti consapevoli dei risultati raggiunti dagli altri e favorire l’interazione tra i ricercatori e il sorgere di collaborazioni. I risultati dei progetti conclusi e discussi alla Convention vengono pubblicati su rivista internazionale come Supplemento - per il 2019 sono in via di pubblicazione su BMC Pulmonary Medicine - per favorire anche gli scambi anche con i ricercatori di altri paesi.

In che modo i volontari vengono a conoscenza dei risultati ottenuti dai loro progetti?

Il momento più importante per una Onlus è sicuramente la rendicontazione ai donatori, che FFC chiama “gli adottanti” in quanto a inizio progetto hanno deciso di adottare un progetto specifico. Si prepara la documentazione da inviare a ognuno. Per ogni scheda, la sintesi dei risultati del progetto viene scritta in maniera divulgativa in italiano e inglese: una parte cruciale è la spiegazione dei risultati dei progetti in modo semplice, affinché persone non avvezze al linguaggio scientifico possano capirli. A questo compito la fondazione dedica molto tempo e molta attenzione, nel rispetto che si deve a chi ha speso il proprio prezioso tempo per raccogliere i fondi necessari a fare ricerca, spesso con la preoccupazione di un figlio, un fratello, una sorella o un amico malato di fibrosi cistica.

Cosa significa far parte di una realtà come questa?

Come si vede, la necessità di chiarezza e trasparenza è fondamentale per chi, come fondazione, opera costantemente sulla base della propria credibilità. E non è difficile ammettere che nel nostro Paese buona parte del lavoro scientifico si basa proprio sul buon funzionamento di Onlus come FFC. L’Italia è un paese solidale ma forse la nostra, come altre fondazioni, avrebbe bisogno dell’aiuto non solo dei volontari ma anche di più del mondo imprenditoriale e delle istituzioni.

 

Note
1. https://www.fibrosicisticaricerca.it/informati/domande-e-risposte/
2. https://www.fibrosicisticaricerca.it/epidemia-covid-19-e-fibrosi-cistica...

 

 


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