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Carne coltivata, tra controversie e innovazione

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La carne coltivata si pone come una possibile strategia per ridurre il numero di animali negli allevamenti e soddisfare il fabbisogno energetico della popolazione in aumento. Tuttavia, rimangono alcune controversie e limiti tecnologici (nonché legati ai processi registrativi per la sua immissione in commercio).

Immagine modificata da Wikimedia Commons. Licenza: CC BY 3.0

Tempo di lettura: 6 mins

A partire dalla prima pubblicazione sulla carne coltivata (nota anche come carne colturale, carne sintetica, carne artificiale o carne in provetta) nel 2008, il numero di pubblicazioni è aumentato considerevolmente negli ultimi anni. Qualche tempo fa, Appetite, una rivista internazionale di ricerca che si occupa delle influenze culturali, sociali, psicologiche, sensoriali e fisiologiche sulla selezione e l'assunzione di cibi e bevande, ha dato spazio a una review che prende in considerazione i fattori che influenzano l'accettazione dei consumatori della carne coltivata. Le notizie sulla carne coltivata si sono diffuse e intensificate da quando l’agenzia alimentare di Singapore ha approvato la vendita dei chicken bites, bocconcini di pollo di carne ottenuta in laboratorio da una start-up americana di nome Eat Just nel dicembre 2020.

Carne coltivata, prodotti plant-based e altre alternative 

La FAO ha stimato che, entro il 2050 il fabbisogno di carne raggiungerà un volume non sostenibile dalla produzione convenzionale negli allevamenti. L’ industria alimentare ha ricercato e continua a ricercare innovazioni tecnologiche con l’obiettivo di soddisfare anche in futuro il fabbisogno alimentare della popolazione in aumento, sostituendo la carne e i suoi derivati con la carne coltivata, con surrogati a base vegetale o con prodotti derivati dai lieviti o altri microrganismi.

Attualmente sono i fagioli mungo e alcuni tipi di funghi a essere alla base delle alternative plant-based della carne e dei suoi derivati. Questi alimenti sono ben accettati da vegetariani, salutisti o flexitariani (coloro che mangiano carne in modo sporadico) e sono disponibili anche per gli animali domestici. Dal punto di vista nutrizionale, il contenuto proteico è comparabile a quello della carne, ma non lo sono sicuramente il gusto e la consistenza. La carne coltivata appare quindi un'alternativa sostenibile per i consumatori che vogliono essere più responsabili ma non vogliono cambiare la composizione della loro dieta.

Come si ottiene la carne coltivata?

La carne coltivata si ottiene partendo da cellule muscolari di animali e facendole crescere in bioreattori in condizioni controllate. Un bioreattore è un contenitore che assomiglia ad un fermentatore utilizzato per la produzione di birra dentro cui vengono inserite le cellule animali insieme a un terreno di coltura (che contiene le sostanze nutritive utili alla crescita e alla divisione delle cellule) e in cui si possono controllare le condizioni di crescita, compresa la sterilità dell’ambiente di crescita stesso.

La produzione su larga scala presenta ancora sfide tecniche per ottimizzare la metodologia di coltura cellulare, ma secondo i produttori attuali (si contano più di 800 tra aziende e start-up) una parte della sfida riguarda la regolamentazione e i processi di approvazione da parte delle agenzie di controllo degli alimenti. Il processo registrativo potrebbe essere diverso se si tratta della richiesta di approvazione di semplici hamburger di carne coltivata (definiti novel food) o se la carne coltivata ha subito anche un processo di modificazione genetica che va a migliorare le sue proprietà nutritive e quindi i suoi effetti sulla salute dell’uomo (rientrerebbe nella categoria OGM).

L’azienda olandese Mosa Meat, fondata da uno dei pionieri della ricerca sulla carne coltivata, pare mirare a Singapore e all’Europa per il lancio dei suoi primi prodotti. Non stupisce che sia Singapore, la città-stato più innovativa e multiculturale del mondo, ad aver approvato per prima la carne sintetica, nonostante le complesse procedure che potessero dimostrare la sicurezza dei prodotti.

Carne artificiale, possibili vantaggi e svantaggi

La prospettiva di una potenziale riduzione delle zoonosi, grazie alla riduzione delle interazioni uomo-animale, faranno accelerare altre agenzie alimentari nella definizione dei propri processi approvativi? E se ciò accadrà, sarà un a vantaggio delle lobby o solo una svolta inevitabile e sostenibile? Nel suo libro inchiesta Carne artificiale? No, grazie!, Gilles Luneau sostiene come la nascita e lo sviluppo della carne artificiale siano «una convergenza di interessi contestuali», tra cui inserisce la mercificazione della ingegneria genetica, il denaro dei milionari della Silicon Valley, lo sviluppo della filosofia dell’altruismo efficace, il tutto inserito nel contesto del riscaldamento climatico e della crisi della biodiversità. Aggiunge anche che i fondatori delle startup californiane siano solo dei millennial che cercano nella tecnologia la salvezza poiché non hanno la capacità di risalire alla causa del problema per risolverlo. Sostiene, ancora, che la loro etica del lavoro sia legata alla morale religiosa e al movimento nato dal filosofo Peter Singer, che fa dell’efficacia una morale, quindi l’altruismo efficace «propone di calcolare, come un ingegnere, gli aspetti economici di qualsiasi gesto di beneficenza» riducendo tutto ad una ragnatela economica senza una utilità sociale significativa che manda messaggi confondenti e parziali allo scopo di rendere il prodotto accattivante per tutti.

Luneau continua affermando che nelle aziende di carne colturale “non si mostrano vegani” ma esternano solo il loro impegno ecologista veicolando la promessa di salvare il mondo, facendo sentire chi li acquista dalla parte di chi vuole ottenere un mondo migliore.

È vero che i potenziali vantaggi della carne sintetica sono ancora una questione controversa, ma ridurre la ricerca e l’innovazione tecnologica a una mera questione di portafoglio appare limitante. Se consideriamo gli aspetti legati all’emissione dei gas serra, la carne artificiale potrebbe non portare vantaggi a lungo termine: il metano (CH4) rilasciato dagli allevamenti ha un'emivita significativamente più bassa della CO2 che verrebbe prodotta anche dai bioreattori, ma gli allevamenti tradizionali potrebbero essere vantaggiosi solo se la richiesta di carne si riducesse anziché aumentare. Inoltre verrà sicuramente utilizzata meno terra per i bioreattori rispetto a quella necessaria per allevare e alimentare i ruminanti, con una potenziale rigenerazione di foreste e biodiversità.

Dal punto di vista etico, la carne in provetta ha come obiettivo l’utilizzo di un numero considerevolmente inferiore di animali e la produzione di carne cruelty-free, anche se alcuni animali dovranno ancora essere allevati per raccogliere le cellule per la sua produzione in vitro.

Ottimizzare il processo di crescita

Nonostante tutti questi aspetti da chiarire, è evidente come man mano che gli anni passano la carne convenzionale sia destinata a essere sostituita, ma l’industria è davvero pronta alla produzione rapida e di massa? I protocolli di coltura devono essere ottimizzati per rendere il prodotto economicamente sostenibile garantendo la soddisfazione del cliente in termini di consistenza, sapore e diversificazione. Di questo si occupa Bruno Cell, una start up trentina supportata all’Hub Innovazione Trentino. Obiettivo principale della start-up è quello di ottimizzare il processo di crescita delle cellule per ridurre i costi per rendere la carne colturale una risorsa più accessibile.

«È stato stimato che i fattori di crescita rappresentano circa il 90% del costo di produzione del mezzo di coltura utilizzato per la crescita di cellule animali», spiega Lisa Ceroni, dietista ed esperta in Food Innovation di Bruno Cell.

Bruno Cell collabora con diverse università in modo che, una volta ottimizzate le metodologie di coltivazione di cellule sia di bovino che di suino, si possa proseguire nella realizzazione di un prodotto finito. Per ottenere le diverse strutture e forme di carne dal gusto e consistenza che conosciamo si possono seguire due strade: l’utilizzo di scaffold e il bioprinting. Gli scaffold sono strutture di supporto dentro le quali si possono far crescere le cellule e che permettono il passaggio del mezzo di coltura contenente nutrienti per le cellule, consentendo così di ottenere un prodotto finito con una determinata struttura, per esempio un hamburger. Più di recente è stato approcciato il mondo della stampa 3D, o nello specifico del bioprinting, che permette direttamente (invece di posizionare il materiale sullo scaffold per favorirne la crescita) di stampare le cellule in una soluzione di alginato in cui poi possono differenziare e formare la struttura desiderata. Con questa soluzione, se per esempio vogliamo ottenere la forma di una bistecca, dovremo utilizzare diverse componenti, quindi sia cellule muscolari che adipose che permettano di conferire sia il gusto che la struttura tipica che conosciamo. 

 


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