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Breve storia dei progetti di modificazione del clima

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Credit: Adran Pelletier/Pixnio Licenza: CC0

Ovunque, fin dall’antichità, si è tentato di modificare il tempo: si è danzato, pregato, si sono fatti sacrifici umani per avere più o meno pioggia, più caldo o più fresco. Nessuno ci è mai riuscito, il tempo è restato immodificabile (anche se Padron Cipolla, nei Malavoglia di Giovanni Verga, ha le idee chiare in proposito, sa bene perché il tempo è cambiato e perché non piove più: "Non piove più perché hanno messo quel maledetto filo del telegrafo che si tira tutta la pioggia e se la porta via"). Questo perché la nozione di tempo indica le condizioni dell’atmosfera in una determinata area geografica in un certo momento, o comunque in un breve periodo. Il tempo è variabile e difficilmente prevedibile anche a poche settimane di distanza, perché influenzato da eventi casuali e da fenomeni occasionali. Era considerato immodificabile anche il clima, cioè l’insieme delle condizioni atmosferiche (temperatura, umidità, pressione, venti) che caratterizzano una regione geografica e ne determinano il tipo di vegetazione, la flora e la fauna, le attività economiche ed anche il carattere e le abitudini delle popolazioni che vi abitano Osservava Cuoco, l’autore del Saggio storico sulla rivoluzione napoletana, che “è una stranezza il creder che il clima non influisca sul fisico e sul morale degli uomini”; e ribadiva Tommaseo che “i principali caratteri o costumi nazionali, anche quando paiono non aver niente a che fare col clima, o ne derivano o quando anche non ne derivino e vengano da cagioni affatto diverse, pur corrispondono mirabilmente alle qualità di esso clima”.

Il clima, a differenza del tempo, si modifica

Tuttavia, il clima è stato spesso modificato – senza volerlo e senza saperlo. Molte di queste modifiche, seppur territorialmente circoscritte e prive del carattere di globalità proprio dell’attuale cambiamento climatico, hanno influito sull’evoluzione dell’umanità e di altri esseri viventi determinando adattamenti e migrazioni, catastrofi e successi 1. Per esempio, all’origine del diffondersi dell’agricoltura sta – secondo recenti studi di paleoclimatologia – il surriscaldamento del clima che, proprio nel periodo in considerazione, si estende in Palestina e in Mesopotamia, nell’area cosiddetta della «mezzaluna fertile» (l’area compresa fra gli odierni Iraq, Turchia, Israele). Ma lo sviluppo delle pratiche agricole ha provocato (in genere insieme con altri fattori concorrenti) il declino di intere popolazioni. Un buon esempio è offerto dai Sumeri, la cui civiltà si sviluppò nel IV millennio a.C. raggiungendo elevate forme di organizzazione politica e sociale, anche per la messa a punto di un geniale sistema di irrigazione che permetteva una produzione agricola e alimentare enormemente superiore a quella delle altre popolazioni confinanti. Proprio questo sistema è la causa, a lungo andare, del successivo collasso. Infatti l’acqua distribuita dal sistema di irrigazione determinava un progressivo innalzamento della falda. Allorché L’acqua, giunta al livello del suolo, cominciò a evaporare, lasciando depositi di sale nel terreno. L’accumulazione del deposito salino condusse a una progressiva diminuzione della produzione agricola e al declino della civiltà sumerica 2.

I tentativi di modifica del tempo e del clima

La modifica intenzionale del clima si profila come specifico oggetto di ricerca scientifica e tecnologica nel XIX secolo, dopo che, nei primi decenni del secolo, Jean Baptiste Fourier scopre l’effetto serra.

La ricerca è stata particolarmente intensa negli Stati Uniti le cui aree centrali (le Great Plains) erano frequentemente colpite da periodi di siccità: coloro che vi partecipano - scienziati e imprenditori ma anche, spesso, sognatori e avventurieri - formano il gruppo dei “pluviculturalisti”. Le tecniche proposte sono le più varie: dalle bombe alle cannonate, dagli incendi di boschi su vasta scala al rilascio di palloni riempiti di gas nell’atmosfera fino alla creazione di vulcani artificiali 3. Il più importante esponente del gruppo fu il meteorologo James Pollard Espy, soprannominato “The Storm King”, autore di un apposito trattato, The Philosophy of Storms. Espy presentò la sua teoria secondo cui la pioggia poteva essere provocata bruciando le foreste anche in Europa tra il 1836 e il 1840, all’Accademia delle scienze francese e alla British Royal Society. Verso la fine del secolo divenne famoso Frank Melbourne, detto il "The Rain Wizard", il Mago della pioggia, che sosteneva di avere una formula segreta per produrre fenomeni atmosferici: per 300 dollari si impegnava far piovere sull’area prestabilita. Ebbe molti seguaci e imitatori: sorsero numerose imprese che promettevano pioggia affermando di utilizzare la sua formula.

L’attività, le ricerche e le promesse dei pluviculturalisti determinano anche il sorgere di una florida letteratura utopistica in materia di mutamento climatico. Si immaginavano così società ove radicali modifiche dell’assetto delle istituzioni e dei rapporti sociali avrebbero dovuto procedere di pari passo con interventi di environmental engineering, consistenti nel rimodellamento del pianeta e di sottoposizione a controllo delle forze naturali. L’obiettivo era di modificare la natura per renderla idonea a soddisfare i bisogni dell’uomo: una delle tappe era il controllo del clima, in modo da rendere fresche le regioni più torride e più temperate le regioni fredde 4. Tra i più noti “utopisti del clima” c’è anche William Dean Howell che dedica alla fine del secolo XIX tre romanzi a Altruria, un paese situato nell’emisfero meridionale, dove sono realizzate enormi riformi sociali nel senso dell’uguaglianza, della tolleranza e della razionalizzazione dei consumi e dove il clima è stato profondamente modificato. Spiega un altruriano in visita negli Stati Uniti (con uno schema manifestamente ripreso da Montesquieu anche se Howell abbandona la struttura epistolare): “Avevamo un clima da modificare, stagioni da rendere più miti, un intero sistema meteorologico da mettere sotto controllo e a questi obiettivi abbiamo dedicato risorse che sono in genere destinate alla guerra” 5.

Anche in Unione Sovietica fioriscono negli anni Venti del secolo scorso progetti di intervento tecnologico sull’assetto climatico: il miglioramento delle condizioni naturali e l’attenuazione delle avversità climatiche attraverso l’uso della scienza e della tecnologia costituiscono i presupposti per la creazione di una nuova società. Secondo Gorki, proprio la capacità del comunismo di rimodellare la natura avrebbe rappresentato la sua superiorità sul sistema capitalistico 6. Nel 1932 è istituito a Leningrado un apposito istituto per gli studi climatici.

Dobbiamo però arrivare al secondo dopoguerra per assistere a una vera e propria esplosione degli studi e degli esperimenti sul clima. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si rendono conto degli importanti benefici in termini di sicurezza, di difesa e, in genere, di utilizzazione bellica di modificazioni intenzionali del clima.

Il cloud seeding e la Convenzione ENSOD

Negli Stati Uniti l’attenzione si polarizza per molti anni sul cosiddetto cloud seeding 7, l’insieme delle tecniche per cambiare la quantità ed il tipo di precipitazioni attraverso la dispersione nell’atmosfera di sostanze chimiche che agiscono sulla formazione delle nuvole. Queste tecniche sono oggetto di sperimentazione e di applicazione da parte di imprese private che offrono i propri servizi climatici agli agricoltori, scatenando numerose controversie giudiziarie originate sia dall’inadempimento agli impegni assunti, sia, in ipotesi di casuale riuscita, da parte di coloro che dalla pioggia sono danneggiati (ci sono varie decisioni giudiziarie in merito alla responsabilità per le conseguenze di operazioni volte a produrre variazioni atmosferiche).

Il cloud seeding, anche per le possibilità di impiego bellico, riceve consistenti finanziamenti governativi: del 1953 è la costituzione da parte del Congresso di un Comitato consultivo per il controllo del tempo e del clima 8. Sull’altro fronte, nel 1948 Stalin annuncia il “Grande Piano per la trasformazione della natura” che indica il controllo del clima come obiettivo prioritario e nel 1961 il XXII Congresso del Partito comunista individua nell’ingegneria climatica e specificatamente nella rimozione della calotta di ghiaccio polare per ridurre il rigore delle temperature nel nord del paese tra i più urgenti problemi che la scienza sovietica doveva risolvere 9. Queste iniziative condotte dalle due maggiori potenze dell’epoca e, soprattutto, l’impiego di tecniche di cloud seeding da parte degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam tra il 1967 e il 1972, hanno indotto le Nazioni Unite a mettere a punto nel 1976 una apposita Convenzione per proibire progetti concernenti l’uso di tecniche per la modificazione dell’ambiente a scopo militare o comunque per finalità belliche, la Convenzione ENSOD 10.

Energia nucleare e Terraforming

In questo stesso periodo si afferma prepotentemente una nuova disciplina, l’ingegneria nucleare, che sembra offrire la possibilità di riplasmare il pianeta per soddisfare i bisogni dell’umanità e incidere sul clima del pianeta: un uso mirato delle esplosioni nucleari avrebbe permesso di realizzare canali e barriere naturali, creare, distruggere o spostare montagne, riprogettare interi territori. Lo scienziato nucleare Edward Teller nel 1956, fanatico propugnatore dell’uso dell’energia nucleare a scopi sia bellici che pacifici, ne ipotizzò l’uso per scavare un nuovo canale attraverso il deserto del Negev allorché l’Egitto si impossessò del Canale di Suez 11; anche l’occlusione dello stretto di Gibilterra era tra i progetti presi in considerazione come specifico rimedio agli effetti del cambiamento climatico sulle sponde del Mediterraneo 12.

A quella stessa epoca appartengono ricerche e progetti di Terraforming cioè l’uso di tecnologie idonee a rendere abitabile per l'uomo un pianeta o la luna, intervenendo sulla sua atmosfera in modo da renderla simile a quella della terra. Questa disciplina non è stata solo materia della letteratura fantascientifica, ma anche di una ragguardevole produzione scientifica a partire da uno scritto di Carl Sagan su Science avente ad oggetto le possibilità di modificare l’atmosfera di Venere per rendere il pianeta abitabile. 

Il sogno dell’ingegneria nucleare applicata al clima, frutto dell’eccesso di ottimismo tecnologico del dopoguerra, è durato meno di venti anni e, fortunatamente, non si è mai realizzato, risparmiando così all’umanità conseguenze e disastri dei quali i promotori e i governi che li finanziavano non si rendevano conto (pur avendo provocato in quegli anni non poche vittime e consistenti distruzioni ambientali)13. Ma, accantonate le sue più cruente e distruttive applicazioni, l’insorgere della necessità di contenere il cambiamento climatico ha offerto nuove basi e nuove prospettive ai progetti di controllo del clima.

I nuovi progetti: la geoingegneria

Si afferma così nei primi anni di questo secolo la geoingegneria, o ingegneria climatica, consistente nella ricerca e nella messa a punto di tecnologie volte a realizzare modifiche intenzionali dell’ambiente globale in modo da attenuare gli effetti del cambiamento climatico. Intenzionalità e globalità sono due caratteristiche importanti: la prima pone in evidenza la differenza di queste nuove tecniche dalle attività umane che in passato hanno prodotto mutamenti climatici non voluti, la seconda segna la differenza dai progetti e interventi localizzati o comunque territorialmente limitati sui quali ci siamo soffermati.

 
Note e bibliografia
Molti esempi sono descritti in Jared Diamond, Collasso, Einaudi 2005. Ci sono infatti periodi e zone ove lo sviluppo delle pratiche agricole provoca (in genere insieme con altri fattori concorrenti) il declino di intere popolazioni.
2 Ascesa e declino dell’impero dei sumeri sono descritti in Sandra Postel, Pillar of Sands: Can the Irrigation Miracle Last? Norton, New York 1999. Tutti i sistemi di irrigazione, per quanto sofisticati, sono destinati al declino, questa è l’importante lezione che offre il libro, scritto da una esperta del settore.
3 Sui pluviculturalisti si vedano James Rodger Fleming, "The pathological history of weather and climate modification: three cycles of promise and hype", in Historical Studies in the Physical Sciences, 3-25, 2006, in www.colby.edu/sts/06_fleming_pathological.pdf. Si vedano anche Basil John Mason, Clouds, rain, and rainmaking, Cambridge University Press, 1962 e Jeff Townsend, Making rain in America: a history, Lubbock, Texas Tech University Press, 1975.
4 Si veda H.P. Segal, Technological Utopianism in American Culture, Uni of Chicago Press 1985. Una rassegna delle proposte degli utopisti climatici statunitensi del XIX secolo, centrata sull’opera di uno dei più importanti di essi, Edward Bellamy, è in William B. Meyer, "Edward Bellamy and the Weather of Utopia" in Geographical Review, vol. 94 gennaio 1994, pagg. 43-54.
5 William Dean Howells, The Altrurian Romances, Indiana University Press 1968.
6 Maksim Gorky, "Sulla lotta contro la natura", in Gorky e la scienza: articoli, discorsi, lettere, raccolti da N.Petrov, citato da William Meyer, pag. 45.
7 David W. Keith, "Geoengineering the climate: history and prospect", in Annual Review of Energy and Environment n. 25, pagg. 245 e segg., 2000.
8 Sulle ricerche e gli esperimenti di cloud seeding si veda James R. Fleming, "Fixing the weather and climate: military and civilian schemes for cloud seeding and climate engineering" in Lisa Rosner (a cura di), The technological fix: how people use technology to create and solve problems, New York, 2004, pagg. 175-200.
9 Nell’anno che precede il Congresso due scienziati Nicolai Petrovich Rusin and Lila Abramovna Flit Rusin pubblicano un’opera (Man versus climate, Mosca 1960) che riscuote grande successo e prospetta i progetti realizzabili nel prossimo futuro, tra cui quelli collegati al controllo del clima. Lo scioglimento dei ghiacci polari per l’utilizzo a scopo agricolo, minerario e di trasformazione climatica della zona artica del Polo Nord è oggetto già nel 1889 di uno dei meno noti romanzi di Jules Verne, L’acquisto del Polo Nord. Il progetto fallisce e Verne conclude il suo libro “Gli abitanti del mondo non dovettero più preoccuparsi”. Come si vede, non è detto.
10 La Convenzione sulla proibizione dell’uso militare o di qualsiasi altro uso ostile delle tecniche di modificazione dell’ambiente, c.d. Convenzione ENSOD, definisce le modificazioni dell’ambiente come “le tecniche per modificare, per mezzo di manipolazioni intenzionali dei processi naturali, le dinamiche, la composizione e la struttura della terra, compreso il biota, la litosfera, l’idrosfera, l’atmosfera e lo spazio”. Il testo della Convenzione può essere consultato in www.un-documents.net/enmod.htm. Sulla Convenzione si veda Lawrence Juda, "Negotiating a treaty on environmental modification warfare: the Convention on environmental warfare and its impact upon arms control negotiations", in International Organisation, pag. 975, 1978. Sulle operazioni di guerra climatica condotte dagli Stati Uniti in Vietnam si veda James R. Fleming, "The climate engineers" in The Wilson Quarterly, primavera 2007, pag.46, in www.wilsonquarterly.com/article.cfm?aid=973.
11 In effetti nel settembre del 1957 fu portato a termine un test denominato Plumbbob Rainier: fu fatta esplodere una bomba nucleare di 1,7 kilotoni nel deserto del Nevada che distrusse uno strato roccioso e produsse un cavità di circa 60 metri, dimostrando secondo gli scienziati che l’energia nucleare avrebbe potuto essere usata per ridisegnare il territorio. Un resoconto affascinante del mito dell’uso dell’energia nucleare per scopi di geoingegneria è nel libro di Seife, Sun in the bottle, Penguin 2008.
12 L’idea è stata rilanciata negli anni Novanta: R.G. Johnson, "Climate control requires a dam at the Strait of Gibraltar" in EOS, 277-281, 1997.
13 Sulla storia e lo sviluppo della terraforming si veda Keith, cit., pag. 253 e più ampiamente Martin J. Fogg, Terraforming: engineering planetary environments, Warrendale PA, 1995. L’articolo di Carl Sagan, "The planet Venus" è in Science 1961, pagg. 849–58, seguito nel 1973 da un analogo articolo sull’adattamento dell’atmosfera di Marte: Carl Sagan, "Planetary engineering on Mars" in Icarus 1973, pagg. 513–14.

 


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