fbpx alberi | Scienza in rete

Un "Bosco Nuovo" dopo la tempesta Vaia

Primary tabs

Tempo di lettura: 5 mins

Piantare alberi o far rinascere le foreste? Intervenire o lasciar fare alla natura? Dipende. Dipende dalle ragioni a monte e dallo scopo a valle, dipende dalle modalità e dalle persone coinvolte, dipende dalle piante che si sceglie di mettere a dimora e dal luogo in cui lo si vuole fare. 

«Quando ci troviamo a dover fare valutazioni di questo tipo ci sono molti fattori critici», commenta Andrea Maroè, fondatore e responsabile scientifico della Giant Trees Foundation Onlus, mentre tiene una piantina di abete bianco in mano. In attesa dell’anniversario del passaggio della Tempesta Vaia (26-30 ottobre 2018), il 16 ottobre decine di persone si sono ritrovate a Passo Pura, nei pressi di Ampezzo (Udine), per piantare un migliaio di piccoli alberi tra abeti, faggi e aceri nei terreni distrutti. 

I progetti dopo la tempesta

Fai Nascere un Bosco Nuovo, ormai alla sua terza edizione, è uno dei progetti cardine della fondazione ed è nato proprio con l’intenzione di ripristinare una parte dei danni causati dal vento e dalla pioggia di fine ottobre 2018 sulle Alpi Orientali, tra Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto-Adige, Veneto e Lombardia. Le attività si concentrano soprattutto sulle Alpi Carniche Occidentali e sono di due tipi: divulgative e di ricerca. 

«Il fatto che una delle perturbazioni più intense degli ultimi anni abbia spazzato via intere foreste in pochi giorni dovrebbe farci riflettere profondamente. Per questo abbiamo deciso di coinvolgere le comunità della zona e di richiamare l’impegno e la volontà anche di chi è lontano e certe scene le ha viste solo attraverso uno schermo», spiega il dottor Maroè. «Queste giornate sono simboliche, ma non vogliono essere un semplice ricordo né uno spaventoso monito. Piuttosto aspirano a essere un patto per il futuro».

Già nel 2017 Karen D. Holl, dell’Università della California, scriveva su Science che gli interventi di riforestazione imposti dall’alto hanno poca probabilità di successo, soprattutto sul lungo periodo. Senza la cooperazione delle comunità locali, che dovrebbero prendersi cura dei nuovi impianti nelle fasi più critiche della crescita, le piantine non riescono a diventare alberi maturi e di conseguenza non sono in grado di espletare le proprie funzioni (per esempio sequestro del carbonio e protezione sia della biodiversità che del suolo). 

È proprio guardando avanti nel tempo che la Giant Trees Foundation, in collaborazione con l’Università di Udine, sta pianificando dei campi sperimentali per verificare quanto effettivamente l’intervento dell’uomo possa aiutare la natura a rinascere. «In un primo momento, subito dopo un disastro come Vaia, la nostra presenza può provocare ulteriori danni»: il passaggio di mezzi pesanti per il recupero del legname sparso e della rimozione delle ceppaie compatta il suolo e lo priva di ossigeno – condizioni che impediscono agli alberi di crescere e aumentano il rischio di perdere il suolo. E, a detta di Maroè, «se perdi il terreno buono non pianti più niente per migliaia di anni».

«Per fortuna, anche stavolta la natura ha delle carte da giocare e sono le cosiddette erbacce, ovvero piante infestanti che hanno bisogno proprio di pochi nutrienti e tanto sole per crescere». L’idea è quella di lasciare che le erbe colonizzino il terreno disturbato in modo da trattenerlo e cominciare successivamente con le sperimentazioni: da una parte lasciare che la natura compia il suo corso, dall’altra mettere a dimora alcune piante. 

Seguendo un approccio closer-to-nature, si dovrebbero piantare specie in grado di sovrastare le erbacce, privandole della luce necessaria alla loro sopravvivenza, trattenere il terreno e soprattutto fertilizzarlo. Questi passaggi sono fondamentali per permettere al suolo di accogliere nuovamente le specie forestali autoctone. «In trent’anni avremo ricostituito la foresta, senza aspettare un secolo e mezzo. Facendo cosa? Imitando quello che, più lentamente, farebbe la natura», afferma soddisfatto Maroè.

Il sogno verde dell’Ue

Valutazioni di questo tipo saranno fondamentali per la gestione delle azioni di riforestazione previste per gli anni a venire e destinate a crescere. Uno degli obiettivi più ambiziosi della Nuova Strategia Forestale Europea per il 2030, presentata lo scorso luglio come parte del pacchetto climatico Fit for 55, è proprio la messa a dimora di 3 miliardi di alberi entro i prossimi due decenni in tutta l’Unione. 

Sebbene la comunità scientifica concordi sul fatto che nuove foreste possano contribuire a contrastare il riscaldamento globale, c’è il rischio che l’entusiasmo generato da simili iniziative superi il valore scientifico delle prove a loro favore. 

«Il rimboschimento diventa un problema quando viene proposto come soluzione semplice, immediata e sufficiente. Spero che i piani futuri non prevedano la piantumazione indiscriminata di alberi», commenta Giorgio Vacchiano, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Milano. E il principio guida dichiarato nel documento della Commissione Europea pare assicurarlo: bisogna piantare, e far crescere, l'albero giusto, nel luogo giusto e per il giusto scopo.

Oltre alle foreste preesistenti, infatti, sono stati designati come potenziali siti target i terreni agricoli (soprattutto se in disuso o convertibili in agroforestali), le zone urbane e peri-urbane, quelle abbandonate o marginali e anche le aree degradate in seguito a fenomeni violenti – quali incendi, tempeste, uragani e alluvioni.

«È importante agire in maniera mirata soprattutto in questi ultimi casi, individuando le zone sottoposte a maggiori rischi idrogeologici e quelle che hanno riportato i danni più profondi, dove la ripresa spontanea sarebbe molto lenta», spiega Vacchiano, descrivendo l’approccio già adoperato per la gestione delle superfici boschive piemontesi colpite dai massicci incendi dell’ottobre 2017. 

L’espansione delle foreste e la rigenerazione degli alberi sono processi che avvengono naturalmente; tuttavia, intervenire su terreni disturbati e impoveriti potrebbe essere vantaggioso: per esempio, creare le condizioni adatte perché si verifichino può garantire alla natura stessa il ruolo di “piantatrice” e “crescitrice”. Infatti, nonostante la deforestazione sia uno degli emblemi dell’Antropocene, in alcune zone del mondo, tra le quali l’Europa, le foreste si stanno espandendo da sole: in Italia occupano il 40% circa del territorio e assorbono quasi il 10% dei gas serra emessi dall'uomo. Ma perché matengano e magari aumentino questa loro funzione, le foreste andranno difese e gestite con attenzione naturalistica, proprio come si sta facendo in questo "Bosco Nuovo". 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Solo il 3,5% delle città europee monitorate ha una buona qualità dell’aria

Inquinamento atmosferico cittadino

Solo 13 città europee tra quelle monitorate su 370 circa rispettano il limite OMS di 5 microgrammi per metro cubo annui di PM2,5. La svedese Uppsala è la prima. Nessuna di queste è italiana. Nonostante la qualità dell'aria e le morti associate sono in continuo calo in Europa, serve fare di più.

Immagine: Uppsala, Lithography by Alexander Nay

La maggior parte delle città europee monitorate non rispetta il nuovo limite dell’OMS del 2021 di 5 microgrammi per metro cubo all’anno di concentrazione di PM2,5. L’esposizione a particolato atmosferico causa accresce il rischio di malattie cardiovascolari, respiratorie, sviluppo di tumori, effetti sul sistema nervoso, effetti sulla gravidanza.