In ritardo rispetto agli altri paesi ma ce l'abbiamo fatta: dall'8 novembre 2016 anche l'Italia si è dotata di una banca del DNA, come stabilito nel lontano 2005 con il Trattato di Prüm, sottoscritto da Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria - e dall'Italia nel 2009 - con lo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale. Un trattato che prevedeva fra le altre cose anche l'istituzione di una Banca Dati Nazionale del DNA in seno alle forze di Polizia e di un Laboratorio centrale.
Non dobbiamo pensare a questa nuova banca come un grande laboratorio: qui non ci sono né provette, né scienziati in camice bianco. Si tratta di un cervellone elettronico che si trova nei pressi di Rebibbia, a Roma, dove sono – anzi saranno, dal momento che il processo di inserimento si concluderà verso fine anno – stoccati tutti i codici relativi ai DNA sequenziati provenienti da una decina di laboratori accreditati che si occupano in Italia di eseguire le analisi sui campioni di DNA raccolti dalle forze dell'ordine nell'ambito delle loro indagini. Un server insomma, che raccoglie i codici dei DNA sequenziati, che vengono poi messi in rete in modo da rendere più facile lo scambio di informazioni - il famoso match genetico di cui si sente tanto parlare nelle trasmissioni televisive – nell'ambito di indagini giudiziarie. “Ancora il numero preciso non lo sappiamo, anche perché completeremo l'inserimento di tutti i codici provenienti dai vari laboratori entro fine anno, ma si parla di alcune decine di migliaia di codici stoccati ” ci spiega Andrea Lenzi, Presidente del Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita, attivo dal 1992 e che è stato scelto quale organo per garantire l’osservanza dei criteri e delle norme tecniche per il funzionamento del Laboratorio centrale per la Banca Dati.
Nessun Grande Fratello
“È evidente quindi che non si tratta di uno scenario orwelliano, non siamo davanti a nessun tentativo di schedare la popolazione raccogliendo campioni di DNA” ci tranquillizza Lenzi. “Le analisi svolte dagli esperti potranno riguardare solo segmenti non codificati del genoma umano, vale a dire quelli dai quali non siano desumibili informazioni sulle caratteristiche del soggetto analizzato, come per esempio le malattie” precisa Lenzi. Ma soprattutto, paradossalmente, la Banca del DNA è anonima, cioè ogni codice relativo al profilo genetico sequenziato di una persona è identificato con un codice. Nessun nome e cognome, ma solo un token per la codifica, in mano a una decina di persone in Italia, che vengono interpellate qualora l'informazione servisse ai fini di un'indagine.
“Il valore di questa banca dati è quello di aver finalmente messo un po' d'ordine mettendo in piedi una struttura dove confluiscono le informazioni utili a identificare il colpevole di un reato - prosegue Lenzi – in modo più rapido rispetto alle procedure richieste finora, soprattutto quando ci sono di mezzo altre nazioni”. I profili presenti nella banca dati sono infatti inseriti nel Sistema CODIS (COmbined DNA Index System), una piattaforma software fornita dall’FBI alla Direzione centrale della polizia criminale, al Dipartimento della pubblica sicurezza e al Ministero dell’interno, che permette di raccogliere, raffrontare e consultare i profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati.
A chi può essere prelevato il DNA
La Banca Dati prevede al suo interno tre database distinti e indipendenti l'uno dall'altro: il primo per il DNA proveniente da scene del crimine, il secondo per le persone scomparse e i resti cadaverici, e un terzo per tutti gli altri casi previsti dalla legge.
I profili possono provenire infatti da diverse fonti: dal Laboratorio Centrale, che ha sede anch'esso a Roma, che a sua volta estrae i profilo genetico da campioni biologici prelevati dagli Uffici territoriali delle Forze di Polizia per i soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo, o dal Corpo di Polizia Penitenziaria, nel caso dei detenuti. La Banca può ricevere i codici di DNA codificato acquisiti sulle scene del crimine e riguardanti persone scomparse, consanguinei, cadaveri o resti cadaverici non ancora identificati. E ancora, essa può ricevere dal nucleo scientifico della Polizia penitenziaria di Roma il DNA dei soggetti ai quali sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari, dei soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto, dei soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo, dei soggetti nei confronti dei quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo, e quello dei soggetti ai quali sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva.
A tutti è nota la triste vicenda che si è consumata a Brembate pochi anni fa a danno di una ragazzina minorenne, balzata alle cronache per aver coinvolto un'intera comunità, a cui è stato chiesto di sottoporsi a esame del DNA per identificare la familiarità del DNA dell'assassino. “È bene precisare che in questi casi – che di certo non sono la norma – i profili delle persone non coinvolte vengono immediatamente distrutti dopo essere stati analizzati” spiega Lenzi. “Non ne rimane traccia nei nostri archivi.”
La Banca Dati è utile soprattutto nei fenomeni di recidiva, perciò è importante che i dati siano conservati per un numero congruo di anni. E’ stato previsto dalla legge, dunque, un termine massimo di 40 anni per la conservazione dei profili del DNA e un termine massimo di 20 anni per la conservazione dei campioni biologici. Nella pratica tuttavia, i campioni biologici saranno distrutti 8 anni dopo il prelievo, a causa del loro deterioramento. In caso di assoluzione con sentenza definitiva di un soggetto, verranno immediatamente distrutti sia il profilo del DNA che il campione biologico che lo riguardano. La Banca può conservare anche il DNA proveniente da oggetti appartenuti a persone scomparse (indumenti, spazzolino, pettine, etc.) utili a una eventuale identificazione se dovessero ricomparire, così come nei casi di ricongiungimento famigliare. “Se non vi è reato, si tratta di una misura ovviamente facoltativa” conclude Lenzi.
@CristinaDaRold