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Animalismo e pallottole

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La sperimentazione animale, ovvero la liceità di usare animali per la ricerca è, almeno da metà Ottocento, un tema fortemente divisivo. Qualche tempo fa, abbiamo scritto un articolo a proposito delle minacce inviate a un ricercatore torinese nella forma di una lettera accompagnata da una pallottola, che era la deriva delinquenziale di forti critiche per l'uso di macachi nel contesto di un esperimento approvato dai comitati etici interessati.

I nostri argomenti miravano a separare le forme patologiche dell'animalismo da quello rispettabili, ma a parer nostro incoerenti, fino a quelle invece fondate scientificamente e che supportano il cosiddetto welfare animale. Il nostro intervento ha suscitato numerose reazioni, tra le quali quella di un giovane saggista e filosofo, il quale mentre dice di non essere un talebano, ci accusa di falsità, abusi, ignoranza e altre nefandezze, inanellando una serie di argomenti dai quali si evince come, molto spesso, l’attivismo emotivo si accompagni al pensiero motivato, inducendo in errori e fallacie logiche degne di un terrapiattista. L’emotività del nostro interlocutore è tale da arrivare fino al turpiloquio scritto: noi, invece, siamo di una generazione ancora educata a ritenere la volgarità un segno di immaturità intellettuale, a rispettare le persone, evitando di confonderle con le idee che difendono e ad aver cura della precisione lessicale e del controllo della validità e coerenza degli argomenti. Ci ha pertanto spiazzati la reazione scomposta di Caffo al nostro articolo intesa più a marcare il territorio che a cercare il confronto intellettuale.

Sorvoliamo poi sui giudizi espressi gratuitamente, che sono caratteristici di chi difende sentimentalmente delle tesi che non hanno alcuna base logico-razionale, e comunque pretende di avere ragione anche su quest’ultimo piano. Peraltro, al contrario del giovane e turpiloquente filosofo, uno di noi (GC) ha fatto parte di una commissione etica sulla sperimentazione animale, mentre l’altro (EB) è stato esperto di bioetica per una delle maggiori e più antiche società mediche scientifiche europee. Entrambi abbiamo avuto un’esperienza molto diversa da quella di Caffo: non ci è venuto in mente di universalizzare la nostra esperienza personale (come Caffo fa), ma ci siamo documentati scoprendo che nella comunità scientifica e medica, come in quella umana in generale, è di gran lunga prevalente l’attenzione per il benessere animale – come peraltro le norme nazionali e internazionali dei Paesi occidentali documentano abbondantemente. Passiamo quindi a valutare le affermazioni che Caffo fa, lasciando da parte i suoi insulti.

Innanzitutto, nonostante quanto scrive in merito, ci sembra quanto meno improbabile che Caffo abbia una comprensione profonda del darwinismo, e in specie delle posizioni del suo fondatore, dato che lo stesso Darwin era favorevole alla sperimentazione animale, avendo scritto che chi “ritarda i progressi della fisiologia commette un crimine contro l’umanità” (Il Darwin Corrispondence Project ricostruisce in dettaglio la posizione di Darwin nella controversia sulla vivisezione che si scatenò nel 1874 in Gran Bretagna). Non ci vorrebbe poi molto a capire che la spiegazione evoluzionistica della vita non piega di certo a favore delle tesi animaliste, visto che la sopravvivenza delle specie non è una questione di pari diritti e di rispetto fra le specie, quanto di fitness; ma gli autoinganni umani sono potenti e i filosofi sono più bravi della Regina Rossa, riuscendo a credere anche più di sei cose impossibili prima di colazione.

Rispetto all’animalismo di Hitler e dei gerarchi nazisti, per cui Caffo ci accusa di falsità, rispondiamo che non sappiamo dove lui abbia studiato la questione, ma gli consigliamo, prima di interloquire con noi sull’argomento, di documentarsi leggendo almeno il libro di Boria Sax, “Animals in the Thrird Reich: Pets, Scapegoats, and the Holocaust” (2000). Imparerà cose che ignora del tutto, e scoprirà che a non sapere di che si parla è lui.

Passando ad altro argomento, Caffo non ha la minima idea di cosa sia la “coscienza” (l’autocoscienza meglio lasciarla perdere) e dei termini tecnici della discussione se gli animali non umani abbiano un qualche tipo di coscienza; questione che non decidono più i filosofi ma i neuroscienziati. Sarebbe lunga cercare di spiegargli un tema complesso in poche righe, ma se ha intenzione di documentarsi uno di noi (GC) ha firmato insieme a Chiara Lalli un libro intitolato “Cavie? Sperimentazione e diritti animali”, ove troverà ampia discussione in merito.

Caffo scrive in modo agitato, forse perché si trova su un aereo. Non sa che il suo peana al volo aereospaziale e alla scienza si schianta contro la contraddittorietà (altro che analfabetismo funzionale di cui ci accusa senza sapere cosa sta dicendo!) delle sue tesi. Perché se si dice che la scienza deve progredire, libera dai lacci economici (ma anche politici), allora si deve lasciare che i metodi per il controllo empirico dei fatti siano usati al meglio. Anche in biologia e medicina, non solo per andare su Marte – anche il volo spaziale è stato inaugurato da animali mandati in orbita per preparare le spedizioni umane che sono seguite. Caffo fa ricorso, come d’abitudine i cattivi filosofi e per chi pratica il settarismo, a varie fallacie argomentative, in particolare attacchi ad personam e richiami all’autorità.

Ciò che hanno detto Singer o Einstein è irrilevante e fuori contesto, oppure francamente inutile per stabilire se la dottrina dei diritti degli animali abbia senso, già solo per il fatto che qualunque diritto si negozia; ma su questo, naturalmente, non intendiamo discutere con chi conclude con l’insulto un suo attacco su una pagina di un’associazione antivivisezionista in tempi in cui la vivisezione è proibita. Di Singer, peraltro, si ricordano le petizioni promosse dalle associazioni per i diritti dei disabili per la sua rimozione da Princeton, le quali censuravano le affermazioni dell’accademico sull’interrompere la vita dei bambini con disabilità e sul non voler pagare un premio di assicurazione sanitario troppo alto a causa delle cure necessarie ai disabili; affermazioni curiose invero in chi afferma che le azioni etiche debbano minimizzare il male per il massimo numero di esseri senzienti. Ma tant’è, ognuno si sceglie i maestri etici che preferisce. Per quel che riguarda la citazione che Caffo attribuisce a Einstein, vale la pena riprendere integralmente il suo pensiero. Caffo scrive:

Fa dunque impressione leggere da due persone così colte e preparate nei loro mestieri, un abuso così sconsiderato di luoghi comuni e inesattezze; per dirla con Einstein, “potete insultarci, denigrarci, essere in disaccordo con noi. Ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarci: perché facciamo le cose, perché facciamo progredire l’umanità”. Io penso a un mondo in cui scienza ed etica si tengono davvero insieme, senza proiettili ma anche senza stronzate. Cari Bucci e Corbellini, con le argomentazioni quando volete

In verità, ciò che fa impressione in questo caso non è solo il ricorso al principio di autorità, ma il fatto che chi ci accusa di abusare di luoghi comuni stia attribuendo ad Einstein una dichiarazione che riecheggia quella di una famosissima pubblicità della Apple, la quale, mentre sullo schermo scorrevano le immagini di Einstein, Luther King, Branson e altri recitava pressappoco così: “Questo messaggio lo dedichiamo ai folli. Agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità”.

Sui social, questa frase è stata attribuita a Ghandi, a Einstein e ad altri; e chi di social e immagine vive, non si perita di certo di controllare le fonti. Altrove, il giovane e turpiloquente filosofo ci chiede: “Se eticamente è ingiustificato abusare di una vita cosciente quale che sia lo scopo tutto, semplicemente, si deve fermare. Non è così?”.

La nostra risposta, e quella di tutta la comunità di chi è solidale con i malati, è molto semplice: trattasi non di abuso etico, ma di sacrificio purtroppo ancora indispensabile, come ormai da tempo assodato da chiunque abbia concetti di etica e solidarietà umana non così distorti da affermare che la vita di un bambino malato non valga quella di una cavia. Se la vita di una scimmia o di un ratto valga più o meno di quella di un bambino andrebbe deciso sulla base di valutazioni caso per caso che bilancino i costi e i benefici sociali e individuali, non introducendo artificiosi concetti generali o ascoltando sentimenti ed etica pericolosamente fluttuanti fra gli individui, il tempo e lo spazio. Se si volesse riconoscere unilateralmente agli animali la totalità dei diritti della persona, inventati dall’uomo (non certo preesistenti a esso), a prescindere da quello che gli esseri animali possano afferrare e come forma pelosa di antropocentrismo, ci si dovrebbe confrontare con le numerosi discussioni di diritto che limitano l’entità e la qualità dei diritti che ha senso applicare agli animali, invece di accettare rozzamente l’ingenua idea che gli animali siano persone per diritto preesistente alla logica giuridica e al legislatore umano.

Dire che gli animali sono portatori di diritti, a prescindere dalla decisione umana, è come credere alla terra piatta – oppure come essere attaccati a un platonismo in ritardo di qualche millennio, che ipotizza l’esistenza del diritto al di là dell’uomo. Che di questo si discuta in qualche università non è garanzia di fondatezza del concetto. Del resto, in certe università si insegnano ancora come scienza o come verità la psicoanalisi, la teologia, l’omeopatia, l’agopuntura tradizionale cinese. Le università, come i filosofi, sono libere di insegnare quello che preferiscono, dato che rispondono anche a delle domande culturali che vengono dalla società; l’importante è saper distinguere il contenuto di verità di una certa dottrina fondandosi su metodo scientifico e logica razionale, senza lasciarsi motivare dal senso estetico, emotivo, religioso.

Fortunatamente per gli animali, inclusi quelli umani, quanto abbiamo qui ribadito è largamente condiviso dalla comunità scientifica, che difatti ritiene nella sua massima parte la sperimentazione animale ancora -ahinoi – irrinunciabile.

 


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