fbpx Ambrosia, in aumento il rischio di allergia | Scienza in rete

Ambrosia, in aumento il rischio di allergia

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Ambrosia artemisiifolia

Dalla famiglia delle Asteraceae, l’ambrosia non è soltanto capace di provocare una tremenda allergia con rinite, congiuntivite, asma e dermatiti, ma è anche una pianta infestante. All’inizio del secolo i suoi semi sono arrivati via mare, a bordo delle navi cariche di granaglie per uccelli, dal Nord America in Europa. Qui hanno trovato un terreno fertile in cui crescere, diffondendosi in Ungheria, nei Balcani e dai primi anni 2000 anche in Italia, soprattutto nella pianura padana. L’ambrosia è una pianta pericolosa per noi e l’ambiente. Un pericolo, che però, non nasce in natura, ma vede nell’attività dell’uomo e nei cambiamenti climatici le principali cause. La responsabilità ancora una volta è nostra, ma possiamo imparare a proteggerci.

L’innalzamento delle temperature e delle concentrazioni di CO2 favoriscono la crescita e la produzione di polline di ambrosia. E come se questo non bastasse, bisogna considerare anche l’impatto dell’inquinamento sui suoi effetti. Agenti inquinanti, come l’ozono (O3) o il biossido di azoto (NO2) agiscono direttamente sul polline e lo indeboliscono, favorendo il rilascio degli allergeni. L’inquinamento, quindi, aggrava la situazione in due modi, sia aumentando le temperature e la crescita della pianta, che rendendo ancora più pericolosi i pollini prodotti. Le conseguenze sulla salute delle persone sono evidenti. Oggi, in Europa, 33 milioni di persone sono sensibili al polline dell’ambrosia, ma i ricercatori stimano che raddoppieranno nel giro di quarant'anni. Al proseguirsi di inverni secchi e caldi, si prevede una maggiore diffusione della pianta in aree non ancora sensibili al rischio come la Francia e la Germania. Insieme a un aumento della gravità dei sintomi, dovuto a concentrazioni più alte di polline per tempi più prolungati.

Intuitivamente, i soggetti allergici sono quelli più a rischio per i sintomi da ambrosia, soprattutto nelle grandi città, dove sono maggiori le concentrazioni di CO2 ed è maggiore la diffusione della pianta. Se l’ambrosia sarà tra le specie più adatte per sopravvivere ai cambiamenti climatici, l’uomo sarà più vulnerabile e dovrà imparare a riconoscere i rischi e limitarli. Bisogna sapere che l’unico modo per contrastare la diffusione della pianta è evitare che fiorisca e produca i suoi pollini, la cui massima dispersione avviene tra agosto e ottobre. Con un inverno mite bisogna considerare che la germinazione può iniziare già a metà marzo e giocare d’anticipo, prima della fioritura estiva. Si deve estirpare la pianta nelle prime fasi di vita, quando le radici sono debolmente attaccate al terreno. Ordinanze comunali del nord Italia, infatti, stabiliscono le modalità e i periodi in cui effettuare i tagli della pianta. Con la Lombardia in prima linea, i comuni delle aree soggette si sono attrezzati con progetti di comunicazione del rischio e operazioni di bonifica delle aree pubbliche. Per quanto riguarda le aree private, i sindaci si rivolgono direttamente ai proprietari terrieri, chiedendo di recidere le piante di ambrosia con massimo scrupolo. I cittadini delle zone esposte, invece, possono monitorare ogni settimana i bollettini pollinici sui volantini ATS del proprio comune. Nei mesi di fioritura tra luglio e ottobre è richiesta una particolare attenzione. Poche e chiare regole: evitare il più possibile i luoghi all’aperto, tenere le finestre di casa chiuse e lavare spesso i vestiti. All’apparenza sembrano piccoli accorgimenti, ma diventano cruciali per evitare lo scatenarsi di una reazione allergica. E ritornano utili anche per difendersi dagli effetti di altre piante allergeniche. Tra queste, è stato rilevato un aumento nell’aria anche dei pollini di betulle e cipressi nel nord Italia.

Reazioni allergiche ed effetti collaterali sono problemi reali e sempre più attuali con l’aumentare degli effetti dei cambiamenti climatici. E imparare a comprendere la realtà che cambia attorno a noi potrebbe fare la differenza. Mentre l’ambrosia per gli antichi greci era il cibo degli dei, che aveva il potere di donare l’immortalità, per noi è uno dei tanti pericoli da cui imparare a difendersi.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.