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Ambiente e salute, relazione pericolosa

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I rapporti fra ambiente e salute sono sempre stati controversi, scivolosi, fonti di innumerevoli polemiche e questioni. Hanno coraggio, e fanno bene, i tre autori di un nuovo libro su tema a definire " a rischio" tale relazione (Fiorella Battaglia, Fabrizio Bianchi, Liliana Cori, Ambiente e salute: una relazione a rischio. Riflessioni tra etica, epidemiologia e comunicazione, Il Pensiero Scientifico editore, 2009). Ricordo Lorenzo Tomatis, intervistato da me per un difficile rapporto sul tema cancro e ambiente, che mi ricordava di tenere una visione ampia sul tema "ambiente", in modo da ricomprendere soprattutto la matrice alimentare, ma anche di non escludere del tutto una serie di aspetti come il fumo che a suo dire non erano interamente riconducibili a una dimensione di puro stile di vita individuale. Così, la componente "ambiente" degli effetti sulla salute, lievitava - per esempio sui tumori - a ben più del 50%. A questo si opponeva la famosa stima di Richard Doll che dava pochi spiccioli percentuali alla causazione ambientale delle malattie neoplastiche, operando una rigidissima divisione fra stili di vita individuali e fattori ambientali fisici esterni. Tempi passati. E bene lo spiega il libro scritto a tre mani da un epidemiologo ambientale (Fabrizio Bianchi) una filosofa (Fiorella Battaglia) e una esperta di comunicazione (Liliana Cori), in cui ci si perita di intrecciare due livelli di discorso: la narrazione di come è cambiata, sta cambiando la scienza - e in particolare l'epidemiologia - per cogliere la difficile sfida di misurare e restituire le vie invisibili e sottili della relazione fra ambiente e malattia, con una scansione di storie tematiche di casi ambientali paradigmatici: dalla "munnezza" campana alle onde di Radio vaticana; dalle vertenze sugli inceneritori alle azioni sui pesticidi.

Gli autori fanno una scelta di campo negando la possibilità di restare ancorati a una scienza che affronti l'intreccio salute-ambiente in chiave riduzionistica. La parte epistemologica del libro sgombra il campo anche dalle nostalgie popperiane che vorrebbero prescrivere in epidemiologia ambientale un approccio strettamente falsificazionista, laddove la natura stessa degli studi epidemiologici osservazionali e a carattere, come si suol dire, ecologico, suggerisce di adottare una logica diversa, basata sull'incremento di osservazioni in cui il ricercatore è consapevole di essere parte del processo. Più Bayes, quindi, che Popper (che infatti criticava aspramente il soggettivismo dell'abate). E' la cosiddetta scienza post-normale, per alcuni perigliosamente vicina alle scienze sociali e umane, ma con la consapevolezza di un metodo che viene comunque dalla grande tradizione degli studi epidemiologici fissato una volta per tutte da Hill con i suoi criteri di causazione (consistenza, forza, specificità, relazione dose-risposta, relazione temporale, plausibilità biologica). Ad evitare il puro arbitrio dell'epidemiologia selvaggia che procede col piglio giustizialista del pistolero texano, il quale prima spara, poi disegna il bersaglio intorno al foro d'ingresso della pallottola. Il metodo, la primaria formulazione di ipotesi da verificare, resta la stella polare.

Sempre sul metodo, gli autori aprono a una nuova eco-epidemiologia che va però oltre il modello della "scatola nera" della tradizionale ricerca epidemiologica formatasi sul modello delle malattie infettive, dovendosi qui cimentare soprattutto con il campo sterminato, multifattoriale, "spurio" delle malattie croniche. La sfida è adottare una nuova prospettiva, delle "scatole cinesi", tesa dunque a dipanare la matassa della malattia nei suoi fili socio-ambientali-molecolari attraverso una ricerca potenzialmente infinita, mai scivolando sul piano colpevolizzante dei meri stili di vita individuali. Analisi dei contesti, dunque, con una particolare attenzione ai temi delle diseguaglianze, quindi anche alle suscettibilità dei gruppi più deboli (bambini, anziani, ceti sociali bassi).

I soggetti di una ricerca non sono più topolini ma uomini e donne in carne e ossa, molto poco astratti, che oltre ad autorappresentarsi socialmente dicono anche la loro ed esigono risposte dal ricercatore. Non solo: vanno anche in tribunale, fanno causa, e di nuovo chiamano il ricercatore magari come perito per l'accusa.

Il libro racconta questo garbuglio, non fa finta di niente, e lo affronta con gli strumenti dell'etica, della filosofia e della scienza della comunicazione. La soluzione proposta è una scienza partecipata che recupera il messaggio di Giulio Alfredo Maccacaro dell'indissolubilità di epidemiologia e prevenzione, e che più modernamente iscrive la disciplina nel filone dell'etica della sostenibilità, del principio di precauzione, e che si spinge a immaginare strumenti partecipativi in cui scienziati, istituzioni e cittadini collaborano a orientare le politiche ambientali con adeguati metodi di valutazioni preventive di impatto sanitario.


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