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8 maggio 2019
a cura di Chiara Sabelli
Deforestation near Lieki, DRC. Credit: Axel Fassio/CIFOR.
Gli esseri umani stanno modificando gli ecosistemi terrestri in modo così radicale da aver accelerato il declino della vita sulla Terra a una velocità senza precedenti. Lo afferma il più dettagliato studio condotto finora sullo stato di salute della biodiversità condotto dall'Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services su mandato delle Nazioni Unite. Il tasso di estinzione di specie animali e vegetali è, oggi, da dieci a cento volte la media osservata nei passati 10 milioni di anni. La biomassa dei mammiferi selvatici è diminuita dell'82% a partire dall'età preistorica e circa un milione di specie sono a rischio di estinzione. La causa è largamente riconducibile all'attività umana. Agli effetti dell'allevamento intensivo, dell'agricoltura e dell'estrazione delle risorse naturali, si sommano ora quelli del cambiamento climatico. L'impatto della perdita di biodiversità sulla popolazione umana riguarderà la disponibilità di acqua potabile, la sicurezza alimentare, l'instabilità climatica. Emerge una situazione estrema dal rapporto che è stato approvato da tutti gli stati membri nelle scorse settimane per poter pubblicare il "Summary for policy makers". Nel rapporto sono contenute delle possibili soluzioni che richiedono di tenere presente la conservazione della biodiversità nelle politiche sugli scambi commerciali, di pianificare investimenti massivi nella riforestazione e nella costruzione di infrastrutture verdi e anche cambiamenti radicali nei comportamenti individuali, come diminuire il consumo di carne e di beni materiali. Nell'immagine: deforestazione vicino Lieki nella Repubblica Democratica del Congo. Credit: Axel Fassio/Center for International Forestry Research Center for International Forestry Research. Licenza: CC BY-NC-ND 2.0.
LA TRANSIZIONE VERSO UN MONDO BASSE EMISSIONI DI CO2
Il Parlamento britannico ha approvato all'unanimità una mozione che dichiara lo stato di emergenza climatica. Proposta dal leader del partito laburista Jeremy Corbyn, la mozione arriva dopo settimane di scioperi e proteste da parte di vari movimenti giovanili che hanno bloccato strade e ponti a Londra. Nel suo discorso Corbyn ha affermato che con le politiche correnti l'obiettivo di neutralizzare le emissioni di anidride carbonica non verrebbe raggiunto che alla fine del secolo, troppo tardi per evitare di consegnare alla generazione dei giovani che manifestano un pianeta morente. È necessario rendere possibile una risposta collettiva e non delegare all'iniziativa dei singoli individui. La speranza è che il Parlamento britannico inneschi una serie di iniziative in altri Parlamenti del mondo [The Guardian; Peter Walker]

La transizione a un'economia a basse emissioni comporta un cambiamento fondamentale nelle politiche energetiche e dunque negli equilibri geopolitici. Su Nature quattro esperti di politica internazionale e mercato dell'energia tratteggiano quattro possibili scenari di decarbonizzazione emersi durante alcuni workshop avvenuti tra il 2018 e il 2019 a Berlino. Il primo è quello della cooperazione completa: viene promosso un big green deal e i mercati finanziari disinvestono gradualmente dai prodotti legati ai combustibili fossili e gli Stati che vivono di petrolio vengono accompagnati verso un'economia sostenibile evitando di immettere sul mercato petrolio e gas a basso prezzo in un ultimo tentativo di fare cassa. Lo scenario opposto è quello in cui governi nazionalisti e populisti conquistano il potere nei Paesi leader del settore energetico, varando politiche di autosufficienza energetica che favoriscono allo stesso tempo la produzione di combustibili fossili e di energia da fonti rinnovabili. Nel mezzo ci sono lo scenario che prevede una svolta tecnologica che causa una seconda guerra fredda e tensioni nei Paesi che dipendono dai combustibili fossili in Medioriente, Asia centrale e Africa subsahariana, e infine quello che evolve dalla situazione attuale senza nessun intervento radicale causando un ulteriore aumento delle disuguaglianze [Nature; Andreas Goldthau, Kirsten Westphal, Morgan Bazilian e Michael Bradshaw]

Il costo sociale dell'anidride carbonica può essere uno strumento efficace per convincere i politici a decarbonizzare, ma sul suo valore non c'è accordo. Nel 2016 un gruppo di lavoro convocato dal presidente Barack Obama lo ha stimato pari a circa 40 dollari, mentre l'amministrazione Trump tra 1 e 7 dollari. Alcuni ricercatori sono arrivati fino a 400 dollari. Molti studiosi lo definiscono il singolo numero più importante per l'economia globale e oggi potremmo avere i dati e la capacità computazionali sufficiente per calcolarlo in maniera più accurata. È questo l'obiettivo del Climate Impact Lab, un consorzio di ricercatori statunitensi che intende considerare l'impatto sociale dell'emissione di anidride carbonica a livello più locale possibile. L'idea è quella di dividere il mondo in 24 000 regioni e impiegare sofisticati modelli climatici per valutare cosa succederà a chi li abita se il pianeta continua a riscaldarsi. Dal punto di vista computazionale è una sfida enorme che richiederà alcuni anni di lavoro [MIT Technology Review; David Rotman]
ECONOMIA DELL'ATTENZIONE
Internet sta distruggendo la nostra capacità di attenzione collettiva, ma il processo è cominciato all'inizio del Novecento. Lo afferma uno studio pubblicato su Nature Communications che ha misurato la durata dell'attenzione collettiva in diversi contesti, osservandone una diminuzione costante e accelerata. I ricercatori sono partiti da Twitter, misurando il tempo medio di permanenza degli hashtag nella lista dei 50 trending topics: nel 2013 misurava 17,5 ore, nel 2016 11,9 ore. La stessa tendenza è stata osservata sul social network Reddit. Sembra però che Internet non sia la causa di questo fenomeno, piuttosto che sia una tecnologia che lo favorisce. Considerando un catalogo di libri risalenti a diversi secoli fa e digitalizzato da Google, gli studiosi hanno trovato una tendenza simile. Il tempo di permanenza di una frase nella classifica top 100 è passata da sei mesi nel 1870 a circa un mese nel 1900. E l'attenzione individuale, invece, può essere salvaguardata? Probabilmente nell'economia dell'attenzione potranno permetterselo solo i più ricchi [Vox; Brian Resnick]

Il primo a parlare di economia dell’attenzione è stato il premio Nobel Herbert Simon, che già nel 1971 scriveva che la ricchezza di informazione disponibile consuma l’attenzione dei destinatari. Ogni volta che stiamo attenti a qualcosa a cui potremmo serenamente evitare di prestare attenzione stiamo facendo un investimento poco oculato. I social network hanno seguito lo stesso modello dei mezzi di comunicazione tradizionali: rivendono agli inserzionisti la quantità maggiore possibile di attenzione, ma invece di omogeneizzare, polarizzano. Qualcuno ha proposto che gli utenti dei social network si facciano pagare per il tempo e l'attenzione che mettono a disposizione. Una proposta difficile da realizzare nel breve termine. Nel frattempo potremmo decidere di investire la nostra attenzione in modo più lungimirante [Internazionale; Annamaria Testa]

Ma l'economia dell'attenzione potrebbe presto lasciare spazio a un'economia più tradizionale, in cui il bene più raro non è più il tempo dei lettori ma i loro soldi. È la previsione che fa Gideon Lichfield, capo redattore di MIT Technology Review, osservando che un numero sempre maggiore di testate giornalistiche statunitensi ha cominciato a rendere i propri contenuti, o almeno una parte di essi, a pagamento. Questa tendenza però non riuscirebbe a risolvere il problema delle fake news o dei contenuti acchiappa click, ma piuttosto finirebbe col penalizzare i giornali che si rivolgono ai gruppi più poveri e marginalizzati. Potrebbero infatti diffondersi piattaforme di notizie sul modello di iTunes per la musica o Netflix per i film e gli spettacoli, che metterebbero in vendita pacchetti di articoli "personalizzati" raccolti da diverse testate. Questo favorirebbe nuovamente la frammentazione dei contenuti, contro cui gli editori hanno combattuto in questi anni cercando di ricostruire un rapporto con comunità di lettori ben identificabili [NiemanLab; Gideon Lichfield]
RICERCA E SOCIETÀ
La Belt and Road Initiative della Cina per trasformare le reti commerciali globali comprende investimenti ingenti in scienza, tecnologia e innovazione con un modello che promette di cambiare la vita a migliaia di ricercatori nel mondo. La strategia cinese prevede di favorire lo sviluppo di scienza e tecnologia dei Paesi più poveri finanziando progetti che però abbiano un effetto benefico anche per la Repubblica Popolare. Ma alcuni analisti intravedono un lato oscuro in questa strategia: costituirsi come uno stato neocoloniale cui i Paesi più poveri stanno consegnando un'enorme quantità di risorse e conoscenza [Nature; Ehsan Masood]

Nel valutare le proposte di ricerca per accedere ai finanziamenti, i revisori premiano più gli uomini che le donne per via del loro stile comunicativo. Uno studio pubblicato sullo US National Bureau of Economic Research ha analizzato migliaia di proposte indirizzate alla Bill & Melinda Gates Foundation concludendo che gli uomini sono favoriti dall'utilizzo di un linguaggio più vago. Le donne utilizzerebbero, invece, termini più specifici del loro campo di ricerca e questo le penalizzerebbe. Tuttavia, un linguaggio più vago non sarebbe correlato con un maggiore successo del progetto: le donne che hanno ottenuto i finanziamenti hanno raggiunto risultati migliori dei loro colleghi maschi. Per ovviare a questo problema i panel di revisori dovrebbero avere una maggiore percentuale di donne [NBER; Julian Kolev, Yuly Fuentes-Medel, Fiona Murray]

L'Antropocene avrebbe avuto inizio nel 1610, con la globalizzazione dei commerci marittimi. I nostri guai ambientali sarebbero dunque riconducibili a un'epoca di connubio tra lo sviluppo scientifico e il progetto europeo di colonizzazione, schiavismo e sfruttamento delle risorse di cui si è nutrito il capitalismo mercantile, precursore del capitalismo industriale. Lo sostengono Simon L. Lewis e Mark A. Maslin, scienziati dell’University College London e autori del saggio “The Human Planet: how we created the Anthropocene” (tradotto in italiano da Einaudi). Conoscere l'origine dell'Antropocene è l'unico modo, secondo i due autori, per non restarne vittime [Blogautore L'Espresso; Giancarlo Sturloni]
LA SETTIMANA DI SCIENZA IN RETE
Predatori e prede: quando la valutazione aiuta il “lato selvaggio” della scienza. Il 5% dei ricercatori che hanno partecipato all'Abilitazione scientifica nazionale nel 2012 ha pubblicato almeno un articolo in una rivista predatoria, per un totale di circa 6 000 articoli. Questo è uno dei risultati dello studio condotto da Manuel Bagues, Mauro Sylos-Labini e Natalia Zinovyeva. La spiegazione di questi comportamenti sarebbe da ricondurre ad alcuni meccanismi controproducenti nella valutazione della ricerca. Primo l'uso auotmatico di liste molto ampie di riviste che contengono anche pubblicazioni di dubbio valore. Secondo la qualità bassa di alcune commissioni di valutazione [Scienza in rete; Manuel Bagues, Mauro Sylos-Labini, Natalia Zinovyeva]

Lo strano patto Grillo-Burioni. Beppe Grillo si diverte e prendere in giro gli scienziati e a pontificare di “cervelli che non fuggono”. Ma Grillo è tra i firmatari del Patto trasversale per la scienza: le riflessioni di Gilberto Corbellini, professore di storia della medicina e bioetica alla Sapienza Università di Roma [Scienza in rete; Gilberto Corbellini]

Migranti: Quelli che affrontano i problemi e quelli che li fronteggiano. L'epidemiologo Paolo Vineis recensisce “Naufraghi senza volto”, il libro di Cristina Cattaneo, medico legale che racconta il lavoro di “dare il nome” a persone che ne sono prive: i migranti affondati al largo della Libia nell'aprile 2015. Un libro esemplare per impegno civile, chiarezza e sobrietà e da cui emerge ben più della pietas [Scienza in rete; Paolo Vineis]

Il lavoro nobilita l'uomo o lo uccide? Mentre in Italia si disputa sulle nuove statistiche Istat su occupazione e sottoccupazione, la questione degli straordinari sul lavoro accende il dibattito negli Stati Uniti. Un editoriale pubblicato sul New York Times ricorda che negli States un terzo degli occupati lavora più di 45 ore alla settimana, mentre almeno 10 milioni di lavoratori lavora almeno 60 ore. Luca Carra ripercorre la teoria dello stress lavorativo, formulata da Robert Karasekn e Tores Theorell nel 1990, alla luce delle trasformazioni in corso nel mondo del lavoro come globalizzazione e automazione [Scienza in rete; Luca Carra]
IN BREVE
Una mandibola fossile è stata rinvenuta in una grotta della parte orientale dell'altopiano tibetano. Appartiene a un uomo di Denisova e risale a 150 mila anni fa: si tratta della prima prova della presenza di individui di questa specie lontano dalla grotta siberiana in cui sono stati scoperti nel 2008 [The Atlantic]

Nella Repubblica Democratica del Congo l'epidemia di Ebola supera le 1 000 vittime. Si tratta della più grave nella storia del virus, dopo quella che ha ucciso più di 11 000 persone in Africa occidentale nel 2014-2016 [Le Monde]

Un po' di chiarezza sulla plastica biodegradabile e compostabile. Solitamente questi materiali non sono progettati per degradarsi in tempi brevi senza trattamenti specifici [The Conversation]

La balena fossile rinvenuta nel 2006 presso il lago di San Giuliano vicino Matera è il più grande fossile di balena mai trovato e consente di ridisegnare l’evoluzione del gigantismo di questa specie [National Geographic]

I pediatri britannici mettono in discussione le linee guida dell'OMS sul tempo passato davanti a uno schermo da parte dei bambini: non sono basate su solide prove scientifiche [The Guardian]

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