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Rapporto biennale ANVUR sullo stato Università e Ricerca

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Roma, 24 maggio 2016

L’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) ha presentato oggi il secondo Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca al ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Stefania Giannini. Nel Rapporto vengono descritte le caratteristiche del sistema universitario e degli enti di ricerca nella loro evoluzione temporale, l’offerta formativa degli atenei e il corpo docente, le carriere degli studenti, la situazione dei laureati e il mondo del lavoro, la struttura del finanziamento pubblico e privato, la governance degli atenei e la qualità e l’impatto della produzione scientifica. Si tratta di una fotografia molto dettagliata che mette in evidenza luci e ombre di un sistema complesso in grande cambiamento.

LUCI E OMBRE

Fra i punti di forza del sistema vanno senza dubbio evidenziati:

  • Negli ultimi due anni si è arrestato il calo degli immatricolati che si era osservato a partire dalla metà degli anni Duemila. Nell’ultimo anno si registra una prima inversione di tendenza, con un incremento dell’1,6% del numero di iscritti (del 2,4% tra i giovani con età pari o inferiore a 20 anni). Il numero degli immatricolati è cresciuto soprattutto al Nord con +3,2% (4,1% sotto i 20 anni) ma ha avuto un miglioramento anche nel Mezzogiorno con +0,4% (+0,8% sotto i 20 anni).
  • Migliora anche la regolarità dei percorsi di studio sia dal punto di vista di quanti terminano gli studi nei tempi previsti, sia della diminuzione di coloro che non proseguono al secondo anno. Nell’anno 2014/2015 dopo 11 anni dall’iscrizione risulta che il 57,8% degli studenti si è laureato, il 38,7% ha abbandonato e il 3,5% ancora iscritto. I tassi di abbandono più bassi si registrano nei corsi a ciclo unico, in particolare nelle aree di Farmacia e Medicina e chirurgia (che sono ad accesso programmato), con una percentuale di abbandono intorno al 6‐7%. Da segnalare invece l’altissima percentuale di abbandoni tra gli studenti provenienti da un istituto professionale: dopo 3 anni di corso triennale abbandona l’università tra il 44% e il 48% degli iscritti.
  • La mobilità degli studenti tra atenei è aumentata in tutte le aree del Paese, specialmente a livello di lauree magistrali: la quota di quanti studiano fuori regione è salita dal 18% del 2007/2008 al 22% nel 2015/2016. Della maggior mobilità hanno tratto beneficio al Nord soprattutto gli atenei del Piemonte, dove l’incidenza di studenti fuori regione è salita dal 12% al 26% tra il 2007/2008 e il 2015/2016. La quota di residenti nel Mezzogiorno che s’immatricolano in un ateneo del Centro‐nord è salita da circa il 18% della metà dello scorso decennio al 24%.
  • I buoni risultati raggiunti a livello internazionale dalla produzione scientifica dei nostri docenti e ricercatori, nonostante la progressiva diminuzione dei fondi accessibili per chi si occupa di ricerca di base e di quella umanistica, settori in cui l’Italia ha una tradizione di eccellenza. Se si confronta la produttività con le risorse impiegate, l’Italia ha ottimi risultati, sia rispetto alla spesa in ricerca destinata al settore pubblico e all’istruzione terziaria, sia rispetto al numero di ricercatori attivi nel paese. Rispetto ai ricercatori, la produttività italiana nel quadriennio 2011‐2014 è pari ai livelli della Francia e superiore a quelli della Germania.
  • La presenza femminile tra i docenti cresce in maniera costante e regolare: dal 1988 a oggi è passata da 26 a 37 donne ogni 100 docenti (la quota media dei paesi OCSE è 42). Dal 2007 al 2015 la quota delle donne tra gli ordinari è passata dal 18,5 al 21,6%; tra gli associati è salita dal 33,6 al 36,5% e tra i ricercatori dal 45,1 al 46,5%. La presenza femminile è quindi in costante crescita ma resta inferiore al 50%, nonostante già dagli inizi degli anni Novanta la quota di donne superi quella degli uomini tra i laureati e anche tra quanti conseguono un dottorato di ricerca.
  • In generale va rilevata la capacità complessiva del sistema italiano di erogare una didattica di qualità gestendo al contempo un alto rapporto studenti/docenti, con una spesa pro-capite relativamente contenuta.

Fra le maggiori difficoltà il Rapporto mette in evidenza:

  • Nonostante una costante crescita osservata negli ultimi anni, l’Italia rimane tra gli ultimi paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo d’istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane (24% contro 37% della media UE e 41% media OCSE nella popolazione 25‐34 anni). Il nostro paese ha colmato la distanza in termini di giovani che conseguono un diploma di scuola secondaria superiore, ma presenta tassi di accesso all’istruzione terziaria ancora più bassi della media europea e OCSE (42% contro 63% nella media UE, 67% media OCSE).
  • L’aumento positivo della mobilità degli studenti è si è realizzato in un contesto di tagli al diritto allo studio, spesso operati a livello regionale, che intaccano l’uguaglianza delle opportunità richiesta dal dettato costituzionale. La principale criticità del sistema di diritto allo studio non è solo la cronica carenza di risorse (nell'ammontare e nei tempi) ma anche la sua eterogeneità (tra regioni e, all'interno delle stesse regioni, tra atenei) nei requisiti di accesso e nei tempi di erogazione dei benefici, di incertezza circa la permanenza del sostegno da un anno all'altro. Alcune regioni, oltre a non investire risorse proprie, hanno utilizzato i fondi destinati agli interventi a favore degli studenti capaci e meritevoli per altre finalità.
  • L’incertezza associata alle prospettive di carriera accademica, che induce fenomeni preoccupanti come: l’abbandono della carriera da parte di molti dottori di ricerca e assegnisti che non possono permettersi lunghi periodi d’insicurezza retributiva; la “fuga dei cervelli” in proporzioni superiori a quelle fisiologiche, ovvero senza un corrispondente flusso di ricercatori in arrivo dalle istituzioni estere; la sofferenza di molti giovani di valore, che vivono con difficoltà gli anni più produttivi della loro vita scientifica.
  • La riduzione del corpo docente a seguito dei pensionamenti, che è stata solo parzialmente compensata con l’ingresso di ricercatori a tempo determinato, una figura innovativa che stenta tuttavia ad affermarsi. Dalla fine degli anni Novanta a oggi il personale docente di ruolo è cresciuto a “campana”: è aumentato senza soluzione di continuità raggiungendo un livello massimo nel 2008 (62.538 assunti) e successivamente è sceso del 12% fino al 2015 (54.977), a seguito dei provvedimenti di blocco del turnover.
  • L’ampliarsi del divario tra atenei delle diverse macroregioni del paese, anche a causa della lunga assenza di politiche che mirassero a incoraggiare una convergenza, prima di tutto qualitativa, nella ricerca come nella didattica.
  • la quota del prodotto interno lordo (PIL) dedicata alla spesa in ricerca e sviluppo (R&S) è rimasta stabile nell’ultimo quadriennio (2011‐2014), confermandosi su valori molto inferiori alla media dell’Unione Europea e dei principali paesi OCSE: con l’1.27% l’Italia si colloca solo al 18° posto (con una quota uguale alla Spagna) tra i principali paesi OCSE con valori superiori solo a Russia, Turchia, Polonia e Grecia, ma ben al disotto della media dei paesi OCSE (2,35%) e di quelli della comunità europea (2,06% per UE 15 e 1,92% per UE 28).

“Negli ultimi anni l’università e la ricerca italiane si sono sottoposte, anche grazie alle misure e alle norme varate dai diversi governi, a procedure trasparenti di valutazione e responsabilizzazione, come nessun altro ambito della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, negli ultimi dieci anni questo impegno non sempre ha trovato un adeguato sostegno nelle politiche pubbliche, soprattutto dal punto di vista delle risorse a disposizione, decisamente insoddisfacenti se rapportate al contesto internazionale” ha dichiarato Daniele Checchi, membro del Consiglio Direttivo ANVUR e coordinatore del Rapporto. “Basti a questo proposito ricordare la riduzione del Fondo di Finanziamento ordinario: solo negli ultimi due anni la ripartizione delle risorse ha mostrato i primi timidi segnali di miglioramento, spesso più nella composizione qualitativa che in termini assoluti”.

“Sarebbe opportuno migliorare ulteriormente la ripartizione delle risorse, sostenendo con più decisione aspetti come il diritto allo studio e le prospettive di carriera dei migliori giovani studiosi, favorendo la mobilità dei nostri docenti e ricercatori” ha commentato Andrea Graziosi, Presidente di ANVUR. “Al tempo stesso il nostro Paese dovrebbe aumentare la sua capacità di attrarre validi studiosi stranieri, valorizzando maggiormente la didattica dottorale, talvolta messa in secondo piano rispetto a quella triennale e magistrale”.

Secondo ANVUR un’attenzione particolare meriterebbe infine la scarsa differenziazione del nostro sistema di istruzione terziaria. Anche se è fortemente auspicabile un maggiore impegno nella riduzione degli abbandoni e nel recupero dei ritardi, si dovrebbe riflettere su un ampliamento dell’offerta didattica anche in direzione tecnico-professionale, e non solo universitaria. Senza una maggiore diversificazione dell’offerta e un aumento complessivo delle risorse investite nella formazione terziaria e nella ricerca appare difficile conseguire gli obiettivi del processo europeo di convergenza Lisbona 2020.

LA PREMIALITA’ ORMAI FA PARTE DEL SISTEMA

Il Rapporto evidenzia come il sistema universitario e quello della ricerca siano settori in cui, a partire dall’introduzione nel 2010 della riforma Gelmini, sono stati introdotti forse con maggior profondità ed estensione processi valutativi e meccanismi premiali.

Ecco i principali:

  • La qualità della produzione scientifica dei docenti e dei ricercatori delle università e degli enti di ricerca è valutata periodicamente da Gruppi di Esperti Valutatori delle diverse discipline che, con l’ausilio di revisioni esterne e analisi bibliometriche, formulano un giudizio di qualità sui lavori scientifici che viene poi aggregato per dipartimenti/istituti e/o atenei e enti. Ai risultati della valutazione della qualità della ricerca (VQR) – il cui secondo esercizio è in corso di realizzazione –  sono associati significativi incentivi monetari nella distribuzione del fondo di finanziamento ordinario (FFO).
  • La crescita automatica delle retribuzioni per anzianità di ruolo è stata sostituita da scatti basati sul merito, purtroppo anch’essi bloccati dal 2011 al 2015.
  • L’adozione (seppure parziale) del costo standard per ripartire i finanziamenti. Tale criterio, seguendo la dinamica delle immatricolazioni, premia la capacità di attrazione dei Corsi di Studio e dei servizi offerti dai diversi atenei e guarda al presente e al futuro piuttosto che al passato.
  • L’introduzione di un sistema di autovalutazione dei Corsi di Studio monitorato da Presidi di Qualità a livello di ateneo. Alle procedure di Assicurazione della Qualità presiedono inoltre i Nuclei di Valutazione, in buona parte composti da membri esterni agli atenei. Alla autovalutazione interna si affianca, periodicamente, la valutazione esterna condotta attraverso visite organizzate dall’ANVUR che analizzano un campione di corsi e di dipartimenti, redigendo un rapporto di accreditamento degli atenei che viene inviato al MIUR.
  • Il reclutamento del nuovo personale è infine soggetto a valutazione tanto ex-ante, mediante l’Abilitazione Scientifica Nazionale, che ex-post, attraverso l’analisi degli esiti VQR dei neoassunti e neopromossi.

L’ANVUR

Il Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca è uno degli adempimenti istituzionali richiesti all’ANVUR. La sua stesura è frutto di una serie di analisi realizzate dall’Agenzia su basi di dati nazionali e internazionali che permettono di valutare l’evoluzione dello scenario, anche in relazione all’introduzione delle nuove normative. Per mandato l’ANVUR raccoglie e analizza le informazioni necessarie al monitoraggio periodico delle attività didattiche e scientifiche del sistema universitario e della ricerca. Oltre a permettere lo svolgimento delle proprie attività istituzionali, l’analisi di questi dati consente all’Agenzia di offrire supporto e consulenza al MIUR, agli atenei e agli enti di ricerca.

Tra le sue attività istituzionali, l’ANVUR si occupa di valutare la qualità della ricerca (il primo esercizio VQR 2004-2010 è stato presentato nel 2013 e il secondo è in fase di svolgimento), dell’accreditamento e della valutazione dei corsi e delle sedi universitarie (4.586 corsi e 97 sedi nel 2014/15), dell’accreditamento e della valutazione dei dottorati di ricerca (910 corsi del XXXI ciclo), della valutazione delle istituzioni AFAM (140 istituzioni) e di altri compiti minori. Recentemente all’ANVUR sono stati assegnati anche i compiti di valutazione delle attività amministrative di 80 tra università ed enti di ricerca vigilati dal MIUR, in precedenza spettanti alla ex CIVIT.  

“La struttura dell’ANVUR è decisamente inadeguata per l’insieme estremamente ampio di attività che le competono” ha commentato Andrea Graziosi, presidente di ANVUR. “L’Agenzia infatti ha una pianta organica di soli 15 funzionari, 3 dirigenti di seconda fascia e un direttore. A fronte di compiti normalmente più circoscritti, le agenzie europee di Paesi confrontabili con l’Italia possono contare su organici e strutture molto più estese e articolate”. Per esempio Hceres (Francia), Aneca (Spagna) e Qaa (Inghilterra) hanno staff di diverse decine di interni e si avvalgono inoltre di centinaia di esperti esterni, normalmente docenti chiamati a svolgere il ruolo di valutatori dei corsi, degli atenei e in alcuni casi della ricerca, come previsto dalle linee guida europee.

Questa inadeguatezza dell’organico è stata ribadita anche dalla Corte dei Conti nella Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) per l’esercizio 2012: “La struttura organizzativa delle Agenzie europee prevede l’attribuzione di apposite risorse umane e finanziarie per la costituzione di uffici di supporto per gli affari legali, per la comunicazione esterna, per i rapporti internazionali, per i servizi informatici e statistici. Tenuto conto della delicatezza, dell’ampiezza delle funzioni svolte e della pluralità di soggetti con cui l’ANVUR deve relazionarsi, la costituzione di tali uffici potrebbe essere utile ma attualmente non sono previste risorse per la loro istituzione. La pianta organica dell’ANVUR, confrontata con quella in dotazione alle Agenzie dei tre Paesi europei considerati, appare di dimensioni notevolmente più ridotte” si dice nella relazione della Corte dei Conti.

 

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