fbpx La mutazione dell'uomo elefante | Page 2 | Scienza in rete

La mutazione dell'uomo elefante

Primary tabs

Read time: 2 mins

Utilizzando le nuove tecniche di sequenziamento di DNA, un gruppo di ricercatori di diversa nazionalità è riuscito a identificare la mutazione associata alla sindrome di Proteo, malattia che determina crescita incontrollata di pelle, ossa e tessuti, spesso accompagnata da tumori, nell'uomo. La mutazione potrebbe spiegare le malformazioni dell'uomo elefante (The Elephant Man), la cui tragica vita nel tardo Ottocento è stata rappresentata a teatro e al cinema.

In passato i genetisti hanno avuto grosse difficoltà a studiare la malattia perché non è ereditabile e colpisce solo alcuni parti del corpo. Già nel 1987 il dermatologo Rudolf Happle aveva ipotizzato che la sindrome di Proteo fosse causata dalla mutazione spontanea di cellule embrionali che determinava lo sviluppo di individui costituiti da un mosaico di cellule normali e mutate.

Oggi Leslie Biesecker e i suoi collaboratori, sequenziando il DNA di tessuti normali e tessuti malati isolati in pazienti affetti dalla malattia, hanno osservato che i tessuti malati si differenziano da quelli sani per la mutazione a una singola base del gene ATK1. Il gene codifica per un enzima coinvolto nella proliferazione cellulare. Gli scienziati hanno inoltre dimostrato che l'attività della proteina ATK è maggiore nelle cellule abnormi rispetto a quelle normali, a conferma che la mutazione identificata è alla base della malattia.

Questo lavoro, pubblicato sul New England Journal of Medicine, rappresenta un importante modello per lo studio di altre malattie genetiche a mosaico.

Lindhurst M.J. Et al. 2011. NEJM

Autori: 
Sezioni: 
Genetica

prossimo articolo

Pubblicare in medicina: un libro sui problemi (e le possibili soluzioni) dell'editoria scientifica

Un’industria ipertrofica cresciuta a spese dei meccanismi di produzione culturale della scienza. Un’industria dai profitti enormi e senza margini di rischio, capace di farsi credere indispensabile da chi la ingrassa credendo di non avere alternative. Il libro di Luca De Fiore, documentatissimo e spietato, procede per quattordici capitoli così, con un’analisi di rara lucidità sui meccanismi del, come recita lo stesso titolo, Sul pubblicare in medicina. Con il quindicesimo capitolo si rialza la testa e si intravede qualche possibile via d’uscita. Non facile, ma meritevole di essere considerata con attenzione soprattutto da chi, come ricercatore, passa la vita a “pubblicare in medicina”, o a cercare di.

A spanne il problema lo conosciamo tutti. Per fare carriera, un ricercatore ha bisogno di pubblicazioni. Le pubblicazioni, per definizione, devono essere pubblicate, e a pubblicarle sono le riviste scientifiche. Ma siccome, dicevamo, il ricercatore ha bisogno di pubblicare, i suoi articoli li regala alla rivista, anzi li manda speranzoso di vederli in pagina.