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Fibrosi cistica: da uno studio Cnr terapie più mirate

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La lotta alla fibrosi cistica, una delle malattie genetiche più diffuse nel mondo occidentale, passa attraverso farmaci mirati in grado di correggere le alterazioni della proteina CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator), alla base del difetto. Ora uno studio di ricercatori dell’Istituto di biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibf-Cnr) di Genova aiuta a comprendere le differenti interazioni di tali farmaci con la membrana cellulare: si tratta di terapie che agiscono direttamente sulla proteina mutata, potenziandone la ridotta attività o aumentandone la quantità.
La ricerca, pubblicata su 'European Biophysics Journal', è particolarmente innovativa in quanto utilizza tecniche sperimentali mutuate dalla fisica – in questo caso la radiazione di sincrotrone - per osservare i diversi meccanismi di azione delle sostanze. “Benché siano utilizzati con successo sulle persone affette da fibrosi cistica, non abbiamo ancora informazioni complete sul meccanismo molecolare di funzionamento dei farmaci ‘correttori’ e ‘potenziatori’ nella proteina CFTR, responsabile della malattia”, spiega il coordinatore del gruppo Oscar Moran, ricercatore Ibf-Cnr. “Nello studio abbiamo applicato la tecnica della diffusione di raggi X a basso angolo (‘Small angle X ray scattering’) su modelli di membrane cellulari costituite da un doppio strato fosfolipidico, con l’obiettivo di osservare le variazioni della struttura molecolare rispetto ai farmaci Vx-770 (Ivacaftor, potenziatore) e Vx-809 (Lumacaftor, correttore)”.
I risultati dell’esperimento, condotto utilizzando il sincrotrone ‘Alba’ di Barcellona, indicano che entrambi i farmaci superano la membrana in quanto sono solubili nello strato fosfolipidico, ma in due maniere: mentre Vx-809 tende a distribuirsi omogeneamente nella membrana, Vx-770 mostra un accumulo più significativo nella parte interna. “È necessario tenere conto di questi differenti comportamenti nello sviluppo delle future terapie, per evitare di incidere su altri meccanismi cellulari che avvengono a livello di membrana”, conclude Moran.
Il lavoro, finanziato dalla Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica, prosegue l’attività di un gruppo di ricerca impegnato da oltre dieci anni nello studio della malattia. La pubblicazione è firmata anche da Debora Baroni (Ibf-Cnr), Olga Zegarra Moran (Istituto G. Gaslini, Genova) e Agneta Svensson (Sincrotrone Alba, Barcellona).

Ufficio Stampa CNR

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Superdiffusore: il Lancet ricostruisce la storia di una parola che ha avuto molti significati

Un cerchio tutto formato di capocchie di spillo bianche con al centro un disco tutto formato da capocchie di spillo rosse

“Superdiffusore”. Un termine che in seguito all’epidemia di Covid abbiamo imparato a conoscere tutti. Ma da dove nasce e che cosa significa esattamente? La risposta è meno facile di quello che potrebbe sembrare. Una Historical review pubblicata sul Lancet nell’ottobre scorso ha ripercorso l’articolata storia del termine super diffusore (super spreader), esaminando i diversi contesti in cui si è affermato nella comunicazione su argomenti medici e riflettendo sulla sua natura e sul suo significato. Crediti immagine: DALL-E by ChatGPT 

L’autorevole vocabolario Treccani definisca il termine superdiffusore in maniera univoca: “in caso di epidemia, persona che trasmette il virus a un numero più alto di individui rispetto alle altre”. Un recente articolo del Lancet elenca almeno quattro significati del termine, ormai familiare anche tra il grande pubblico: