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Università, liberiamola dagli azzeccagarbugli

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Lo stato attuale dell'università è il frutto di un quindicennio sbagliato. Gli obiettivi riformatori elaborati alla metà degli anni Novanta sono stati distorti in aspetti essenziali: la didattica è stata riorganizzata senza badare alla qualità, l'autonomia si è sviluppata senza responsabilità e senza valutazione, l'avvento della società della conoscenza si è accompagnato all'indebolimento della ricerca, l'apertura verso la società e il territorio è stata catturata dai corporativismi e dai campanilismi.

Il disegno di legge dell’attuale governo ripete tutti gli errori del quindicennio portandoli all'esasperazione. Prosegue, infatti, nell’illusione che siano tante norme a fare una buona università. Non si può neppure definire un disegno di legge, è una doppia ordinanza di commissariamento. Gli atenei sotto il comando del ministero della Ricerca e questo sotto il ministero dell'Economia. Ho contato nel testo 171 norme, con le leggi delegate saliranno almeno a 500 e comporteranno l'approvazione di un migliaio di regolamenti fra tutti gli atenei. Solo nel paese degli azzeccagarbugli si può discutere questo delirio burocratico, in tutti i paesi civili verrebbe dichiarato semplicemente irricevibile. La centralizzazione aumenta solo il peso decisionale della politica e degli apparati ministeriali e favorisce le lobbies accademiche.

Le università moderne sono i luoghi della biodiversità della conoscenza, non Ogm creati da norme statali. La parola d'ordine della riforma dovrebbe essere Differenza. Bisogna liberarsi del mito normativo. Occorre un big bang che metta l’università di fronte alle proprie responsabilità, senza più alibi, né protezioni, né ipocrisie.

Si cancellino leggi esistenti invece di farne di nuove. L’università sia libera di organizzarsi come meglio crede e di assumere i professori a suo gradimento. Gli organi universitari diventino totalmente responsabili delle proprie azioni, senza alcuna rete di protezione. Il finanziamento diventi un contributo dello Stato ai singoli atenei, determinato in gran parte dalla qualità dei risultati, non più come fondo per il mantenimento delle strutture. Si faccia una vera valutazione, non come quella della Gelmini che premia gli atenei che alzano i voti degli studenti.

Ecco la svolta da compiere: non scrivere norme per l'università, ma creare le istituzioni della conoscenza. Si scriva solo una nuova legge semplice e chiara, per cancellare le altre, per sancire il disarmo normativo unilaterale da parte dello Stato, per realizzare davvero l'Autonomia e riconciliarla con la sorella Responsabilità.  

Questo approccio semplificherà la gestione degli atenei, applicando agli universitari le leggi già in vigore per tutti i cittadini. In pensione a 65 anni per fare posto ai giovani. Normali contratti a tempo determinato al posto di assegni senza diritti. Avvisi sulle riviste internazionali invece delle inutili leggi sui concorsi e così via.

Contro la miseria dei tagli e l'asfissia della burocrazia, bisogna riportare al centro i problemi sostanziali. La qualità della didattica, mediante una correzione dell'assetto del modello 3 e 2, a partire da un bilancio condiviso su cosa non ha funzionato e sulle buone pratiche che pure ci sono. Forti investimenti sul welfare studentesco senza il quale i giovani scelgono l'ateneo che si trovano sotto casa. Potenziare la ricerca e promuovere i giovani ricercatori. Innalzare il rango internazionale del sistema. La riforma dell'università è troppo importante per lasciarla in mano ai burocrati.


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